venerdì 8 marzo 2013

CHE TIPO DI DONNA SEI?







-«Mi dicono che sono troppo dura»

-«Faccio fatica ad imporre la mia volontà. Sono debole e fragile»

-«In famiglia mi fanno notare che mi comporto come un generale»

«Il mio compagno non mi rispetta».

Sono frasi che sento dire spesso dalle donne. Hanno una caratteristica: sono l'una l'opposto dell'altra. E spesso vengono riassunte in una frase che dice: «Non mi sento equilibrata».

Perché? Perché le donne si sentono o troppo rigide o troppo cedevoli?

C'è un motivo.

Non vivono bene la loro femminilità.

Il principio femminile e maschile

Se siamo nate donne è proprio dal principio femminile che siamo caratterizzate. Come gli uomini sono caratterizzati da quello maschile. Ciò non significa che nelle donne non ci sia una parte di energia maschile e negli uomini una parte di energia femminile. Per essere in equilibrio una donna deve però avere come energia principale quella femminile e come energia secondaria quella maschile.
Per chiarezza ecco una schematizzazione con delle percentuali. Anche se è una semplificazione esagerata può aiutarti a comprendere il concetto.
La donna in equilibrio dovrebbe avere:

un 60-70 per cento di energia femminile
un 30-40 per cento di energia maschile.
Cosa succede se le percentuali cambiano?

Se l'energia maschile aumenta di percentuale c'è la donna troppo maschile. Io la definisco donna mascolinizzata. Metaforicamente la donna ruvida.
Se invece è l'energia femminile ad essere troppa, senza una certa dose di quella maschile, c'è la donna con una femminilità in eccesso, la donna iperfemminile. Metaforicamente la donna molle.
Ma come sono queste donne? 

Ecco una descrizione.




La donna ruvida: la mascolinizzazione

Per riconoscere la donna mascolinizzata non dobbiamo pensare che si presenti vestita come un uomo, oppure che sia poco truccata o poco curata. Potrebbe invece anche indossare abiti ricercati, avere le unghie smaltate e i tacchi alti. Ciò che la rende una donna mascolinizzata è il suo comportamento. Vediamolo.

L'affetto
Per questa donna è difficile esprimere l'affetto. Se ti abbraccia la senti che resta rigida, mantiene il corpo distaccato. Oppure ti stringe in una rude stretta da cow-boy e subito si stacca. Spesso preferisce una stretta di mano al contatto del corpo.

Il lavoro
È facile riconoscere una donna mascolinizzata in ambito lavorativo. Di solito è la più intransigente, la più aggressiva. O la più cameratesca, quella con la battuta sempre pronta. Per il resto, non condivide emozioni, sensazioni, sentimenti. Sembra impermeabile, inattaccabile. Racconta fatti di cronaca, ma della sua vita ben poco. Fa fatica a capire le situazioni, i problemi altrui.

L'amicizia
Se ha delle amiche la donna mascolinizzata sarà la perfetta organizzatrice di uscite, eventi, decisioni, iniziative comuni. Cena al ristorante? Ha già prenotato e deciso l'itinerario e i posti in macchina. Indica con sicurezza dove parcheggiare, dà consigli sul menù e destina i posti a tavola: «Tu lì, tu alla sua destra, tu dall'altra parte... ».

I figli
Se ha figli, una donna mascolinizzata stabilisce con loro norme ben precise. «Poche discussioni. In questa casa ci sono regole da rispettare!».
Sul modo di educare i figli è piuttosto intransigente. E lo sostiene davanti agli altri genitori, al partner, agli insegnanti. È la madre che non si lascia affatto impietosire da uno scoppio improvviso di pianto, se non è più che motivato. Che non cede di fronte ai tentativi di evitare interrogazioni, impegni presi, doveri. «Ti alzi e vai» sono le sue parole.
Questa madre non abbraccia e bacia i figli troppo spesso, fa fatica ad accarezzarli sussurrando dolcemente: «Ti voglio bene, tesoro».

L'adolescenza
L'adolescente mascolinizzata è piuttosto individualista, con il viso poco aperto alle emozioni. Spesso è decisionista, grintosa e determinata, sempre in battaglia con tutti: amici, ragazzi, interessi, scuola, sport. Nella sua vita non ci sono partecipanti, ma solo vincitori o vinti.

La coppia
E infine, il rapporto col mondo degli uomini.
Come li vive, in generale, una donna mascolinizzata?
Quando può li dirige, dà ordini, indica cosa fare. «No, non devi fare in questo modo. È così che si fa». Oppure: «Prendi questo, passa di là, porta quest'altro, andiamo su... ». Lei sa meglio di lui qual è il film migliore per la serata, o il dentista più competente, l'abito più adatto, l'itinerario più veloce.
E ha già deciso.
Nelle discussioni è categorica:
«Ho il diritto di sapere... ».
«Certo che è una mia decisione. E mi assumo le mie responsabilità».
«Allora, come spieghi questo comportamento?».
Spesso le piace sfidare gli uomini. Non tanto – o non solo – per sedurre, ma per misurarsi su chi è il migliore. Nel lavoro, nello sport, nel gioco, nello studio... La competizione è il suo forte, è il carburante della sua vita.

La donna molle: l'iperfemminilità



Vediamo invece come si riconosce una donna iperfemminile.
Riprendiamo gli esempi di prima.

L'affetto
Lei quando abbraccia sospira, abbandonando il viso sulla spalla. Si lascia avvolgere e cerca conforto, calore, tenerezza. Chiude gli occhi. In alcuni casi si abbarbica strettamente. «Tienimi stretta» sembra dire il suo corpo.

Il lavoro
Spesso è la più assecondante, quella che non vuole scontri, evita i litigi, scansa le situazioni spinose. Oppure è la persona che preferisce tacere perché si sente sempre e comunque inadeguata. I suoi giudizi, pensa inesorabile, sono certo sbagliati, le sue parole senza peso. Lei stessa è un essere trasparente, di cui non importa nulla a nessuno. Chiude occhi, bocca e orecchie e svolge in silenziosa riservatezza il suo lavoro.

L'amicizia
Nel gruppo delle amiche, una donna iperfemminile lascia sempre decidere gli altri. Per lei va bene comunque. Se gli altri sono contenti, lei si adatta. Su di sé accetta proposte, consigli, indicazioni. Spesso li chiede, in cerca di sicurezza e protezione. Protesta debolmente nelle discussioni, obietta senza troppa convinzione. E alla fine cede.

I figli
Se ha figli, una donna iperfemminile è una chioccia protettiva. Arruffa le penne alla minima contrarietà, al primo accenno di pericolo, schierandosi in difesa del "suo bambino". Che può essere anche un maturo signore professionalmente affermato.
È la madre premurosa che rincorre il figlio aprendogli lo zainetto: «Fa' vedere se hai preso tutto... ».
Nella giornata chiama una, due, dieci volte per le raccomandazioni: ai figli propri e altrui, agli amici dei figli, ai nipoti...
È una mamma globale.
Estremizza spesso e volentieri. Due linee di febbre ed è già panico. Una giornata storta della figlia e subito va in ansia: «È in crisi... Sarà la scuola, il suo ragazzo, o qualcosa che non vuole dirmi?».
Più che risolvere i problemi li prevede, li anticipa, simula cause e conseguenze.
Le madri iperfemminili si illuminano ad ogni piccolo gesto d'affetto che ricevono, piangono quando i figli si trasferiscono, si commuovono per ogni piccola cosa. E fanno un mare di telefonate.

L'adolescenza
L'adolescente iperfemminile si fa sommergere da chiunque di richieste, consigli, approvazioni. È pronta a intenerirsi per ogni cosa, a disperarsi se il suo ragazzo si dimentica un giorno di chiamarla. E cerca di essere sempre carina con tutti. Perché piacere a tutti è proprio ciò che più desidera.
È anche la ragazza sempre incline a considerarsi "un po' meno". Un po' meno bella, un po'meno intelligente, un po' meno simpatica di tutte le altre.

La coppia
Con il mondo degli uomini le cose vanno più o meno nello stesso modo. Lei pensa di non valere molto, cerca un uomo che le dia forza, sicurezza e protezione.
È la donna che focalizza tutto nella relazione affettiva. Il partner diventa il "centro del mondo". Lei, per lui, è sempre disponibile: ai suoi orari, alle sue telefonate – che arrivano o non arrivano – ai suoi programmi. Si dedica alle passioni di lui, anche se la annoiano.
Si veste come piace a lui, anche se non si sente a suo agio con quegli abiti. Persino le amicizie di lui diventano le sue.
E se cambia uomo?
Cambia anche lei, adeguandosi al nuovo partner.
Gli uomini che sceglie spesso sono quelli che la fanno soffrire: è nel dolore che la donna iperfemminile sente che l'amore c'è davvero. Non consciamente, è ovvio. È a livello inconscio che questa donna cerca storie d'amore laceranti, a cui dedicare tutta se stessa. Diventando la vittima della situazione.
Se più relazioni falliscono cresce dentro di lei una rabbia inespressa, ammantata di paura, verso gli uomini. «Sono crudeli, insensibili, prepotenti. Ti fanno soffrire, sono egoisti... ».

La donna in equilibrio

Vicino alla donna mascolinizzata e a quella iperfemminile, c'è però anche la donna in equilibrio.
Purtroppo è piuttosto rara perché le donne oggi devono ancora fare un passo importante nella capacità di esprimersi con la loro energia di genere.

 Spiego meglio.
Le donne, dopo la rivoluzione femminile, hanno raggiunto un obiettivo fondamentale.
Sono diventate libere nel fare.
Sono libere di lavorare, guadagnare, studiare, di scegliere il partner, di decidere i loro obiettivi personali.
Le donne devono però ancora fare un secondo passo importantissimo.
Riuscire a diventare libere nell'essere.

Cioè diventare libere nel loro modo di esprimersi, "al femminile", attraverso il loro sentire, i loro codici espressivi.
Le donne devono ottenere risultati e diventare protagoniste della loro vita attraverso una "forza morbida". Cioè utilizzando l'energia femminile con equilibrio.

Né troppa.

Né troppo poca.

Attraverso un percorso al femminile è possibile raggiungere questo risultato: diventare donne forti e morbide.
E' l'augurio che faccio soprattutto alle giovani donne del futuro.






Ricordo brevemente , per le piu' giovani ed anche per mia nipote Benedetta, 


che da bambina si sta trasformando in donna, l'origine di questa giornata:

l'8 Marzo del 1908, un gruppo di operaie di una industria tessile di New York scioperò come forma di protesta contro le terribili condizioni in cui si trovavano a lavorare.
Lo sciopero proseguì per diverse giornate ma fu proprio l'8 Marzo che la proprietà dell'azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire dalla stessa.
Un incendio ferì mortalmente 129 operaie, tra cui anche delle italiane, donne che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità del lavoro.

 L'8 marzo assunse col tempo un'importanza mondiale, diventando il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli e il punto di partenza per il riscatto della propria dignità. 

L'8 Marzo è quindi il ricordo di quella triste giornata.
Non è una "festa" ma piuttosto una ricorrenza da riproporre ogni anno come segno indelebile di quanto accaduto il secolo scorso.
Però , condivido la scelta di molte donne, di uscire di casa questa sera con le amiche  lasciando l'incombenza della famiglia al proprio partner. Condivido la scelta di uscire con il proprio partner, condivido la scelta di uscire o stare a casa , insomma di essere libere di  come gestire il proprio tempo nella libertà piu assoluta. 

Da WIKIPEDIA, Rettifica e approfondimento su come nasce
La giornata internazionale della donna (comunemente definita, anche se in maniera impropria, festa della donna)
Ricorre l'8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo. Questa celebrazione si è tenuta per la prima volta negli Stati Uniti nel 1909, in alcuni paesi europei nel 1911 e in Italia nel 1922.



Il «Woman's Day» negli Stati Uniti (1908-1909) 



Nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, nel quale erano presenti 884 delegati di 25 nazioni - tra i quali i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès - vennero discusse tesi sull’atteggiamento da tenere in caso di una guerra europea, sul colonialismo, sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne.
Su quest'ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne», senza «allearsi con le femministe borghesi che reclamano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne». Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, Die Gleichheit (L'uguaglianza), divenne l'organo dell’Internazionale delle donne socialiste.


Sciopero delle camiciaie di New York
Non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»: negli Stati Uniti, la socialista Corinne Brown scrisse, nel febbraio del 1908 sulla rivista The Socialist Woman, che il Congresso non avrebbe avuto «alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione». Fu la stessa Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, causa l'assenza dell'oratore ufficiale designato, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna. Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne.
Quell'iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l'ultima domenica di febbraio 1909 per l'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 23 febbraio 1909. Verso la fine dell'anno, il 22 novembre, si vide a New York iniziare un grande sciopero di ventimila camiciaie, che durò fino al 15 febbraio 1910.Il successivo 27 febbraio, domenica, alla Carnagie Hall, tremila donne celebrarono ancora il Woman's Day.
La Conferenza di Copenaghen (1910)


Aleksandra Kollontaj
Il Woman's Day tenuto a New York il successivo 28 febbraio venne impostata come manifestazione che unisse le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile. Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata affermazione della manifestazione della giornata della donna, decisero pertanto di proporre alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus (Casa del popolo) di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910 - due giorni prima dell'apertura dell'VIII Congresso dell'Internazionale socialista - di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Negli ordini del giorno dei lavori e nelle risoluzioni approvate in quella Conferenza non risulta che le 100 donne presenti in rappresentanza di 17 paesi abbiano istituito una giornata dedicata ai diritti delle donne: risulta però nel Die Gleichheit, redatto da Clara Zetkin, che una mozione per l'istituzione della Giornata internazionale della donna fosse «stata assunta come risoluzione».
Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in alcuni paesi europei - Germania, Austria, Svizzera e Danimarca - la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911[3] su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848 durante la rivoluzione il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne». In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi[4], così come a Vienna, dove alcune manifestanti portarono con sè delle bandiere rosse (simbolo della Comune) proprio per commemorare i caduti di quell'insurrezione.
La manifestazione non fu però ripetuta tutti gli anni, né celebrata in tutti i paesi: in Russia si tenne per la prima volta a San Pietroburgo solo nel 1913, il 3 marzo, su iniziativa del Partito bolscevico, con una manifestazione nella Borsa Kalašaikovskij, e fu interrotta dalla polizia zarista che operò numerosi arresti. In Germania, dopo la celebrazione del 1911, fu ripetuta per la prima volta l'8 marzo 1914, giorno d'inizio di una «settimana rossa» di agitazioni proclamata dai socialisti tedeschi, mentre in Francia si tenne con una manifestazione organizzata dal Partito socialista a Parigi il 9 marzo 1914.
L'8 marzo 1917 
Le celebrazioni furono interrotte dalla prima guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia) le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni di protesta che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d'Italia, che volle celebrarla il 12 marzo, in quanto prima domenica successiva all'ormai fatidico 8 marzo. In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'8 marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall'Europa. Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York.
Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni settanta e gli ottanta abbiano dimostrato l'erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.
In Italia 

La mimosa 


Manifestazione femminista
Nel settembre del 1944 si creò a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia, per iniziativa di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d'Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro e fu l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare, l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all'ONU una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Con la fine della guerra, l'8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, secondo un'idea di Teresa Noce, Rita Montagnana e di Teresa Mattei.
Nei primi anni cinquanta, anni di guerra fredda e del ministero Scelba, distribuire in quel giorno la mimosa o diffondere Noi donne, il mensile dell'Unione Donne Italiane (UDI), divenne un gesto «atto a turbare l’ordine pubblico», mentre tenere un banchetto per strada diveniva «occupazione abusiva di suolo pubblico». Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, comunista, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, socialiste, presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l'iniziativa cadde nel vuoto.
Il clima politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a non ottenere udienza nell'opinione pubblica finché, con gli anni settanta, in Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista.
Il femminismo
Per approfondire, vedi la voce Femminismo.


Carica di polizia contro un corteo femminista
L'8 marzo 1972 la manifestazione della giornata della donna si tenne a Roma in piazza Campo de' Fiori: vi partecipò anche l'attrice statunitense Jane Fonda, che pronunciò un breve discorso di adesione, mentre un folto reparto di polizia era schierato intorno alla piazza nella quale poche decine di donne manifestanti inalberavano cartelli con scritte inconsuete e «scandalose»: «Legalizzazione dell'aborto», «Liberazione omosessuale», «Matrimonio = prostituzione legalizzata», e veniva fatto circolare un volantino che chiedeva che non fossero «lo Stato e la Chiesa ma la donna ad avere il diritto di amministrare l'intero processo della maternità». Quelle scritte sembrarono intollerabili, perché la polizia caricò, manganellò e disperse le manifestanti.
Il 1975 fu designato come "Anno Internazionale delle Donne" dalle Nazioni Unite e l'8 marzo le organizzazioni femminili celebrarono in tutto il mondo proprio la giornata internazionale della donna, con manifestazioni che onoravano gli avanzamenti della donna e ricordavano la necessità di una continua vigilanza per assicurare che la loro uguaglianza fosse ottenuta e mantenuta in tutti gli aspetti della vita civile. A partire da quell'anno anche le Nazioni Unite riconobbero nell'8 marzo la giornata dedicata alla donna.
Due anni dopo, nel dicembre 1977, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione proclamando una «giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale» da osservare dagli stati membri in un qualsiasi giorno dell'anno, in accordo con le tradizioni storiche e nazionali di ogni stato. Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.



E per concludere Vi propongo un film di Haifaa Al Mansour 

la prima regista donna dell'Arabia Saudita, paese in cui la Settima Arte è vietata, e di conseguenza non esistono sale cinematografiche, che tratta la parità sessuale, e più in generale i diritti di un intero popolo controllato da una “polizia religiosa”, sintetizzati nella conquista di un semplice, piccolo strumento di gioco. . Da lei sceneggiato con richiami autobiografici e diretto, girato in patria tra ben immaginabili difficoltà con troupe tecnica tedesca e cast artistico locale, “la Bicicletta verde” -



 in originale “Wadjda”, il nome della protagonista – rappresenta il suo debutto nel lungometraggio di finzione.

In breve: Wadjda ha 10 anni e uno sogno nel cassetto: la magnifica bicicletta verde del negozio accanto per gareggiare con l' amico coetaneo Abdullah. Peccato le sia vietato, essendo una cittadina dell'Arabia Saudita che, oggi come allora, mantiene la condizione femminile a un livello di segregazione e sudditanza. Il "fuoco sacro" della bambina però non conosce ostacoli né regole, portandola diritta al suo obiettivo, con la sorprendente complicità della madre.  Pellicola presentata a Venezia 2012 in Orizzonti,  sarà ricordata quale il primo film diretto da una donna saudita. »








Annamaria... a dopo


L’8 MARZO NON FINISCE OGGI . . .



Quando ho realizzato che siamo già all’8 marzo, istintivamente ho cominciato a pensare come “festeggiare” questa ricorrenza annuale in “onore” delle donne.                                       
Ma poi mi son detta : “Veramente io faccio sempre festa a me stessa quando mi tratto bene, quando sento tutto l’affetto che c’è intorno a me, quando affronto un problema e lo risolvo, quando litigo e riesco a non portare rancore . . . “                                Mi sento costantemente in festa quando mi rendo conto che sono una privilegiata : non sono una di quelle donne che hanno subito fino alla morte e quelle che ancora subiscono  “violenza”  maschile sotto tanti aspetti.                                           La cronaca non ci risparmia notizie drammatiche,  e troppo spesso tragiche, di donne vittime della sconsiderata prevaricazione da parte degli uomini.                                                                                          La mia flebile voce vuole inviare un messaggio di speranza, quella di illuminare il “testone” di ogni uomo che non trovando altri argomenti di dialogo, passa alle vie di fatto o si accanisce nel mortificare ogni iniziativa femminile, convinto di vedere sminuito il suo valore.                                                                                                             Cari uomini , dateci la possibilità di verificare  che non siete tutti uguali a quei “mostri” . . .                                                                                                            Ricordate che il vostro cervello è nutrito principalmente dagli zuccheri e non dalle secrezioni ormonali . . .                                                                                                 Non avevo intenzione di fare uno dei soliti “pistolotti” femministi, anche perché non lo sono mai stata : ho sempre “amato” gli uomini (sia chiaro non tutti in senso biblico!!!) .                                                                                                            Questo 8 marzo me lo dedico, ebbene si, un’autocelebrazione, riprendendo con rinnovato piacere il dialogo con gli amici del blog con i quali condivido il video di un brano di Battisti che amo particolarmente, con tutto l’affetto che spero di riuscire a trasmettere, oltre ogni distanza


MARIA-Stellina


Grazie stellina e ben tornata! 

La "tua" cocca.


ANNAMARIA-COCCA


mercoledì 6 marzo 2013

VEDREMO UN FILM...



“La scelta è solo tua, non si vive per 

accontentare gli altri”.
              Da  “Alice in Wonderland”  Anne Hathaway

 

A partire da giovedì 7 marzo, ecco le pellicole che troveremo nelle sale cinematografiche.




Il grande e potente Oz



Il sequel del classico Il mago di Oz
Regia di Sam Raimi. Con Mila Kunis, James Farnco, Rachel Weisz, Michelle Williams, Abigail Spencer.
Genere Fantastico – U.S.A. 2013.



Il lato positivo 



 Silver Linings Playbook
David O. Russel dirige una commedia amara con De Niro.
Regia di David O. Russel. Con Bradley Cooper, Robert De Niro, Jennifer Lawrence, Jacki Weawer, Chris Tucker
Genere Commedia – U.S.A.  2012 – Durata 117 minuti circa.



Spring Breakers 



 Una vacanza da sballo
L’età dell’innocenza di un gruppo di giovani ribelli.
Regia di Harmony Korine. Con James Franco, Selena Gomez, Vanessa Hudgens, Ashley Benson, Rachel Korine.
Genere Commedia – U.S.A.  2012 – Durata 92 minuti circa.


Hithcock


Il regista inglese all’opera.
Regia di Sacha Gervasi. Con Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, James D’Arcy, Jessica Biel.
Genere Biografico – U.S.A.  2013 – Durata 98 minuti circa.


La cuoca del Presidente


Alta cucina per il presidente
Regia di Christian Vincent. Con Catherine Frot, Jean D’Ormesson, Hippolyte Girardot, Arthur Dupont, Brice Fournier.
Genere Biografico – Francia  2012.


Ci vuole un gran fisico



Una donna di mezza età alle prese con una vita difficile.
Regia di Sophie Chiarello. Con Angela Finocchiaro, Giovanni Storti, Raul Cremona,Elio e le Storie Tese, Jurij Ferrini.
Genere Commedia – Italia  2012 – Durata 90 minuti circa.



Just Like a Woman


Due donne decise a cambiare la loro vita.
Regia di Rachid Bouchareb. Con Sienna Miller, Golshifteh Farahani, Bahar Soomekh, Tim Guinee, Roschdy Zem.
Genere Drammatico – Gran Bretagna, USA, Francia  2012 – Durata 106 minuti circa.


Amiche da morire



Tre donne molto diverse in un’isola del Sud Italia.
Regia di Giorgia Farina. Con Claudia Gerini, Cristiana Capotondi, Marina Confalone, Sabrina Impaccatore, Corrado Farina.
Genere Commedia – Italia  2013.

Buona visione



 a tutti . . . da Maria !




HUGO CHAVEZ E' MORTO. EROE O DITTATORE?







Eroe o dittatore che fosse, senza dubbio Hugo Chavez è stato un uomo che ha fatto la storia del suo Paese, incidendo fortemente sull’intero panorama politico latinoamericano.




All’età di 59 anni, dopo una lunga malattia, si è spento ieri sera Hugo Chavez. Presidente del Venezuela dal 1998, il Comandante, così veniva chiamato, ha segnato la storia non solo di un Paese, ma dell’intero territorio sudamericano, rappresentando in chiave moderna la tradizione del Libertador, un rivoluzionario che venuto dal nulla si mette alla guida di un popolo per condurlo alla libertà e affrancarlo dall’oppressione.
Un po’ Che Guevara, ma soprattutto tanto Simon Bolivar, ecco come amava sentirsi Hugo Chavez ed è così che lo vede tuttora parte del suo popolo.
Gli altri, fuori, forse la pensano diversamente. Quei nemici che oggi sono stati accusati di complotto ai suoi danni, quegli stessi americani e filo-occidentali con cui ha combattuto per tutta la vita e che lo descrivono invece come un dittatore, un uomo che ha fatto del male alla terra che diceva di amare, violando i diritti umani dei cittadini che la popolano.
Personaggio dalle mille contraddizioni Hugo Chavez. Generale, politico, Presidente, eroe popolare da un lato, dittatore, violento, corrotto dall’altro.
Ma chi era davvero l’ormai ex presidente del Venezuela? Cerchiamo di capirlo attraverso la sua storia e il suo credo.
Il Credo
“Simón Bolívar, padre della nostra Patria e guida della nostra Rivoluzione, giurò di non dare riposo alle sue braccia, né dare riposo alla sua anima, fino a vedere l’America libera. Noi non daremo riposo alle nostre braccia, né riposo alla nostra anima fino a quando non sarà salva l’umanità”.
Era il 2005 l’anno in cui Hugo Chavez, nel corso del 60° anniversario dell’ONU, pronunciava queste parole davanti ai leader politici di tutto il mondo.
E Simon Bolivar era infatti il suo mentore, una sorta di Dio pagano che guiderà le sue azioni nel corso di tutta la sua vita.
La filosofia panamericanista del rivoluzionario venezuelano dell’Ottocento, l’influenza del presidente peruviano Juan Velasco Alvarado, il pensiero di Marx e Lenin, ma anche le azioni di due rivoluzionari nostrani come Gramsci e Garibaldi. Questi i personaggi che ispirarono il Comandante.
Bolivariano al 100%, sognava la Gran Colombia: un’unica grande Nazione formata da Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia.
La Politica
Cominciata la carriera da ufficiale, Chavez iniziò a sognare di ripulire il Paese come fece Fidel Castro a Cuba: questa volta nel nome di Simon Bolivar, il Libertador che mise fine al dominio coloniale spagnolo.
Dopo aver formato nel 1983 il Movimento Rivoluzionario Bolivariano MRB 200, 8 anni dopo, ormai Colonnello delle Forze Armate, partecipò al colpo di Stato ai danni dell’ex presidente Pérez. Tra errori, tradimenti e paure dei congiurati il golpe fallì, causò la morte di parecchie persone e condannò lo stesso Chavez al carcere.
Ne uscì poco dopo grazie ad un amnistia. Il resto è storia. Dalla sua cella cominciò a costruire quel personaggio che nel 1998 diverrà il Presidente del Venezuela. E tale rimarrà per 14 anni, fino alla sua morte.
14 anni in cui impronta una politica basata sul socialismo, in cui cerca di lottare contro l’analfabetismo, le malattie e tutti i meccanismi tipici dei Paesi in via di sviluppo. Anni in cui prende delle posizioni forti in politica estera che, per alcuni, ne oscureranno la luce anche all’interno del suo territorio: la lotta contro l’egemonia americana, l’amicizia con la Cuba di Castro, con la Libia di Gheddafi e con l’Iran. Ma anche l’appoggio alla Palestina. Chavez arrivò ad espellere dal proprio Paese gli ambasciatori israeliani, chiudendo totalmente i rapporti diplomatici con Israele.
Si può dire parecchio di Chavez, si possono approvare le sue scelte oppure condannarle, ma di certo non si può affermare che non avesse coraggio.
Le leggi più importanti
Sotto la sua guida il Venezuela è cambiato, in meglio o in peggio, non spetta a noi dirlo.
Nel 2001 nacque la cosiddetta “legge sulla terra” che dava allo Stato i poteri di confiscare e ridistribuire i terreni privati. A quelli che parlarono di dittatura agraria, Chavez risposte parlando di lotta ai latifondisti. Questi ultimi cercarono anche di cacciarlo, scendendo in piazza e asserragliando il Palazzo del Governo. Ma non ci riuscirono. Durante quel tentativo il Presidente decise di utilizzare le maniere forti, morirono 200 persone dopo 48 ore di saccheggi e paure.
Molto discussa la decisione del 2007 di chiudere RCTV, una delle più vecchie reti televisive del Paese. La scelta fece storcere il naso a parecchi, primi fra tutti i rappresentanti di Amnesty international che parlarono di violazione dei diritti civili e soprattutto della libertà d’informazione simbolo di una Nazione democratica.
Nel 2009 fece approvare una legge sulle unioni civili e ne promosse un’altra, non ancora approvata, contro l’omofobia.
Il rapporto con gli USA e le parole della stampa americana
Quello che si legge oggi sulla stampa americana, a poche ore dalla morte di Hugo Chavez, non è di certo un elogio alla sua vita e alla sua figura di eroe popolare.
L’Economist ricorda il tasso d’omicidi triplicato sotto di lui, evidenziando anche che Caracas è diventata la terza città più pericolosa del Sudamerica.
Altri giornali parlano del continuo monitoraggio compiuto ai suoi danni da parte degli osservatori dei diritti umani, cosa necessaria a causa “delle sue numerose violazioni”. Altri ancora descrivono la poca tolleranza nei confronti dell’opposizione e la decisione di espellere dal Venezuela i suoi detrattori, come fece con José Miguel Vivanco, l’avvocato cileno direttore della sezione America latina di Human Rights Watch.
E ancora: corruzione, violenza, pessima gestione delle carceri, intimidazione. Tutte piaghe che Chavez ha contribuito a cancellare.
Sudamerica in lutto
“Un dittatore amico di dittatori”, lo descrivono in molti, ricordando soprattutto i suoi rapporti con Castro.
Ma nonostante questo, tutto il Sudamerica piange oggi la sua morte. I presidenti brasiliano Dilma Rousseff, boliviano Evo Morales, argentino Cristina Fernandez Kirchner, uruguaiano Josè Mujica e peruviano Ollanta Humala, hanno già annunciato la loro partecipazione ai funerali che si terranno venerdì a Caracas.
Tre giorni di lutto nazionale sono stati proclamati a Cuba ed in Ecuador. Molto sentite soprattutto le parole del Presidente boliviano, Evo Morales:
"E’ morto un compagno rivoluzionario, che ha lottato per l’America Latina, che ha dato la sua vita per la liberazione del continente. Sarà sempre con noi".
Lacrime per Nicolas Maduro, vicepresidente del Venezuela che, durante il discorso alla Nazione con il quale ne annunciava la morte, ha pronunciato parole molto toccanti:
“Chi muore per la vita non puo’ essere considerato morto. Che viva Chavez.”
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