È questa la foto porno che ha fatto sospendere un ragazzo da scuola?
Monza- C'è una petizione per il ragazzo gay di 16 anni accusato di aver diffuso una foto pedopornografica in classe. Per il preside si tratta di un comportamento pericoloso, per i compagni invece in realtà il motivo era che era ubriaco. Ma cosa c'è di vero?
Si continua a parlare della vicenda dello studente dell’ECFoP (Ente Cattolico di Formazione Professionale) di Monza espulso dall’aula perché sorpreso a condividere foto pornografiche su Facebook e Instagram. A riportare la vicenda per primo è stato il Giornale di Monza che ha raccontato l’episodio avvenuto qualche tempo fa durante l’orario di lezione. Secondo il dirigente scolastico alcuni compagni avrebbero segnalato al docente una foto esplicita condivisa dal ragazzo su Instagram.
Atti osceni sui social?
La versione di Adriano Corrioni il Preside dell’istituto è che il ragazzo (che ha solo sedici anni) sarebbe stato fatto allontanare dall’aula in seguito alle segnalazioni di alcuni compagni del ragazzo che avrebbero visto la foto “pedopornografica” condivisa dal sedicenne su un social network, presumibilmente Instagram. L’episodio sarebbe avvenuto mercoledì scorso e da allora (secondo i genitori dell’alunno) il ragazzo non avrebbe più fatto ritorno in classe. Nelle decine di versioni che hanno circolato in questi giorni nella foto incriminata il ragazzo sarebbe nudo in compagnia di un amico (secondo altre invece si tratterebbe di una foto che ritrae un atto sessuale). Per proteggere il ragazzo e i suoi compagni il docente avrebbe deciso di far accomodare l’alunno in un’altra stanza, in compagnia di un educatore:
I compagni del ragazzo, a cui lui aveva mostrato la foto sul social network, hanno prima chiesto e ottenuto dal sito la rimozione dell’immagine pedopornografica, e dopo si sono rivolti agli insegnanti. A quel punto abbiamo deciso di sistemare il ragazzo in un postazione a parte, insieme con un educatore, come facciamo quando uno dei nostri corsisti di approfondire un argomento di studio. In attesa di parlare sia con la famiglia, sia con i servizi sociali che hanno in carico il ragazzo. E per capire come affrontare la questione con i compagni ed evitare discussioni in classe
Per la madre del sedicenne (che si è rivolta ai Carabinieri) invece l’allontanamento sarebbe dovuto al fatto che è omosessuale. Secondo la madre la foto sarebbe una foto normalissima, scattata durante l’estatee al di fuori del contesto scolastico.
Si tratta di una fotografia scattata quest’estate e messa sui social che qualche altro compagno di classe deve aver mostrato agli insegnanti, ma non capisco dove sia il problema. Non l’ha scattata a scuola.
Insomma la scuola starebbe discriminando il ragazzo per via dell’orientamento sessuale. E qualche dubbio viene se si pensa alle policy molto severe di Instagram che vietano di inserire contenuti espliciti. A maggior ragione se la foto “incriminata” è quella che ha iniziato a circolare nelle ultime ore, dove si vedono due ragazzi abbracciati l’uno con l’altro. Niente di scandaloso e davvero nulla di pornografico, o pedopornografico.
La versione dei compagni di classe del ragazzo
Fanpage ha pubblicato un video in cui vengono intervistati alcuni compagni di scuola del ragazzino. Secondo le dichiarazioni dei compagni la causa dell’allontanamento dall’aula non sarebbe l’omosessualità del compagno (che è nota) e nemmeno la diffusione di foto porno ma il fatto che il giovane si fosse presentato “evidentemente ubriaco” in aula dopo aver partecipato ad una festa la notte prima. Il professore avendo notato lo stato di alterazione dell’alunno avrebbe così deciso di mandarlo fuori dall’aula a smaltire i postumi della sbornia. Se le cose stessero davvero così non si potrebbe certo parlare di discriminazione. È strano però che sia la versione della madre del ragazzo che quella della scuola facciano entrambe riferimento ad una foto e non all’abuso di alcool. Se quanto raccontato dai ragazzi a Fanpage fosse vero che motivo avrebbe avuto la scuola di raccontare la storia delle foto porno? In questa intervista a Radio Capital il dirigente scolastico parla proprio della foto descrivendola come la foto di un atto sessuale tra un adulto e un minore (che sarebbe l’alunno) che avrebbe profondamente turbato i compagni di classe. Se la foto è quella sopra si fa davvero fatica a crederlo ma il Preside sostiene di averla stampata. Anche se dice che quando i ragazzi si sono rivolti all’insegnante l’immagine era già stata rimossa dai social.
Nel frattempo ARCI Gay, parlamentari e consiglieri comunali domandano a gran voce un’ispezione del MIUR all’ECFoP di Monza.
Nei commenti della testata che riporta la notizia un lettore suggerisce che in realtà la foto oggetto dello scandalo sarebbe questa qui.
Sembra che dopo una serie di verifiche si possa confermare che la foto è questa, coincide con la descrizione della madre del ragazzo. Davvero il Preside dell’ECFoP pensa che questa sia una foto pedopornografica? O c'è dell'altro?
Annamaria
sabato 3 ottobre 2015
venerdì 2 ottobre 2015
4 VANTAGGI DI DORMIRE NUDI
L’estate (torrida) finalmente è finita. Ormai siamo al 2 di ottobre e si avvicinano i mesi freddi.
Probabilmente l’idea non vi solleticherà nemmeno un po’ e tutto quello che sognate è un bel pigiamone di flanella con cui sparire sotto al piumone.
Eppure dormire nudi ha i suoi buoni perché. Quattro , per la precisione, come riportato da l’Huffington Post.
1 -Si dorme meglio Mentre si dorme, la temperatura corporea si abbassa e questo processo naturale è necessario per garantire una miglior qualità del sonno. Ecco perché un pigiama modello Bridget Jones è quanto di meno consigliabile ci sia (a maggior ragione se non si dorme da sole): tenendo infatti il corpo troppo caldo, impedisce alla pelle di fare il suo lavoro, ovvero di raggiungere la temperatura ottimale, e così si passerà la notte ad agitarsi e rigirarsi nel letto, senza riuscire a riposare.
2-Il contatto pelle-contro-pelle rilassa Se si divide il letto col partner, la scelta di dormire in costume adamitico sarà un beneficio per entrambi, perché il contatto con la pelle dell’altro abbassa la pressione sanguigna, riduce i livelli di stress e rende più felici.
3-Il rapporto sentimentale migliora A dirlo sono i numeri di un sondaggio britannico svolto su 1000 coppie sposate, che ha evidenziato come il 57% delle persone che dormono nude definisca “felice” la sua relazione contro il 48% di coloro che vanno a letto col pigiama e il 15% di chi invece sceglie le tute intere. Morale della storia? Tute al rogo (e pigiama nel cassetto). Non bastasse, dormire “come mamma ci ha fatti” può anche spingere a fare più sesso, il che è sempre un bene per la relazione, il sistema immunitario e la qualità del sonno.
4-Il corpo prende aria Dormire in mutande (o comunque vestiti) crea un ambiente umido e caldo, che diventa un invito a nozze per i batteri, pronti a proliferare. Al contrario, liberarsi degli indumenti e cacciarsi nudi sotto le coperte riduce il rischio di infezioni fungine ed evita la comparsa di altri disturbi, più o meno fastidiosi.
Annamaria
giovedì 1 ottobre 2015
IN QUANTO DONNA- LIA PIPITONE
Mi sono imbattuta ,per caso, nel sito in quanto donna ed è veramente agghiacciante vedere tutte queste foto di donne (uccise) e uomini apparentemente con visi normali , banali, sereni. Un mucchio cronologico di foto di mariti, fidanzati, conviventi, padri che hanno ammazzato la "loro" donna. Bacheche zeppe di madri, figlie, fidanzate, amanti assassinate , (l'ultima ieri , una maestra di Albano Laziale.) Una carrellata di assassini da brividi. Alcune facce sembrano anche rassicuranti. Messe tutte insieme sono terribili.
http://www.inquantodonna.it/ è una sorta di bacheca delle vittime e dei "sicari domestici", la banca dati per tutte le donne che si battono contro la violenza e per chi se ne occupa . Ideata da Emanuela Valente che ha raccolto nomi, storie, documenti processuali, foto e storie per raccogliere la documentazione più
ampia possibile intorno al cosiddetto «femminicidio».
Sia ben chiaro che non ci sono tutte le donne assassinate negli ultimi anni . La curatrice, che via via aggiorna l’elenco coi nomi e le storie anche delle vittime di cui non esistono le fotografie, non ha voluto mischiare tutti i casi insieme perchè se una donna è stata uccisa in una rapina in banca o per aver litigato su un prestito, ad esempio, la ideatrice ha preferito lasciar perdere.
Quanta ferocia si nasconde dentro esistenze apparentemente anonime. «Strano, era un cosi bravo uomo…». «Mai dato problemi sul lavoro…». «Sempre così gentile, così educato…» etc...etc...
Alcuni, come Salvatore Parolisi (il marito assassino di Melania Rea) o Mario Albanese (il camionista che un anno fa uccise a Brescia l’ex moglie Francesca, il suo compagno, una figlia e il suo fidanzatino) son finiti sulle prime pagine. Altri hanno avuto qualche titolino qua e là. Quello che li accomuna, accusa Emanuela Valente, è la volontà di affermare il «dominio» sulla donna assassinata. E spesso l’aver beneficiato di una certa «indulgenza» giudiziaria.
Come «Ruggero Jucker detto Poppy, 36 anni, rampollo della Milano bene, Re della zuppa. Fa a pezzi la fidanzata con un coltello da sushi e lancia pezzi in giardino. Condannato a 30 anni in primo grado, pena patteggiata in appello e scesa a 16 poi ulteriormente ridotta a 13. Ha già usufruito di 720 giorni di libertà come permessi premio e sarà libero nel giugno 2013». O l’impiegato palermitano Renato Di Felice che qualche anno fa uccise la moglie Maria Concetta Pitasi, una ginecologa, durante l’ennesima lite davanti alla figlia. Non aveva mai avuto grane con la giustizia, era descritto come un uomo mite sottoposto dalla consorte a piccole angherie quotidiane, era difeso dalla figlia: «Non ne potevamo più». Dopo due giorni, in attesa del processo, fu mandato a casa perché «non socialmente pericoloso». Mesi in cella dopo la condanna: dieci.
Per non dire di certi recidivi. «Emiliano Santangelo appena esce dal carcere uccide la ragazza che lo aveva fatto condannare per violenza sessuale. Quando Paolo Chieco — condannato a 12 anni e 6 mesi poi ridotti a 8 anni e 4 mesi per il tentato omicidio della convivente Anna Rosa Fontana — ottiene i domiciliari, a 300 metri di distanza dalla casa di Anna Rosa, finisce di ucciderla. E lo stesso fa Luigi Faccetti: condannato a 8 anni per il tentato omicidio della fidanzata, dopo appena 10 mesi ottiene i domiciliari e la uccide con 66 coltellate: 52 in più rispetto alla prima volta».
Quasi tutte le donne uccise, accusa la curatrice del sito, avevano subito già minacce e violenze, ma la maggior parte di loro non le aveva denunciate: «Quelle che l’hanno fatto, però, non hanno ricevuto alcuna protezione. Lisa Puzzoli, Silvia Mantovani, Patrizia Maccarini e molte altre sono state uccise dopo aver denunciato chi le minacciava, dopo aver chiesto ripetutamente aiuto. Monica Da Boit ha chiamato il 113, terrorizzata, poche ore prima di essere uccisa ma la pattuglia non è intervenuta. Sonia Balconi è morta per un “guasto elettrico al sistema informatico” che aveva fatto dimenticare le sue denunce…».
Fonte 27ora by-corriere.it
Oggi mi voglio soffermare sulla storia di Lia Pipitone ,morta il 23 settembre del 1983, figlia di un boss mafioso di Palermo ritenuta dal (non) padre una proprietà; accetta la figlia solo se lei si comporta secondo i canoni dettati da lui ...se lei si ribella agisce come un non uomo: uccide ciò che lui ha creato ma non a sua immagine e somiglianza. Un fallito, dunque, perchè non ha saputo farla diventare come lui. Il (non) nipote , il figlio della figlia, dal (non) nonno è stato disconosciuto perchè il fallito lo ha considerato come un non nipote ed è stata la salvezza del bimbo che è diventato, lui sì, un uomo.
Alessio è il vero uomo che non uccide ma ha continuato a far vivere la madre sempre e con tanto amore.
"Se muoio sopravvivimi", infatti, è il libro che ha scritto Alessio che all'epoca dei fatti aveva solo 6 anni, insieme al giornalista Salvo Palazzolo dove ricostruisce la vicenda di una 24enne ammazzata a Palermo nel 1983 non a causa di una rapina, ma per decisione del padre Antonino, boss mafioso, che non sopportava il suo animo libero.
Lia Pipitone |
da IFQ
Dicono che le strade di Palermo siano lastricate di sangue. Dicono che molto di quel sangue aspetti ancora giustizia. Perché per decenni a Palermo la gente moriva per strada e nessuno si era mai curato di capire perché. Non solo omicidi di mafia, carneficine tra boss di cosche avverse e assassinii di uomini che rappresentavano lo Stato dove lo Stato non voleva essere rappresentato. A Palermo la gente moriva anche perché si trovava semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato: una sparatoria, uno scippo, una rapina. Dicevano che Lia Pipitone fosse morta così. Una rapina in un negozio di sanitari, cinque colpi di pistola esplosi dai rapinatori poco prima di fuggire e la vita di quella ragazza spezzata sotto il bancone della cassa in cambio di un bottino di 250mila lire. Era il 23 settembre del 1983 e una Palermo in bianco e nero registrava i morti del giorno accanto alla colonna degli incidenti d’auto: troppi assassinii per potersi fermare un attimo su quello di Lia, giovane madre di 24 anni, che entrando in quel negozio di sanitari cambiò per sempre la vita del suo piccolo Alessio, 4 anni e una madre persa senza un perché.
L’omicidio di Lia Pipitone però non è solo una storia di ordinaria violenza in una città infernale. È qualcosa di molto peggiore, di più perverso di una semplice rapina finita male. Perché il padre di Lia si chiama Antonino Pipitone ed è un importante boss mafioso, una vera autorità nel rione dell’Acquasanta, una delle ultimi feudi inviolabili di Cosa Nostra a Palermo. Pipitone è un uomo rispettato, uno dei primi a capire che bisognava abbandonare i palermitani di Stefano Bontade e passare con i corleonesi vincenti di Riina e Provenzano. Lia invece è una ragazza libera, un’artista che vuole prendere in mano la sua vita, decidendo chi sposare e quando, ribellandosi a quel padre mafioso e autoritario. Una libertà negata prima da quei cinque colpi di pistola in un negozio di sanitari, e poi da un oblio lungo oltre vent’anni. Ed è per far luce su quell’oblio che suo figlio, Alessio Cordaro, decide, ormai 30enne, di ripercorrere la vita di sua madre, di capire se davvero si trattò soltanto di una normale rapina, o di qualcosa di peggio, come ogni tanto sussurrava qualcuno.
“Per anni – racconta Alessio – ho custodito con gelosia la storia di mia madre, i miei trascorsi tra quei silenzi imbarazzanti e le scuse che mi venivano fornite ogni volta che chiedevo come fosse morta mamma”. Poi però Alessio viene contattato da Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica, che si è imbattuto per caso nella storia di Lia Pipitone e vuole approfondirla da cronista. I due cominciano quindi un’inchiesta postuma di trent’anni, una ricerca e una riorganizzazione analitica di tutti gli elementi che girano intorno alla vita di Lia Pipitone, cominciando proprio da quella rapina al rallentatore, quando i due rapinatori, dopo essere fuggiti con il bottino, tornarono dentro al negozio soltanto per assassinare la giovane madre a due passi dalla cassa. Nasce così “Se muoio, sopravvivimi” (Melampo, 174 pp, 15 euro), il libro che Cordaro e Palazzolo ricavano dalla loro ricerca tra atti giudiziari, vecchi articoli di giornale e interviste ad amici e conoscenti di Lia. Il risultato è un saggio double face, a metà tra l’inchiesta giornalistica sulla mafia dell’Acquasanta degli anni ’80 e ’90 e la ricostruzione della vita di quella donna che morì ribellandosi al padre mafioso.
Alessio |
Ecco l intervista rilasciata da Alessio al settimanale, Oggi nel 2012.
Quando è iniziata la sua ricerca della verità, Alessio?
«Non certo quando Salvo mi ha contattato su Facebook chiedendomi se fossi il figlio di Lia Pipitone e se avessi desiderio di provare con lui a reperire nuove informazioni. Il mio viaggio, in realtà, lo avevo già fatto, avevo già tirato le somme e mi ero arreso a ciò che avevo intuito, senza voler andare oltre. Arrivare al “chi ha ucciso” e al “perché è stata uccisa” tua madre non è un percorso così semplice».
Insomma, in realtà lei non voleva davvero sapere tutto su sua madre.
«Quando ho letto la proposta ho pensato di rispondere “mi spiace, non sono io”, e di chiuderla lì. Poi mi è venuta voglia di conoscere meglio mia madre. Non ne ho ricordi nitidi, e lo rimpiango: ero troppo piccolo, le immagini che ho di mamma sono frutto di narrazioni, comprensibilmente addolcite».
Suo padre, che cosa le disse di mamma Lia?
«La prima versione fu quella dell’incidente in bici. E per tanto tempo mi è stata bene».
E suo nonno?
«Lo vedevo quindici giorni all’anno, d’estate, e con lui non sono mai stato a mio agio. Sarà che con papà ci eravamo trasferiti dai nonni paterni, a 90 chilometri da Palermo ed ero abituato alla vita di paese, dove erano tutti più sereni… Sarà che era molto rigido, poco espansivo. Visitarlo era un dovere da assolvere. Come quello di andare a trovarlo in carcere, dove mi dicevano che era entrato per delle questioni fiscali o abusi edilizi, non so. Di lui, in famiglia, nessuno mi parlò mai male. Una volta gli dissi un “no”. Avevo 14 anni e volevo un motorino, sapeva che mi piaceva il Malaguti: mi fece trovare un’Aprilia. La lasciai lì. Ho sempre avuto difficoltà ad accettare qualcosa, anche se una volta mi ha trovato un posto da magazziniere: dopo tre mesi ho visto come mi trattavano, con troppo riguardo, e me ne sono andato».
Nel libro lei racconta che a un certo punto suo padre finalmente apre la scatola dei ricordi di sua madre e le mostra i ritagli di giornale sull’omicidio. Intanto alcuni pentiti, siamo nel 2003, fanno il nome di suo nonno come mandante del delitto, c’è il processo e lui viene assolto per insufficienza di prove. Possibile che lei non chiese spiegazioni?
«Ho avuto timore delle mie reazioni. Quante volte sono partito per chiederglielo e mi sono fermato all’ultimo momento! Credo di avere un carattere forte e di aver avuto un’autonomia superiore a quella dei miei coetanei ma la mia adolescenza non è stata semplicissima: lei sa cosa vuol dire quando a scuola riuniscono i genitori e tu vorresti avere lì tua mamma? In verità, parlavo poco di lei. Si capiva che c’era una ferita aperta solo quando, ritornato a Palermo a studiare alle superiori, succedeva che, anche scherzando, qualcuno dicesse “quella arrusa di to matri”. Puttana non è un complimento».
Scusi se insisto: ma almeno mettere alle strette sue padre? Lui, magari, sapeva…
«Io lo ammiro, perché o fai i bagagli con un figlio di quattro anni e vai dall’altra parte del mondo oppure in questo contesto sbatti contro vicende pesanti. Quando si è aperto con me e mi ha mostrato i fascicoli finalmente ha potuto condividere, penso, un peso. Io ho trovato conferma a quello che già sospettavo: mi era chiaro che qualcosa non tornava».
Sul nonno?
«Su Antonino Pipitone: dobbiamo sempre chiamarlo nonno?».
Pensa che suo padre non le abbia parlato prima per proteggerla?
«Indubbiamente. E poi lui è una persona ermetica. Era giovane, ha cercato la strada migliore per sopravvivere in un ambiente così, magari accettando compromessi. Io fino a prova contraria, credo che il nonno c’entri con quello che è successo. E penso che mio padre sia ancora più convinto di me. Di recente ha partecipato all’esperienza di Addio Pizzo contro il racket: è stato il suo modo di palesare finalmente alla società la sua opposizione a ingiustizie che ha vissuto sulla sua pelle».
All’inizio della sua ricerca verso la verità, non ha temuto di scoprire una mamma diversa, di intaccarne l’immagine?
«Indende “scoprire che tradiva mio padre”? No, nessuna paura. In un contesto del genere, se le cose con papà non andavano bene difficilmente avrebbe potuto parlargli e prendere un’altra strada. No, l’immagine che ho di lei è solo quella di vittima. Magari vittima di una banalità come un tradimento («Certo non è una banalità per la struttura sociale mafiosa», aggiunge Salvo Palazzolo, ndr)».
E con questo libro cosa rischia e cosa si propone?
«Avevo trovato un equilibrio nella mia vita e adesso invece dovrò ricostruirmi da zero. Ma spero che qualche vecchio amico di mamma si faccia vivo per darmi altri tasselli. E magari la magistratura potrà fare luce sul delitto: non ho scritto il libro per puntare il dito contro qualcuno ma se si scopre il “chi” e il “perché” avrei reso giustizia a mia madre».
Aggiunge Salvo Palazzolo: «Posso dire che uno degli ultimi atti del giudice Antonio Ingroia prima della sua partenza per il Guatemala è stata la riapertura delle indagini su Rosalia Pipitone. Chi è sospettato del delitto non è un killer di borgata ma Vincenzo Galatolo, oggi all’ergastolo per tanti omicidi e allora ai vertici di una cosca su incarico di Totò Riina, uno che ebbe un ruolo nella strage Chinnici, uno che fu custode del fondo da cui partirono i sicari di molti omicidi eccellenti. L’altro che i pentiti hanno indicato come killer fu ferito a morte in un conflitto a fuoco, e le sue ultime parole a un prete furono un’invocazione: “Dio potrà perdonarmi per quello che ho fatto?”».
"Se muoio sopravvivimi "è anche una bellissima poesia di Pablo Neruda
Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
che desti la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi,
non voglio che muoia la mia eredità d'allegria,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi in mia assenza come in una casa.
È una casa tanto grande l'assenza
che v'entrerai traverso i muri
e appenderai i quadri all'aria.
È una casa tanto trasparente l'assenza
che senza vita ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò un'altra volta.
Pablo Neruda
Annamaria
COACH DELLE ABITUDINI
Spesso il fare o non fare si riduce a quello. A quel momento in cui, dopo avere ridotto al massimo la possibilità del fallimento, dobbiamo comunque confrontarci con lo sconosciuto, con l'imprevedibile, con l'incertezza. In un certo senso, è quello il momento in cui conosciamo veramente noi stessi, perché ci troviamo a dovere confrontarci con sfide che non potevamo immaginare prima.
Eppure per qualsiasi cosa, da un obiettivo ambizioso alla serenità, si conquista anche con quel pizzico di coraggio.
Coraggio non significa però pazzia, o rischio esagerato o inopportuno. A volte, i compromessi ci vogliono e sono vantaggiosi. L'importante è non raggiungere un compromesso per paura di fare quel piccolo, ma necessario salto. Non vivremmo in modo autentico e non conosceremmo veramente noi stessi.
Stai vivendo un compromesso che non ti rende autentico? Quale scelta non stai facendo rispetto a quel compromesso? Quale coraggio devi prendere per lasciare quel compromesso?
L. Paoli -
Annamaria
martedì 29 settembre 2015
VUOI SPOSARTI: 21 COSE CHE DEVI SAPERE PRIMA DI FIDANZARTI!
Ogni ragazza ha fantasticato sul giorno del suo matrimonio. Almeno una volta. Alcune di noi si spingono fino a pianificare ogni minimo dettaglio, dalle decorazioni floreali alla luna di miele. Sognare è giusto: ma il matrimonio rimane una cosa seria. E reale. E quindi è bene sapere alcune cose sulla propria metà prima di compiere il grande passo...
Siamo in tante a sognare di camminare sulla scalinata della chiesa guardando negli occhi il nostro principe azzurro.
Ma è sempre bene distinguere sogno e realtà e comprendere sin da subito come la vita matrimoniale sia anche dedizione, impegno e concretezza. E conoscenza dell'altro.
Per evitare che il nostro legittimo sogno di una vita coniugale felice e appagante possa naufragare dopo un quarto d'ora ecco una lista di 21 semplici cose ,suggerita da alfemminile, da conoscere PRIMA di fidanzarsi ufficialmente e comprare l'abito da sposa.
1. Il credo religioso del vostro partner
Non importa se voi siate religiose o meno. Ma è importante sapere se il vostro partner lo sia e di quale credo. E quindi porvi alcune domande su voi stesse e su come vi sentite in relazione a una certa fede, se il vostro credo, se l'avete, può essere in linea con quello del vostro partner.
Può sembrare un discorso fuori contesto e un po' sorpassato, ma le convinzioni religiose, quando ci sono , potrebbero condizionare non poco la vita di coppia.
2. Le convizioni politiche
Liberale o conservatore? Destra o sinistra? Sarà anche vero che gli opposti si attraggono, ma sarebbe meglio evitare discussioni di natura politica ogni volta. Se si è particolarmente appassionati di politica, poi, ci vuole davvero poco a scaldarsi per niente!
3. Ambizioni sul lavoro
Due persone che hanno differenti livelli di ambizione potrebbero avere problemi in futuro. Si potrebbe creare una sorta di competizione interna che non farebbe troppo bene alla coppia, in quanto inutile e dannosa, essendo la dimensione professionale separata da quella propriamente di coppia.
4. Relazioni precedenti
Conoscere davvero il proprio partner significa anche conoscere le sue passate relazioni. Questo ti aiuterà a capire ancora meglio quale sia davvero la personalità del tuo lui e soprattutto il modo in cui gestisce la vita di coppia.
5. Avere dei figli
cose da sapere prima del matrimonio
Tema importantissimo, da affrontare al più presto. Non tutti infatti vogliono avere figli: è necessario conoscere le intenzioni del vostro partner il prima possibilie su un punto così importante e delicato.
6. Rapporto con il denaro
Il vostro partner è cicala o formica? Spende in cose frivole o è parsimonioso? Nel momento in cui ci si appresta a una vita insieme, volente o nolente, il denaro avrà un ruolo cruciale nella vostra quotidianità.
7. Il matrimonio non è un party e basta
Certo, il giorno del matrimonio deve essere una grande festa. Ma è una festa particolare perché non si conclude come qualsiasi altro party...
8. Litigherete..
... e questo è giusto. Siete due individui che cercano di essere un tutt'uno. Naturale avere qualche screzio, o più di uno screzio.
Ma non è certo la fine del mondo (o della vostra relazione!) se questo accade, anzi!
La chiave di tutto è comprendere come i litigi possano rafforzare la coppia portando a una migliore conoscenza reciproca.
9. È giusto avere ancora una vita al di fuori della coppia
Non permettere alla tua relazione di diventare una relazione di possesso. I tuoi pranzi con le amiche? Continua a farli. Lui va con gli amici a bere una birra? Non impedirglielo.
10. L'anello non fa di te la sua padrona
cose da sapere prima del fidanzamento
Proseguendo il punto di prima, non dovresti mai pretendere di controllare qualcuno, Né permettere che sia lui a farlo. Lui è un'altra persona, con i suoi pensieri, le sue opinioni, la sua vita.
11. Quando dire scusa
Ammettere di aver sbagliato non è mai facile. Nè a se stessi nè tantomeno al tuo partner. Ma è un'abilità che conta molto nella vita di coppia, e va appresa e coltivata. Saper dire scusa è qualche volta determinante in una buona relazione.
Non c'è niente di più fastidioso e di una persona che pensa di avere sempre ragione. "Scusa" è una parolina magica in molte occasioni: non per niente ce la insegnano sin da bambini.
12. Impuntati e combatti solo quando ne vale davvero la pena
Non tutto va dibattutto e contestato. Scegli bene su cosa imbastire uno scontro di coppia!
13. Dove andare a vivere
La decisione di dove andare a vivere è necessariamente qualcolsa che tutte le coppie devono discutere. Meglio non imputarsi sui sogni di bambina o su un luogo in particolare. C'è anche lui, con le sue esigenze e i suoi gusti.
14. Ampliare le loro competenze domestiche
Sai cucinare? Sai pulire? Sai stirare? Sai insomma fare qualcosa o devo fare tutto io in casa?
Consigliamo di indagare sulle abilità domestiche del tuo lui prima di ufficializzare qualsiasi fidanzamento.
15. Famiglia e amici
Non puoi certo sperare di passare il resto della tua vita con qualcuno senza dover fare i conti con i suoi amici e familiari. Fanno parte di lui e della sua vita. Conosci al più presto anche loro.
16. Cattive abitudini
Tutti le abbiamo. Mangiarsi le unghie, stare davanti al pc per ore, lasciare l'intimo per casa. Se c'è qualche cattiva abitudine che proprio non sopporteresti in un altro è meglio scoprirlo prima!
17. La perfezione non esiste
Il principe azzurro e l'uomo perfetto non esistono. Prima lo accetti meglio è.
18. Come tratta sua madre
Il modo in cui tratta sua madre è lo specchio del modo in cui tratta tutte le donne. Se la tratta male evita di fidanzarti con lui.
19. Determina i tuoi punti chiave
Il matrimonio si intenderebbe "Finché morte non ci separi". Ma questo non significa che tu debba diventare lo zerbino di qualcuno, né accettare qualsiasi cosa.
Fissa quindi con te stessa e con il tuo partner i punti chiave, i limiti da non superare, gli elementi determinanti che devono essere rispettare al fine di far proseguire la relazione.
Chiarisci subito quali sono le cose che non potresti mai accettare in una relazione di coppia.
20. Come il tuo partner gestisce la rabbia
Quando le persone si arrabbiano davvero possono mostrare un'altra natura. Spesso la loro vera natura. Altre volte non intendono davvero dire ciò che dicono in preda ai fumi della rabbia.
Fai molta attenzione a questi momenti, che certamente arriveranno. Possono rivelarti sul tuo partner qualcosa che non avresti mai potuto pensare.
E certamente è meglio non sposare chi non sa controllare i propri momenti d'ira.
21. Conoscenza reciproca
Questo suona ovvio. Ma tanto ovvio non è: e riassume un po' tutti i punti precedenti. Se pensi troppo al giorno del matrimonio mentre lo stai ancora frequentando è possibile che tu non ti stia prendendo il giusto tempo per conoscerlo davvero. Non fare questo errore.
Annamaria
lunedì 28 settembre 2015
ARABIA SAUDITA: 17ENNE CONDANNATO, VERRA' UCCISO SULLA CROCE
Alì Mohammd Al-Nimr sarà decapitato e poi crocifisso in pubblico.Questa è la condanna che in Arabia Saudita è stata inflitta ad un 21enne che nel 2012, quando aveva solo 17 anni, partecipò a una manifestazione contro il governo. Abbiamo poco tempo per salvargli la vita perché la sentenza è stata confermata dalla Corte Suprema saudita e dovrebbe essere eseguita in questi giorni.
Chiediamo ai governi di tutto il mondo democratico di mobilitarsi affinché la pena di morte per Alì Mohammd Al-Nimr sia sospesa.
Nel ringraziarvi per la cortese attenzione, vi chiedo di firmare questa petizione e di condividerla sui social network.
Stefano Molini
Se in Italia si applicasse la pena di morte per ogni partecipazione a manifestazioni contro il governo, molte persone morirebbero. Il rispetto del libero pensiero è fondamentale in un Paese civile.
Annamaria
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