domenica 1 novembre 2009
UNA DOMENICA SPORTIVA (scritto da POPOF)
Si corre ad Abu Dhabi. Si corre una gara di "formula uno". Le eccellenze della
produzione automobilistica si contendono il risultato su una pista inventata costruita
nel deserto.
Le vetture che sfrecciano oltre i 300 km orari, sono consuete per noi occidentali, la
diversià è il palcoscenino ricavato tra le dune.
Mentre le vedo sfecciare sul nastro d'asfalto, delimitato da strisce color del cielo
arabo, intervallato da strisce bianco rosse stile "stars and stripes", guardo anche la
costruzione dell'autodromo, con le sue sagome architettoniche, che fanno prima
dimenticare le colline di sabbia del deserto, e poi le ripropongono in vetro e cemento.
Mentre guardo ascolto la babele di commenti giornalistici, che riporta all'antica
Babilonia, come se il tempo disciogliendosi dalla sua aggrovigliata linearità,
riproponesse fasti sepolti nel profondo storico della mezzaluna fertile.
Sono affascinato dalla faraonica costruzione dell'autodromo, è già l'aggettivo
testimonia un altro fulgido passato.
Mi riportano in terra, facendomi uscire dall'obnubilazione del video, le parole di
Alain Prost che, intervistato, all'incirca dice che quanto vediamo è stato possibile
realizzarlo grazie alla mancanza di pastoie burocratiche e all'assenza di proteste
ecologiste.
Ci sorvolo su quest'affermazione, di certo dettata dall'entusiasmo di assistere ad una
corsa nel deserto fatta da vetture avveniristiche e non da cammelli guidati da uomini
con il turbante. La nostra fantasia metropoccidentaleuropea è pervasa da stereotipi
immaginifici condizionanti.
Intanto iniziano le partite del nostro campionato di calcio della serie A.
Ecco che i primi della classe in mutandoni scendono in campi incorniciati da stadi
ovali e anonimamante brutti (visti da vicino anche sporchi).
Saranno state le pastoie burocratiche o le intromissioni degli ecologisti a farli tali?
Forse una filosofia diversa penso. Magari gli arabi han costruito, e stan costruendo
altrove, con una visione diversa dalla nostra.
I soldi fanno molto, avere budget di spesa illimitati consente cose altrimenti
impossibili.
Ma i soldi girano anche nel nostro calcio, nel nostro paese, quinta o settima potenza
economica mondiale. Una cosa ritengo sia intascare i guadagni, altra cosa investire i
guadagni.
Ecco oggi l'mpressione che si ha è di un'Italia fatta di cassa, senza una visione
d'insieme lungimirante, che guardi alle infrastrutture reali o relizzabili.
Lasciando automobilismo e calcio e restando alle costruzioni fattibili, necessarie e
realizzabili, penso al ponte sullo stretto di Messina, a chi allarga la borsa restringendo
il pensiero sentendosi pontefice.
Un ponte che collegghi due sponde, un'opera in grado di rilanciare l'economia di una
realtà, lasciata nel bagno di acqua e sale mediterraneo, come fosse un'alice (e i gatti si
leccano i baffi).
Rilanciare l'economia di un'isola che tra Messina e Palermo non possiede un
aeroporto, dove alberghi, agriturismi e villaggi turistici, quest'anno han trovato clienti
più tra coloro che in passato avevan lasciato l'isola per un lavoro in grado di garantire
un futuro, che tra gente nuova in cerca di un'oasi, nel deserto della quotidianità
annuale.
Un'isola che diventa più lontana in quanto le infrastrutture viabilistiche sono
inadeguate ai tempi, e dove la cecità di amministratori locali, inadeguati all'epoca
globale, agiscono nella solitaria concorrenzialità non mettendo in atto quelle sinergie
necessarie a fare del turismo una risorsa importante, capace di garantire
quell'indipendenza economica che solo il lavoro può dare.
Ma il ponte è una palla galleggiante nella fantasia deconcentrata, che pensa al
trasporto veloce di merci in grado di coprire i quasi 1500 km tra Palermo e Milano in
20 ore anzichè in 20 ore e mezza: il risparmio di tempo vale l'investimento del
denaro necessario alla realizzazione? Tanta fatica per così poco?
E non parlo dello scempio del territorio conseguente alla sua realizzazione in quanto
lo scempio già in atto difficilmente sarà peggiorabile: le ampie piazze senza alberi dei
Peloritani e dell'Aspromonte non si potranno rinverdire dignitosamente se non dopo
30 anni dal momento in cui si inizierà la piantumazione, e se gia ci curiamo così poco
del nostro futuro, figurarsi pensare a quello dei nostri nipoti.
(POPOF)
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AnnaMaria, stanno arrivando tutti, e questo è indice di sicuro successo. Popof, con la sua scrittura deliziosa, di colore blu notte, avvince come al solito. E si fa leggere con grande piacere. E' un po' schierato anche lui ma è almeno simpatico. Peccato che questi amici facciano sempre la guerra a chi non la vuol fare. Mah! Congratulazioni , Eldyna, il tuo successo mi fa sempre chiedere il perché di tanta inimicizia nei tuoi confronti.
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