sabato 3 marzo 2012

BUON COMPLEANNO EDMONDO!




Caro Edmondo,anche se in ritardo, è con immenso piacere che voglio farti gli auguri di buon compleanno anche attraverso il nostro blog e con me ricevi gli auguri di tutti gli amici che hai avuto occasione di conoscere attraverso questo  "viaggio virtuale".

I compleanni sono giorni speciali,non conta quanti ma come sono.


 In sottofondo stai già ascoltando, come mi avevi chiesto, una canzone di Lucio Dalla. Ho scelto "Canzone" e spero che sia di tuo gradimento , perchè esprime tranquillità e serenità, ed è quello che ti auguriamo NOI tutti di cuore!







Un proverbio della sardegna dice :


Si queres cumparrer jovanu, faghedi sa barba dogni die.


(Se vuoi apparire giovane, fatti la barba ogni giorno.)













Annamaria , Maria, Annamaria2,Enzo, Lorenzo, Tonino,Caterina, Mimma, ...

PENSIERO DI OGGI

PENSIERO POSITIVO DI OGGI 





Mi accetto profondamente e mi rispetto per quello che sono ora






 Amici, augurandovi un sereno fine settimana,vi lasciamo con la lettura della storia di un piccolo eroe, che i francesi chiamano Petit Poucet, perchè era grande appena come il dito pollice. E' stata forse inventata apposta per dar ragione e autorità a quell'antico proverbio che dice:

"Gli uomini non si misurano a canne!".

Puccettinodi Carlo Collodi

C'era una volta un taglialegna e una taglialegna, i quali avevano sette figliuoli, tutti maschi: il maggiore aveva dieci anni, il minore sette. Farà forse caso di vedere come un taglialegna avesse avuto tanti figliuoli in così poco tempo: ma egli è, che la sua moglie era svelta nelle sue cose, e quando ci si metteva, non faceva meno di due figliuoli alla volta.
E perché erano molto poveri, i sette ragazzi davano loro un gran pensiero, per la ragione che nessuno di essi era in grado di guadagnarsi il pane.
La cosa che maggiormente li tormentava, era che il minore veniva su delicato e non parlava mai: e questo che era un segno manifesto di bontà del suo carattere, lo scambiavano per un segno di stupidaggine.
Il ragazzo era minuto di persona; e quando venne al mondo, non passava la grossezza di un dito pollice; per cui lo chiamarono Puccettino.
Capitò un'annata molto trista, nella quale la carestia fu così grande, che quella povera gente risolvettero di disfarsi de' loro figliuoli.
Una sera che i bambini erano a letto, e che il taglialegna stava nel canto del fuoco, disse, col cuore che gli si spezzava, alla sua moglie:
"Come tu vedi, non abbiamo più da dar da mangiare ai nostri figliuoli: e non mi regge l'animo di vedermeli morir di fame innanzi agli occhi: oramai io sono risoluto a menarli nel bosco e farveli sperdere; né ci vorrà gran fatica, perché, mentre essi si baloccheranno a far dei fastelli, noi ce la daremo a gambe, senza che abbiano tempo di addarsene".
"Ah!", gridò la moglie, "e puoi tu aver tanto cuore da sperdere da te stesso le tue creature?"
Il marito ebbe un bel tornare a battere sulla miseria, in cui si trovavano; ma la moglie non voleva acconsentire a nessun patto. Era povera, ma era madre: peraltro, ripensando anch'essa al dolore che avrebbe provato se li avesse veduti morire di fame, finì col rassegnarvisi, e andò a letto piangendo.
Puccettino aveva sentito tutti i loro discorsi: e avendo capito, dal letto, che ragionavano di affari, si levò in punta di piedi, sgattaiolando sotto lo sgabello di suo padre, per potere ascoltare ogni cosa senz'esser visto.
Quindi ritornò a letto, e non chiuse un occhio nel resto della nottata, rimuginando quello che doveva fare. Si levò a giorno, e andò sul margine di un ruscello, dove si riempì la tasca di sassolini bianchi: poi chiotto chiotto se ne tornò a casa.
Partirono, ma Puccettino non disse nulla ai suoi fratelli di quello che sapeva.
Entrarono dentro una foresta foltissima, dove alla distanza di due passi non c'era modo di vedersi l'uno coll'altro. Il taglialegna si messe a tagliar legne, e i ragazzi a raccogliere delle frasche per far dei fastelli.
Il padre e la madre, vedendoli intenti al lavoro, si allontanarono adagio adagio, finché se la svignarono per un viottolo fuori di mano.
Quando i ragazzi si videro soli, si misero a strillare e a piangere forte forte.
Puccettino li lasciò berciare, essendo sicuro che a ogni modo sarebbero tornati a casa; perché egli, strada facendo, aveva lasciato cadere lungo la via i sassolini bianchi che s'era messi nella tasca.
"Non abbiate paura di nulla, fratelli miei", disse loro, "il babbo e la mamma ci hanno lasciati qui soli; ma io vi rimenerò a casa: venitemi dietro."
Essi infatti lo seguirono, ed egli li menò per la stessa strada che avevano fatta, andando al bosco. Da principio non ebbero coraggi d'entrarvi: e si messero in orecchio alla porta di casa per sentire quello che dicevano fra loro, il padre e la madre.
Ora bisogna sapere che quando il taglialegna e sua moglie rientrarono in casa, trovarono che il signore del villaggio aveva mandato loro dieci scudi, di cui era debitore da molto tempo, e sui quali non ci contavano più. Questo bastò per rimettere un po' di fiato in corpo a quella povera gente, che era proprio a tocco e non tocco per morir di fame.
Il taglialegna mandò subito la moglie dal macellaro. E siccome era molto tempo che non s'erano sfamati, essa comprò tre volte più di carne di quella che ne sarebbe abbisognata per la cena di due persone.
Quando furono pieni, la moglie disse:
"Ohimè! dove saranno ora i nostri figliuoli? se fossero qui potrebbero farsi tondi coi nostri avanzi! Ma tant'è, Guglielmo, se' stato tu che hai voluto smarrirli: ma io l'ho detto sempre che ce ne saremmo pentiti. Che faranno ora nella foresta? Ohimè! Dio mio! i lupi forse a quest'ora l'hanno bell'e divorati. Proprio non bisogna aver cuore, come te, per isperdere i figliuoli a questo modo!...".
Il taglialegna perse la pazienza, perché la moglie tornò a ripetere più di venti volte che egli se ne sarebbe pentito, e che essa l'aveva di già detto e ridetto: e minacciò di picchiarla se non si fosse chetata.
Questo non voleva dire che il taglialegna non potesse essere anche più addolorato della moglie; ma essa lo tormentava troppo: ed egli somigliava a tanti altri, che se la dicono molto colle donne che parlano con giudizio, ma non possono soffrire quelle che hanno sempre ragione.
La taglialegna si struggeva in pianti, e seguitava sempre a dire:
"Ohimè! dove saranno ora i miei bambini? i miei poveri bambini?".
Una volta, fra le altre, lo disse così forte, che i ragazzi, che erano dietro l'uscio, la sentirono e gridarono tutti insieme: "Siamo qui! siamo qui!".
Essa corse subito ad aprir l'uscio e, abbracciandoli, disse:
"Che contentezza a rivedervi, miei cari figliuoli! Chi lo sa come siete stanchi, e che fame avete! e tu, Pieruccio, guarda un po' come ti sei inzaccherato! vien qua, che ti spillaccheri".
Pieruccio era il maggiore dei figliuoli e la madre gli voleva più bene che agli altri, perché era rosso di capelli come lei.
Si messero a tavola e mangiarono con un appetito, che fecero proprio consolazione al babbo e alla mamma, ai quali raccontarono, parlando quasi tutti nello stesso tempo, la gran paura che avevano avuta nella foresta.
Quella buona gente era tutta contenta di rivedere i figliuoli in casa; ma la contentezza durò finché durarono i dieci scudi. Quando questi finirono, tornarono al sicutera delle miserie, e allor decisero di smarrirli daccapo; e per andare sul sicuro, pensarono di condurli molto più lontani della prima volta. Peraltro di questa cosa non poterono parlarne con tanta segretezza, che Puccettino non sentisse tutto; il quale pensò di cavarsene fuori col solito ripiego: se non che, quantunque si alzasse sul far del giorno per andare in cerca di sassolini bianchi, rimase proprio come quello, e non poté far nulla, perché trovò l'uscio di casa serrato a doppia mandata.
Egli non sapeva davvero che cosa stillarsi, quando ecco che la madre dette a ciascuno di loro un pezzo di pane per colazione. Allora gli venne in capo che di quel pane avrebbe potuto servirsene, invece dei sassolini, seminando i minuzzoli lungo la strada per dove sarebbero passati. E si messe il pane in tasca.
Il padre e la madre li condussero nel punto più folto e più oscuro della foresta: e quando ci furono arrivati, essi presero una scappatoia e via.
Puccettino non se ne fece né in qua né in là, perché sapeva di poter ritrovare facilmente la strada coll'aiuto dei minuzzoli sparsi; ma figuratevi come rimase, quando si accorse che i minuzzoli glieli avevano beccati gli uccelli.
Eccoli dunque tutti afflitti, perché più camminavano e più si perdevano nella foresta. Intanto si fece notte e si alzò un vento da far paura. Pareva ad essi di sentire da tutte le parti urli di lupi, che si avvicinavano per mangiarli. Non avevano fiato né per discorrere, né per voltarsi indietro.
Venne poi una grand'acqua che li bagnò fin sotto la pelle: a ogni passo sdrucciolavano e cascavano nella mota: e quando si rizzavano tutti infangati, non sapevano dove mettersi le mani.
Puccettino montò in cima a un albero per vedere se scuopriva paese; e guardando da ogni parte, vide un lumicino piccino, come quello di una candela, il quale era lontano lontano, molto al di là della foresta.
Scese dall'albero: e quando fu in terra, non vide più nulla. Questa cosa gli diede un gran dolore.
Nonostante, camminando innanzi coi suoi fratelli, verso quella parte dove aveva veduto il lumicino, finì col rivederlo da capo mentre usciva fuori del bosco.
Arrivarono finalmente alla casa dove si vedeva questo lume: non senza provare delle grandi strette al cuore, perché di tanto in tanto lo perdevano di vista, segnatamente quando camminavano in qualche pianura molto bassa.
Picchiarono a una porta: una buona donna venne loro ad aprire, e domandò loro che cosa volevano.
Puccettino disse che erano poveri ragazzi che s'erano spersi nella foresta, e che chiedevano da dormire per amor d'Iddio.
La donna, vedendoli tutti così carini, si messe a piangere, e disse:
"Ohimè! poveri miei figliuoli, dove siete mai capitati? Ma non sapete che questa è la casa dell'Orco che mangia tutti i bambini?".
"Ah, signora", rispose Puccettino, il quale tremava come una foglia, e così i suoi fratelli. "Che cosa volete che facciamo? Se non ci pigliate in casa, è sicuro che i lupi stanotte ci mangeranno. E in tal caso, è meglio che ci mangi questo signore. Forse se voi lo pregate, potrebbe darsi che avesse compassione di noi."
La moglie dell'Orco, sperando di poterli nascondere a suo marito fino alla mattina dopo, li lasciò entrare e li menò a riscaldarsi intorno a un buon fuoco, dove girava sullo spiede un montone tutt'intero, che doveva servire per la cena dell'Orco.
Mentre cominciavano a riscaldarsi, sentirono battere tre o quattro colpi screanzati alla porta. Era l'Orco che tornava.
In men d'un baleno, la moglie li nascose tutti sotto il letto ed andò ad aprire.
L'Orco domandò subito se la cena era lesta e il vino levato di cantina: e senza perder tempo si mise a tavola. Il montone non era ancora cotto e faceva sempre sangue, e per questo gli parve anche più buono. Poi, fiutando di qua e di là, cominciò a dire che sentiva odore di carne viva.
"Sarà forse", disse la moglie, "quel vitello che ho spellato or ora, che vi mette per il naso quest'odore."
"E io dico che sento l'odore di carne viva", riprese l'Orco guardando la moglie di traverso, "e qui ci deve essere qualche sotterfugio!..."
Nel dir così si alzò da tavola e andò difilato verso il letto.
"Ah!", egli gridò, "tu volevi dunque ingannarmi, brutta strega? Non so chi mi tenga dal fare un boccone anche di te. Buon per te, che sei vecchia e tigliosa! Ecco qui della selvaggina, che mi capita in buon punto per far trattamento a tre Orchi miei amici, che verranno da me in questi giorni."
E li tirò fuori di sotto il letto, uno dietro l'altro.
Quei poveri bambini si buttarono in ginocchio, chiedendogli perdono, ma avevano da fare col più crudele di tutti gli Orchi, il quale, facendo finta di sentirne compassione, li mangiava di già cogli occhi prima del tempo, dicendo alla moglie che sarebbero stati una pietanza delicata, in specie se gli avesse accomodati con una buona salsa.
Andò a prendere un coltellaccio, e avvicinandosi a quei poveri figliuoli, lo affilava sopra una lunga pietra che egli teneva nella mano sinistra.
E ne aveva già agguantato uno, quando la moglie gli disse:
"Che ne volete voi fare a quest'ora? non sarebbe meglio aspettare a domani?".
"Chetati, te!", riprese l'Orco. "Così saranno più frolli."
"Ma ve ne avanza ancora tanta della carne! C'è qui un vitello, un montone e un mezzo maiale..."
"Hai ragione", disse l'Orco, "rimpinzali dunque per bene, perché non abbiano a smagrire, e portali a letto."
Quella buona donna, fuor di sé dalla contentezza, dette loro da cena: ma essi non poterono mangiare a cagione della gran paura che avevano addosso.
In quanto all'Orco, ricominciò a bere, soddisfattissimo di aver trovato di che regalare ai suoi amici. Vuotò una dozzina di bicchieri di più del solito, finché il vino gli die' al capo e fu obbligato ad andare a letto.
L'Orco aveva sette figliuole, che erano sempre bambine, le quali erano tutte di un bel colorito, perché, come il padre, si cibavano di carne cruda; ma avevano degli occhiettini grigi e tondi, e il naso a punta e una bocca larghissima, con una rastrelliera di denti lunghi, affilati e staccati l'uno dall'altro.
Non erano ancora diventate cattive: ma promettevano bene, perché di già mordevano i fanciulli per succhiare il sangue.
Le avevano mandate a dormire di buon'ora, ed erano tutte e sette in un gran letto, ciascuna con una corona d'oro sulla testa.
Nella stessa camera c'era un altro letto della medesima grandezza. Fu appunto in questo letto che la moglie dell'Orco messe a dormire i sette ragazzi; e dopo andò a coricarsi accanto a suo marito.
Puccettino, che s'era avviso che le figlie dell'Orco portavano una corona d'oro in capo, e che aveva sempre paura che l'Orco non si ripentisse di averli sgozzati subito, si levò verso mezzanotte, e prendendo i berretti dei fratelli ed il suo, andò pian pianino a metterli sul capo delle sette figlie dell'Orco, dopo aver loro levata la corona d'oro, che pose sul capo suo e de' suoi fratelli, perché l'Orco li scambiasse per le proprie figlie, e pigliasse le sue figlie per i fanciulli che voleva sgozzare.
E la cosa andò appuntino com'egli se l'era figurata; perché l'Orco, svegliatosi sulla mezzanotte, si pentì di aver differito al giorno dopo quello che poteva aver fatto la sera stessa.
Saltò dunque il letto bruscamente, e prendendo il coltellaccio:
"Andiamo un po' a vedere", disse, "come stanno queste birbe; e facciamola finita una volta per tutte".
Quindi salì a tastoni nella camera delle sue figlie, e si avvicinò al letto dove erano i ragazzi, i quali dormivano tutti, meno Puccettino, che ebbe una gran paura quando sentì l'Orco che gli tastava la testa, come l'aveva già tastata ai suoi fratelli.
L'Orco sentendo la corona d'oro, disse:
"Ora la facevo bella davvero! Si vede proprio che ieri sera ne ho bevuto mezzo dito di più".
Allora andò all'altro letto, e avendo sentito i berretti dei ragazzi:
"Eccoli", disse, "questi monellacci! Lavoriamo di fine".
E nel dir così, senza esitare, tagliò la gola alle sue sette figliuole.
Contentissimo del fatto suo, andò di nuovo a coricarsi accanto alla moglie.
Appena che Puccettino sentì l'Orco che russava, svegliò i suoi fratelli e disse loro di vestirsi subito e di seguirlo. Scesero in punta di piedi nel giardino e scavalcarono il muro. Corsero a gambe quasi tutta la notte, tremando come foglie, e senza sapere dove andavano.
Quando l'Orco si svegliò, disse alla moglie:
"Va' un po' a vestire quei monelli di ieri sera".
L'Orchessa restò molto meravigliata della bontà insolita di suo marito, e non le passò neanche dalla mente che per vestirli egli volesse intendere un'altra cosa, credendo in buona fede di doverli andare a vestire. Salì dunque di sopra, e rimase senza fiato in corpo, vedendo le sue sette figliuole scannate e immerse nel proprio sangue. Cominciò subito dallo svenirsi, essendo questo il primo espediente, a cui in simili casi ricorrono tutte le donne.
L'Orco, temendo che la moglie non mettesse troppo tempo a far quello che le aveva ordinato, salì di sopra anche lui per darle una mano; e non rimase meno sconcertato alla vista di quello spettacolo orrendo.
"Ah! che ho mai fatto?", gridò. "Ma quei disgraziati me la pagheranno, e subito!"
E senza mettere tempo in mezzo, gettò una brocca d'acqua sul naso della moglie, e così avendola fatta tornare in sé:
"Dammi subito", disse, "i miei stivali di sette chilometri, perché io li voglio raggiungere".
E uscì fuori all'aperta campagna, e dopo aver corso di qua e di là, finalmente infilò la strada che battevano per l'appunto quei poveri ragazzi, che erano forse distanti non più di cento passi dalla casa paterna.
Essi videro l'Orco che passava di montagna in montagna, traversando i fiumi colla stessa facilità come se fossero stati rigagnoli.
Puccettino avendo occhiata una roccia incavata, lì vicino al luogo dove si trovavano, vi fece nascondere i sei fratelli, e vi si nascose anch'esso, senza perdere peraltro di vista tutte le mosse dell'Orco.
L'Orco che cominciava a sentirsi rifinito dalla strada fatta (perché gli stivali di sette chilometri son molto faticosi per chi li porta), pensò di ripigliar fiato, e il cielo volle che andasse per l'appunto a sedersi sopra la roccia, dove quei ragazzi si erano nascosti.
E siccome era stanco morto, dopo essersi sdraiato si addormentò, e si messe a russare con tanto fracasso, che i poveri ragazzi ebbero la stessa paura di quando lo videro col coltellaccio in mano, in atto di far loro la festa.
Ma Puccettino non ebbe tutta questa paura, e disse ai fratelli di scappare a gambe verso casa, mentre l'Orco dormiva come un ghiro; e di non stare in pena per lui.
Essi non se lo fecero dir due volte, e in pochi minuti arrivarono a casa.
Puccettino intanto si avvicinò all'Orco: gli levò adagino gli stivali, e se l'infilò per sé.
Questi stivali erano molto grandi e molto larghi, ma perché eran fatati, avevano la virtù d'ingrandirsi e di rimpicciolirsi, secondo la gamba di chi li calzava: per cui, gli tornavano precisi, come se fossero stati fatti per il suo piede.
Eglì andò di carriera alla casa dell'Orco, dove trovò la moglie che piangeva per le figlie uccise.
"Vostro marito", le disse Puccettino, "si trova in un gran pericolo: è cascato fra le mani di una banda di assassini, che hanno giurato di ucciderlo, se non consegna loro tutto il suo oro e il suo argento. Mentre gli stavano col pugnale alla gola, esso mi ha visto, e mi ha pregato di venir qui per avvertirvi della sua trista condizione e per invitarvi a darmi tutto quello che egli possiede di prezioso, senza ritenervi nulla, perché caso diverso, lo uccideranno senz'ombra di misericordia. E siccome il tempo stringe, egli ha voluto che prendessi i suoi stivali di sette chilometri, come vedete, e non solo perché mi spicciassi, ma anche perché possiate accertarvi che non sono un imbroglione."
La buona donna, tutta spaventata, gli diede ogni cosa che aveva; perché l'Orco, in fin dei conti, era un buon marito, quantunque fosse ghiotto di bambini.
Puccettino, col carico addosso di tutte le ricchezze dell'Orco, tornò a casa del padre, dove fu accolto con grandissima festa.
C'è per altro della gente che non crede che la cosa finisse così; e pretendono che Puccettino non commettesse mai questo furto a danno dell'Orco: e che solo non si facesse scrupolo di prendergli gli stivali di sette chilometri, perché egli se ne serviva unicamente per dare la caccia ai ragazzi.
Questi tali accertano di aver saputo la verità proprio sul posto, per essersi trovati a mangiare e bere nella stessa casa del taglialegna.
Raccontano, dunque, che quando Puccettino ebbe infilato gli stivali dell'Orco, se ne andò alla Corte, dove stavano tutti in gran pensiero per un'armata, che era in campagna alla distanza di duecento chilometri, e per l'esito di una battaglia data pochi giorni avanti.
Dimodoché Puccettino andò a trovare il Re e gli disse che se lo desiderava avrebbe potuto portargli le notizie dell'armata, prima del calar del sole. E il Re gli promise una grossa somma, se egli fosse stato da tanto.
La sera stessa Puccettino ritornò colle notizie dell'armata; e questa prima corsa avendolo messo in buona vista, guadagnava quel che voleva; perché il Re lo pagava profumatamente, valendosi di lui per portare i suoi ordini al campo; e un'infinità di signore gli davano quel che chiedeva, per aver le nuove dei loro amanti; e questo fu il guadagno più concludente di tutti gli altri. Ci furono anche alcune mogli che gli consegnarono delle lettere per i loro mariti; ma esse pagavano coi gomiti, e il profitto era così meschino, che egli non si degnò nemmeno di segnare nel libro degli utili i piccoli benefizi che gli pervenivano per questo titolo.
Dopo aver fatto per qualche tempo il mestiere del corriere, e avere ammassato grandi ricchezze, ritornò alla casa di suo padre, dove non è possibile immaginarsi la festa che gli fecero nel rivederlo fra loro.
Egli mise la sua famiglia nell'agiatezza; comprò degl'impieghi, di recente fondazione, per il padre e per i fratelli: formò a tutti uno stato conveniente; e gli rimase sempre un ritaglio di tempo, tanto da fare il damerino colle signore.

Notte degli Oscar 2012

Si sono da poco spenti i riflettori sulla notte degli oscar 2012


                 

nella quale sono stati rispettati tutti i pronostici della vigilia e degli scommettitori professionisti: The Artist  ha vinto 5 Oscar tra cui quelli principali: miglior film, miglior regia (Michel Hazanavicius), miglior attore (Jean Dujardin, che ha sconfitto le star George Clooney e Brad Pitt), miglior colonna sonora e miglior costumi.



                                                                                                


Hugo Cabret di Martin Scorsese ha pareggiato i conti solo numericamente, con 5 premi “tecnici” che pure mettono in risalto le grandissime qualità del suo film: dalle splendide scenografie dei “nostri” Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo (terzo Oscar per loro, dopo quelli per Aviator e Sweeney Todd), che hanno ricostruito la stazione di Parigi e i suoi interni, alla fotografia, dal montaggio e missaggio sonoro agli effetti speciali.



                                                                                                                                  Tra gli altri premi, la miglior attrice è risultata Meryl Streep in versione Margaret Thatcher in The Iron Lady (film premiato anche per il miglior trucco), 
                       

                                                                                                                         i premi per la sceneggiatura sono andati a Midnight in Paris  di Woody Allen (originale) e a Paradiso amaro di Alexander Payne (adattamento), per l’animazione a Rango di Gore Verbinski, per il miglior film straniero all’iraniano Una separazione di Asghar Farhadi (un vero capolavoro).                                                                                          Gli attori non professionisti sono risultati Octavia Spencer per The Help e Christopher Plummer per l’inedito, in Italia, Beginners.                                                                                 Infine, miglior montaggio al remake Millennium - Uomini che odiano le donne.                                                                                  
Oscar ben assegnati che hanno il torto di aver lasciato in disparte il film cinematograficamente più potente, ambizioso e in definitiva artisticamente migliore del 2011, ovvero The Tree of Life di Terrence Malick, che però era stato premiato a Cannes con la Palma d’oro, sconfiggendo The Artist.                                                                                                                              Alla fine, sono stati messi in rilievo quasi tutti i film migliori della ricca stagione, anche se  Drive  e  Le idi di marzo  meritavano di più.                                                                                 Meritatamente Paradiso amaro,  L’arte di vincere,  The Help,  Midnight in Paris  e  War Horse , tra numerose nomination e statuette sono stati ben individuati come i film principali dell’anno dopo i “leader” The Artist e Hugo Cabret.
Due film, questi ultimi, accomunati dall’amore per la grande storia del cinema del passato, che riescono a far rivivere senza passatismi polverosi.                                                                                                                      The Artist  è un trionfatore degno, che si fa apprezzare per il coraggio della scommessa impensabile fino a pochi mesi fa di girare oggi un film muto e in bianco e nero; è quindi un bel film divertente ed emozionante, ma soprattutto un’intelligente operazione, che ci fa piacere veder premiare.                                                                                                                                  Ecco, forse dopo aver visto Hugo Cabret del grande Martin Scorsese un po’ di amaro in bocca : un film magnifico che parte dalla rievocazione del cinema dei pionieri e in particolare di Georges Meliès per diventare una storia di sconfitti che si rialzano, di figli orfani in cerca di padri e di ragazzi in rapporto con adulti.  Soprattutto, di persone che cercano il proprio posto, il proprio senso, altrimenti si sentono “rotte”, senza utilità per sé e per gli altri in un mondo oscuro.  Oltre tutto rivolgendosi alla famiglia, presentata come valore, e riuscendo a parlare a bambini, dai 7-8 anni in su, e ragazzi di temi come la morte, la perdita, il dolore, la guerra in modo comprensibile e intelligente.








Ecco ora le nuove uscite da venerdì 2 marzo nelle sale cinematografiche:


Henry





Un cinema finalmente dissonante sul mondo e smarcato dai canoni dominanti
Regia di Alessandro Piva. Con Carolina Crescentini, Claudio Gioé, Aurelien Gaya, Pietro De Silva, Eriq Ebouaney.
Genere Drammatico - Italia 2011 - Durata 86 minuti circa.


Il commissario Silvestri ha una moglie zelante, un figlio in arrivo e un duplice omicidio da risolvere dentro una Roma livida che spaccia droga e consuma vite. La sua indagine incrocia le esistenze giovani e compromesse di Nina e Gianni, coinvolti loro malgrado nell'assassinio di uno spacciatore e di sua madre. Istruttrice di aerobica lei, perdigiorno lui, i giovani amanti provano a collaborare e a uscire maldestramente da una storia più grande di loro. Sullo sfondo dell'omicidio si muovono intanto clan malavitosi impegnati a conquistare un posto di prestigio nel mercato dell'eroina. Tra delinquenti africani e deliranti, spetterà a Silvestri rimettere ordine e individuare i colpevoli. Il prezzo da pagare sarà però altissimo.




The Woman in Black




Storia di fantasmi visivamente attraente ma narrativamente inespressiva
Un film di James Watkins. Con Daniel Radcliffe, Ciarán Hinds, Janet McTeer, Liz White, Shaun Dooley.
Genere Drammatico - Gran Bretagna, Canada, Svezia 2011 - Durata 95 minuti circa.


Dalla Londra in cui vive con il figlioletto di tre anni e una governante, l'avvocato Arthur Kipps si reca per conto del suo studio legale in uno sperduto villaggio della brughiera inglese al fine di sbrigare alcune questioni legate a Eal Marsh House. Che la tetra e isolata magione spaventi a morte gli abitanti del luogo appare subito chiaro dalla diffidenza dimostratagli così come da una diffusa ritrosia a parlare di una spaventosa leggenda temuta da tutti. A sue spese, Kipps decide di andare a fondo in un groviglio di paura e dolore in cui le apparizioni di una donna in nero sembrano strettamente connesse alla morte improvvisa di alcuni bambini.


50 e 50




Un lungometraggio che affronta il tema della malattia con ironia e leggerezza
Un film di Jonathan Levine. Con Joseph Gordon-Levitt, Seth Rogen, Anna Kendrick, Bryce Dallas Howard, Anjelica Huston.
Genere Commedia drammatica - USA 2011 - Durata 100 minuti circa.


La vita del ventisettenne Adam scorre tranquilla, forse fin troppo. A complicare le cose arriva la peggiore delle notizie: è malato di cancro. Da quel momento il ragazzo entra in uno stato di passiva accettazione della malattia da cui nessuno sembra scuoterlo: non la sua ragazza che lo tradisce, non il suo migliore amico mattacchione, non la sua inesperta e volenterosa terapista, che tenta con lui un approccio umano. Adam continua a nascondere prima di tutto a se stesso paura, rabbia, frustrazione e tutti i sentimenti che la malattia porta con sé. Passando attraverso la chemioterapia e tutte le altre fasi della cura il ragazzo comprenderà alla fine ciò che vuole più di tutto e quali sono le persone che davvero tengono a lui.


Safe House - Nessuno è al sicuro




Momenti di violenza quasi coreografica e intelligenti variazioni sui più duraturi luoghi comuni dello spy-movie
Un film di Daniel Espinosa. Con Denzel Washington, Ryan Reynolds, Vera Farmiga, Brendan Gleeson,Sam Shepard.
Genere Thriller - USA, Sudafrica 2012 - Durata 115 minuti circa.


Latitante da dieci anni, Tobin Frost, ex agente della CIA in possesso di un microchip con documenti compromettenti, viene catturato e portato nella Safe House gestita da Matt Weston, ufficiale leale all'organizzazione deciso a migliorare la propria posizione lavorativa. Poco dopo l'inizio dell'interrogatorio, un gruppo di mercenari fa irruzione nella zona protetta cercando di uccidere la pericolosa spia, che riesce però a fuggire insieme al suo custode. Ora, il compito di Matt è quello di portare in salvo il detenuto tra le fughe di quest'ultimo e un gioco sporco in cui il volto dei buoni e dei cattivi paiono confondersi sempre di più.


Gli sfiorati


Matteo Rovere torna a provocare raccontando una generazione incapace allo svolgimento e alla pienezza
Un film di Matteo Rovere. Con Andrea Bosca, Miriam Giovanelli, Claudio Santamaria, Michele Riondino,Asia Argento.
Genere Drammatico - Italia 2011 - Durata 111 minuti circa.


Mète è un giovane uomo ossessionato da Belinda, figlia del padre e di una donna amata da vent’anni. Orfano di madre da pochi mesi, è costretto a partecipare alle nozze del genitore, e a prendersi cura per qualche giorno della sorellastra. Imbarazzato dalla sua ospite bionda, si costringe fuori e occupato con l’amico Damiano e il collega Bruno. Incallito donnaiolo il primo, padre separato il secondo, Damiano e Bruno lo distraggano da Belinda, sistemata sul suo divano con una t-shirt, un paio di mutandine e una sigaretta tra le labbra. Grafologo esperto e appassionato, approccia la vita come un tracciato grafico, alla ricerca di risposte comportamentali e di emozioni celate dietro la forma, sotto la pressione, dentro la dimensione della scrittura. Tra una perizia e un testamento contestato, sarà costretto a rincasare e a ‘trattare’ chi aveva soltanto ‘sfiorato’.


Posti in piedi in paradiso




Commedia di situazione sulla crisi moderna che straripa in personaggi e microstorie
Un film di Carlo Verdone. Con Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Micaela Ramazzotti, Diane Fleri.
Genere Commedia - Italia 2012 - Durata 119 minuti circa.


Tre uomini divorziati ed estremamente diversi per carattere e abitudini decidono di condividere un fatiscente appartamento romano per venire incontro alle difficoltà economiche dettate dalla crisi e dalle personali debolezze. Achille gestisce un negozio di vinili e di memorabilia del suo glorioso passato di produttore discografico; Fulvio è stato un importante critico cinematografico prima di finire a scrivere di gossip e starlette a causa di una relazione epistolare intrattenuta con la moglie del suo caporedattore; Domenico, invece, è un agente immobiliare scapestrato che il vizio del gioco e delle donne ha ridotto a vivere dove capita e a dover pagare gli alimenti a un numero di figli e di famiglie imprecisato. I tre vitelloni si ritrovano a fare i conti con una difficile convivenza, finché una sera Domenico, che arrotonda le entrate come escort, viene colto da un malore dopo aver preso troppo viagra e fa chiamare a casa Gloria, una stramba cardiologa con seri problemi sentimentali.


Cesare deve morire




Shakespeare entra in carcere e ancora una volta si fa nostro contemporaneo
Un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani. Genere Docu-fiction - Italia 2012


Nel teatro all'interno del carcere romano di Rebibbia si conclude la rappresentazione del “Giulio Cesare” di Shakespeare. I detenuti/attori fanno rientro nelle loro celle. Sei mesi prima: il direttore del carcere espone il progetto teatrale dell'anno ai detenuti che intendono partecipare. Seguono i provini nel corso dei quali si chiede ad ogni aspirante attore di declinare le proprie generalità con due modalità emotive diverse. Completata la selezione si procede con l'assegnazione dei ruoli chiedendo ad ognuno di imparare la parte nel proprio dialetto di origine. Progressivamente il “Giulio Cesare” shakesperiano prende corpo.


. . . e da lunedì 5 marzo . . .


Project Nim


Un esperimento etologico fallito narrato in un documentario perfettamente riuscito
Un film di James Marsh. Con Herbert Terrace, Stephanie LaFarge, Jenny Lee, Laura-Ann Petitto, Joyce Butler.
Genere Documentario - Gran Bretagna 2011 - Durata 93 minuti circa.


Agli inizi degli Anni Settanta lo scienziato comportamentista Herbert Terrace della Columbia University, stabilito che il 98,7% del DNA degli esseri umani e degli scimpanzé coincide decide di cercare di provare che sia possibile insegnare loro un linguaggio (quello dei segni) in netto contrasto con la teoria di Noam Chomsky il quale sostiene che solo gli uomini siano in grado di utilizzare un codice linguistico. Per fare ciò avvia quello che chiama il "Project Nim" dal nome dato al piccolo scimpanzé che, sottratto in cattività alla madre, viene assegnato a una famiglia che però risulta essere impreparata ad accoglierlo. Nim viene quindi trasferito in una casa di campagna fuori New York dove si prosegue con l'esperimento che però non darà i risultati sperati.


. . . e ancora, da mercoledì 7 marzo . . .


John Carter


Diventare il dio della guerra
Un film di Andrew Stanton. Con Taylor Kitsch, Lynn Collins, Willem Dafoe, Dominic West, Mark Strong.
Genere Avventura - USA 2012. Durata 132 minuti circa.


John Carter è un soldato della guerra civile, che dopo la fine della guerra si trova senza soldi e senza un lavoro, visto che i soldi confederati non hanno più valore visto che il sud ha perso la guerra. Lui e un suo compagno vanno in Arizona per cercare una miniera d'oro, ma dopo che l'amico viene ucciso dagli indiani si rifugia in una caverna vicina. La caverna spaventa gli indiani che sono al suo inseguimento e quando Carter emerge dalla caverna ha una esperienza extra corporea, quando guarda il suo corpo disteso al suolo. Carter guarda Marte nel cielo e gli sembra di esserne attratto. L'uomo viene teletrasportato sul pianeta per diventare Marte il dio della guerra e si ritrova nudo su Marte, dove continua ad inciampare a causa della gravità più bassa.




. . . e per finire, da giovedì 8 marzo . . .


A Simple Life


Un raffinato e toccante racconto che dona una lezione di compostezza
Un film di Ann Hui. Con Andy Lau, Deanie Ip, Wang Fuli, Qin Hailu, Paul Chiang.
Genere Drammatico - Hong Kong 2011 - Durata 117 minuti circa.


Ispirato a fatti e persone reali, il film narra la storia di Chung Chun-Tao, detta Ah Tao, nata a Taishan, in Cina. Il padre adottivo muore durante l’occupazione giapponese e la madre la manda a lavorare. Appena adolescente, Chung Chun-Tao diventa una “amah“, una serva, per la famiglia Leung, condividendone la vita quotidiana. Col tempo alcuni membri della famiglia passano a miglior vita e altri emigrano. Trascorsi sessant’anni, Ah Tao è ora al servizio di Roger, l’unico della famiglia rimasto a Hong Kong, dove lavora nell’industria cinematografica.





Buona visione a tutti . . . da Maria !

venerdì 2 marzo 2012

LUCIO DALLA . . . cantore dello sport

LUCIO DALLA  . . . cantore dello sport


Incredulità, profonda commozione, sgomento, sono i sentimenti che accomunano tutti i fans e gli amanti della musica italiana che hanno appreso della scomparsa di uno dei più grandi artisti della musica italiana: Lucio Dalla se n'è andato in punta di piedi in una tiepida giornata di marzo a Montreux, in Svizzera, dove si trovava per alcuni concerti.
Un infarto lo ha portato via dal mondo terreno, ma tutti noi lo ricorderemo attraverso le sue canzoni celeberrime che hanno attraversato più di 3 decenni, da "4/03/1943/" a "L'anno che verrà", da "Futura" a "L'ultima luna", da "Caruso" a "Se io fossi un angelo" "Vita" ecc.
Che storia fantastica quella di Lucio . . . musicista di formazione jazz, riscopertosi poi autore dei testi delle sue canzoni in una fase matura, suona da clarinettista e sassofonista, e anche da tastierista. Desidero unirmi al coro di quelli che ricordano Lucio Dalla . . . a me Dalla piaceva assai, uno dei pochi cantautori italiani veramente originali. Ma con Lucio Dalla non se ne va solo un grande esponente della musica italiana, ma anche un grande appassionato di sport : grande fan della Formula 1 e dei motori in genere, egli seguiva da vicino anche il Bologna calcio e la Virtus del basket : famoso è il suo attaccamento alle 'V nere' della Virtus Bologna, una delle due squadre di basket della città emiliana. Oltremodo simpatica la foto che lo vide, con la maglia della Virtus, accanto a 'Gus' Binelli !






E, proprio riguardo al basket, disse una volta: "Sono un grande playmaker. Forse il più grande. Mi ha fregato solo l'altezza".
Nelle sue canzoni ha saputo racchiudere lo spirito e i valori dello sport vero. Da buon emiliano amava le macchine, in particolare le Porsche, ma nel 1992 la sua canzone "Il motore del 2000" venne scelta come colonna sonora dello spot pubblicitario della Fiat Uno Fire.
"Nuvolari" è uno dei suoi brani più celebri e apprezzati dal pubblico, da lui scritto e interpretato nel 1976: "Nuvolari è basso di statura, Nuvolari è al di sotto del normale Nuvolari ha cinquanta chili d'ossa Nuvolari ha un corpo eccezionale. Nuvolari ha le mani come artigli...".
La storica canzone, fu colonna sonora dello spot pubblicitario istituzionale della Alfa Romeo : proprio "Nuvolari" fu uno dei due brani dedicati a due grandi piloti pluricampioni mondiali della storia della Formula 1 del passato: Tazio Nuvolari e Ayrton Senna.
Venti anni dopo, Dalla celebrò infatti l'indimenticabile pilota brasiliano Ayrton Senna, scomparso due anni prima in un terribile incidente durante il Gran Premio di Imola.
"Ayrton" scritta nel 1996, iniziava così: "Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota, e corro veloce per la mia strada, anche se non è più la stessa strada anche se non è più la stessa cosa ...". La canzone "Ayrton" è una canzone dedicata a un pilota, a un automobilista, ma soprattutto a uno sportivo, che davvero racchiude in sé tutti i valori di uno sportivo.







"Ayrton" credo possa rappresentare ogni sportivo, perché se cambiate la parola "piloti" e inserite qualsiasi sport, queste parole valgono sempre: ". . . anche se qui non ci sono piloti, anche se qui non ci sono bandiere, anche se qui non ci sono sigarette e birra che pagano per continuare. per continuare poi che cosa per sponsorizzare in realtà che cosa. E come uomo io ci ho messo degli anni a capire che la colpa era anche mia, a capire che ero stato un poco anch'io e ho capito che era tutto finto. ho capito che un vincitore vale quanto un vinto. ho capito che la gente amava me, potevo fare qualcosa, dovevo cambiare qualche cosa . . . ".
Nel 2008 Dalla aveva scritto prima delle Olimpiadi di Pechino l'Inno degli azzurri, che venne presentato il 9 luglio in un concerto ai Giardini del Quirinale alla presenza degli atleti che di lì a poco sarebbero partiti per la spedizione a 5 cerchi: "Mi ha colpito il gruppo, un humus collettivo, quasi una categoria - disse allora - Tutti campioni. Mi ha fatto piacere che abbiano apprezzato la leggerezza perché l' atleta non ha nulla di marziale, è libero, ha la forza di essere trasgressivo, anche nel fisico. Notavo molti teneramente tatuati. Mi ha colpito Antonio Rossi, il suo discorso alto, determinato, da capogruppo ma soprattutto portabandiera, una responsabilità morale che rappresenta un Paese in grande mutazione come il nostro".
Nel 2001, Dalla dedicò una canzone a Roberto Baggio, all'epoca calciatore del suo Bologna. Il brano "Baggio..Baggio" inizia così : "Sei mai stato il piede del calciatore, che sta per tirare un rigore, e il mignolo destro di quel portiere, che è lì, è lì per parare, meglio, sta molto meglio il pallone, tanto, lo devi solo gonfiare ...". Un amore viscerale quello per squadra di calcio della sua città, che rifletteva l’amore infinito per l’essenza profonda della sua Bologna, città aperta e libera, dove era possibile dormire sull’erba ed aver amici in Piazza Grande, come il grande Lucio sottolineava nella strofa finale della sua Piazza Grande: “. . . e se non ci sarà più gente come me voglio morire in Piazza Grande, fra i gatti che non han padrone come me, attorno a me . . . ”






‘A modo mio, quel che sono l’ho voluto io’: a modo suo, un grande uomo. Ci mancherai.










MARIA...a dopo

UN TABLET PER TRADURRE I PENSIERI IN AZIONI

 Si chiama Brindisys 

il primo tablet che legge la mente



Tradurre il pensiero in azione nel giro di una decina di secondi: ci riesce un originale sistema di interfaccia cervello-computer, studiato alla Fondazione Santa Lucia di Roma per i malati di sclerosi laterale amiotrofica (Sla).
Il prototipo si chiama Brindisys e, rispetto ai modelli precedenti (per esempio quelli che utilizzano chip impiantati nel cervello), non è invasivo ed è completo: è formato da una cuffia, che rileva i segnali inviati dalla corteccia cerebrale, e da un dispositivo che li traduce in comandi e li trasmette a un tablet. Da quest'ultimo parte, poi, l'input per l'esecuzione dell'azione.


«Non si tratta di lettura del pensiero - commenta Febo Cincotti, ricercatore della Fondazione Santa Lucia e responsabile del team di ricerca - ma di un sistema che interpreta la volontà del paziente e gli dà la possibilità di scelta. Poniamo, per esempio, che voglia spegnere la luce. Ecco allora che, sul tablet, compaiono una lampadina spenta e una accesa e un pallino che passa da una all'altra. Quando il pallino è sulla lampadina spenta, cioè indica l'azione che il paziente desidera, il cervello automaticamente genera un certo tipo di impulso (si chiama potenziale P300) che viene rilevato, interpretato (da un elaboratore miniaturizzato) e dà il via all'azione».
Questi esperimenti sono condotti nell'ambito di un progetto di ricerca (il sistema Brindisys non è attualmente disponibile per i pazienti), finanziato dalla Fondazione AriSla, con il contributo dell'Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, e richiedono una casa domotica, attrezzata cioè per eseguire automaticamente i comandi inviati dal tablet.




Il sistema Brindisys, completo di cuffia e decodificatore dei segnali del cervello, è indicato per i malati che hanno perso completamente le capacità motorie (la Sla, infatti, è una malattia che comporta una progressiva paralisi dei muscoli, da cui deriva anche l'incapacità di parlare, ma lascia intatte le funzioni cognitive) e non riescono nemmeno a muovere gli occhi.
Prima di arrivare alle fasi più gravi della malattia, il paziente, che ancora può usare le mani, ma non si muove e non articola più le parole, può cominciare a utilizzare il tablet per aprire o chiudere una porta, per esempio, o per dialogare con una persona. In questo secondo caso, digita una frase sul tablet e un sintetizzatore vocale le trasformerà in parole o frasi.
«L'ideale - continua Cincotti - sarebbe fornire questi sistemi di ausilio al paziente fin dall'inizio della malattia, in modo che si abitui progressivamente a usarli». Gli strumenti oggi disponibili sul mercato, per aiutare i malati a comunicare, sono numerosi, ma si tratta di apparecchi che vengono controllati da mouse e joystick o che funzionano in modalità touch screen. Soltanto i più avanzati si basano sul movimento oculare.
Nessuno di questi, però, è in grado di rispondere a tutti gli stadi di disabilità che il paziente attraversa con il progredire della malattia e tutti hanno bisogno di una minima capacità di movimento. Il prototipo Brindisys permette, invece, di comunicare con la «forza del pensiero».

fonte-Corriere salute-




Annamaria... a dopo