Siamo arrivati al giorno della vigilia e con questi racconti,
cari amici, vi auguro un sereno Natale da trascorrere con le persone care e, magari ,che sia occasione di riappacificazione con chi, per svariati motivi, abbiamo avuto incomprensioni...Come dice una dolce canzone " A Natale puoi".
Puoi ... possiamo... perdonare ed essere perdonati sempre, ma l'occasione che ci da il Natale è unica e magica.
Ringrazio gli amici che mi danno una mano nelle rubriche, gli amici che commentano e anche chi non commenta, ma che ci legge! Sad che ci segue sempre con entusiamo e grazie a noi il suo italiano migliora ( lui è orientale... "totto bene, Sad?") i visitatori, tutti!!
Oggi ho avuto ,anzi abbiamo avuto un bel regalo: il blog è stato visualizzato ,nella giornata di ieri, da ben 1152 visitatori (mizzè è un record!..e chi se l'aspettava?).Questo è un bel regalo di Natale.
Voglio anche ricordare chi ci ha lasciato qualche mese fa : il carissimo PINO CONTENTO che con le sue poesie ci ha donato momenti di lettura tenera e di spessore.
Rivolgo un augurio speciale ed affettuoso alla famiglia.
Natalina ,dopodomani sarà il tuo onomastico, quindi doppi AUGURI per te (ci sentiremo)...ora basta altrimenti mi commuovo troppo , baci baci a tutti .
(Marco, buon Natale!)
Ci ritroviamo dopo il Santo Natale!
Accade Qualcosa da Oriente
di Gregorio Curto
di Gregorio Curto
Da due settimane mi guardo all'intorno;
alzando anelante al cielo lo sguardo
sul grande terrazzo ogni notte mi attardo;
mi piaccion le stelle, ma ora che faccio?
poiché non si vedon con questo tempaccio...!
E io che speravo veder la cometa
che annuncia l'avvento del Grande Profeta...!"
Si rode di rabbia il buon Baldassarre
che fausti presagi dagli astri sa trarre,
finché per un vento possente improvviso
ritorna sereno il suo nobile viso.
Si popola il cielo di tante fiammelle:
son mille, un milione di fulgide stelle;
tra queste più chiara, notata dal saggio,
l'attesa cometa lo invita ad un viaggio.
'La scienza degli astri di certo non mente:
qualcosa di grande accade in oriente!
Zibilio, t'affretta, prepara i cammelli
con viveri, doni e pesanti mantelli.
Avvisa il buon Gaspare, avvisa Melchiorre:
raduno alle tre proprio sotto la torre;
sul capo i turbanti, i libri alla mano
andiamo a cercare il Grande Sovrano."
Scavalcano monti, percorron deserti;
i vecchi sapienti si mostrano esperti
di astri e di storia, di viaggi e di scienza
e associano audacia cultura e prudenza.
Ma al settimo giorno son stanchi e abbattuti,
fatica e sconforto li rendono muti;
la stella cometa, sparita dal cielo,
ricopre le menti di un torbido velo.
Poi guardan lontano. Si fregan le ciglia:
si staglia, torreggia di lì a poche miglia,
la bella città capitale del regno
che Erode governa ma senza ritegno.
E Gaspare rompe il silenzio glaciale:
"Andare fin là mi parrebbe non male.
Chiediamo al Palazzo, astrologi miei,
dov'è che è nato il Re dei Giudei".
Arrivano a corte e raggiungono Erode
il quale però trama loro una frode;
lo rode l'invidia al pari di un tarlo:
non ama il Bambino, non vuole adorarlo!
Raduna gli scribi, consulta i suoi saggi:
"Sapete se qui, in città o nei paraggi,
è nato il Messia?"- "Di certo a Beltlemme";
rispondono i saggi marcando le emme.
Poi torna dai Magi: "Potete partire
(ma cerca il Messia per farlo morire!):
andate a Betlemme e fate buon viaggio
cercate il Bambino e rendetegli omaggio".
Avuto da Erode del cibo e del vino
il trio dei sapienti riprende il cammino:
- Guardate, non è che si viaggi per niente...
risplende la stella già apparsa in oriente!
- Seguiamola lieti, raggianti di gioia,
scordiamo i disagi e bando alla noia!
- Di certo ci porta al Profeta, al Messia
non può che essere questa la nobile via!
I Magi s'affrettan, li guida la stella
che vedono nitida e sempre più bella.
Arrivano infine ad una capanna:
tra loro e il Bambino c'è appena una spanna.
Si prostrano muti, sorpresi, stupiti,
raggianti nel volto e nel cuore contriti...
e aperti gli scrigni del loro tesoro
gli offrono incenso con mirra e con oro.
La storia dei Magi riguarda un Evento
che me - vedi bene - fa molto contento;
è un fatto passato che è ancora presente:
amici, Accade Qualcosa da Oriente!
Questo è Natale?
Nel paradiso degli animali l’anima dell’asinello chiese all’anima del bue: “Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia…?”
“Lasciami pensare… Ma sì - rispose il bue - nella mangiatoia, se ben ricordo, c’era un bambino appena nato”.
“Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?”
“Eh no, figurati! Con la memoria da bue che mi ritrovo”.
“Più di duemila”.
“Accipicchia”.
“E a proposito, lo sai chi era quel bambino?”
“Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino”.
L’asinello sussurrò qualche cosa al bue.
“Ma no! - fece costui - sul serio? Vorrai scherzare spero”.
“La verità, lo giuro. Del resto io lo avevo capito subito…”
“Io no - confessò il bue - si vede che tu sei più intelligente. A me, non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un bambino straordinario”.
“Bene, da allora gli uomini ogni anno fanno grande festa per l’anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo delle serenità, della dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un’idea, già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un’occhiata?”
“Dove?”
“Giù sulla terra, no!”
“Ci sei già stato?!"
“Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare anche tu. Dopo tutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due”.
“Per via di aver scaldato il bambino col fiato?”
“Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la vigilia”.
“E il lasciapassare per me?”
“Ho un cugino all’ufficio passaporti”.
Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi, lievi. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume, vi puntarono sopra.
Il lume era una grandissima città.
Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro, trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano in mezzo senza danno, e a loro volta le due bestie passavano attraverso come se fossero fatti d’aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, tutti carichi di pacchetti, con un’espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti.
Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
“Senti amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti sbagliato. Qui stanno facendo la guerra”.
“Ma non vedi come sono tutti contenti?”
“Contenti? A me sembrano pazzi”.
“Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi”.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatine e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l’asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta a un tavolo, una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto messo metro carte e cartoncini colorati, alla sua destra cartoncini bianchi. Con l’evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra. Quanto tempo ci vorrà per smaltirlo? La sciagurata ansimava.
“La pagheranno bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile”
“Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società”.
“E allora perché si sta massacrando così?”
“Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri”.
“Auguri? E a che cosa servono?”
“Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania”.
Si affacciarono più in là, a un’altra finestra. Anche qui gente che, trafelata, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore. Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all’altra portando pacchi, spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi altre scatole, altri fiori, altri mucchi di auguri. E tutto era precipitazione, ansia, fastidio, confusione e una terribile fatica.
Dappertutto lo stesso spettacolo.
Andare e venire, comprare e impaccare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere e tutti guardavano continuamente l’orologio, tutti correvano, tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
“Ma avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità e della pace”.
“Già - rispose l’asinello - una volta era così. Ma cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi… Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali!”
Il bue tese le orecchie. Per le strade, nei negozi , negli uffici, nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule di buon Natale, auguri, auguri, altrettanto auguri a lei grazie. Un brusio che riempiva la città.
“Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono veramente tanto bene al prossimo?”
L’asinello tacque.
“E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino - Ho ormai la testa che è un pallone. Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?”
“No, no. È semplicemente Natale”.
“Ce n’è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c’era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!” “E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena”. “E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano”.
“Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano!”.
“E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora, le stelle hanno la vita lunga”.
“Ho idea di no - disse l’asino - c’è poca aria di stelle, qui”.
Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c’era un soffitto di caligine e di smog.
Annamaria... a dopo
“Lasciami pensare… Ma sì - rispose il bue - nella mangiatoia, se ben ricordo, c’era un bambino appena nato”.
“Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?”
“Eh no, figurati! Con la memoria da bue che mi ritrovo”.
“Più di duemila”.
“Accipicchia”.
“E a proposito, lo sai chi era quel bambino?”
“Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un bellissimo bambino”.
L’asinello sussurrò qualche cosa al bue.
“Ma no! - fece costui - sul serio? Vorrai scherzare spero”.
“La verità, lo giuro. Del resto io lo avevo capito subito…”
“Io no - confessò il bue - si vede che tu sei più intelligente. A me, non aveva neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un bambino straordinario”.
“Bene, da allora gli uomini ogni anno fanno grande festa per l’anniversario della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo delle serenità, della dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie familiari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli. Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un’idea, già che siamo in argomento, perché non andiamo a dare un’occhiata?”
“Dove?”
“Giù sulla terra, no!”
“Ci sei già stato?!"
“Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare anche tu. Dopo tutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due”.
“Per via di aver scaldato il bambino col fiato?”
“Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la vigilia”.
“E il lasciapassare per me?”
“Ho un cugino all’ufficio passaporti”.
Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi, lievi. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume, vi puntarono sopra.
Il lume era una grandissima città.
Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per le vie del centro, trattandosi di spirito, automobili e tram gli passavano in mezzo senza danno, e a loro volta le due bestie passavano attraverso come se fossero fatti d’aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva, entrava ed usciva, tutti carichi di pacchetti, con un’espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti.
Il somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
“Senti amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti sbagliato. Qui stanno facendo la guerra”.
“Ma non vedi come sono tutti contenti?”
“Contenti? A me sembrano pazzi”.
“Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi”.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito, fece una svolazzatine e si fermò a curiosare a una finestra del decimo piano. E l’asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta a un tavolo, una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto messo metro carte e cartoncini colorati, alla sua destra cartoncini bianchi. Con l’evidente assillo di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e ricominciava la manovra. Quanto tempo ci vorrà per smaltirlo? La sciagurata ansimava.
“La pagheranno bene, immagino, - fece il bue - per un lavoro simile”
“Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società”.
“E allora perché si sta massacrando così?”
“Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri”.
“Auguri? E a che cosa servono?”
“Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania”.
Si affacciarono più in là, a un’altra finestra. Anche qui gente che, trafelata, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore. Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all’altra portando pacchi, spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi altre scatole, altri fiori, altri mucchi di auguri. E tutto era precipitazione, ansia, fastidio, confusione e una terribile fatica.
Dappertutto lo stesso spettacolo.
Andare e venire, comprare e impaccare, spedire e ricevere, imballare e sballare, chiamare e rispondere e tutti guardavano continuamente l’orologio, tutti correvano, tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
“Ma avevi detto - osservò il bue - che era la festa della serenità e della pace”.
“Già - rispose l’asinello - una volta era così. Ma cosa vuoi, da qualche anno, sarà questione della società dei consumi… Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali!”
Il bue tese le orecchie. Per le strade, nei negozi , negli uffici, nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule di buon Natale, auguri, auguri, altrettanto auguri a lei grazie. Un brusio che riempiva la città.
“Ma ci credono? - chiese il bue - Lo dicono sul serio? Vogliono veramente tanto bene al prossimo?”
L’asinello tacque.
“E se ci ritirassimo un poco in disparte? - suggerì il bovino - Ho ormai la testa che è un pallone. Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti?”
“No, no. È semplicemente Natale”.
“Ce n’è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c’era una pace, una soddisfazione. Come era diverso!” “E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena”. “E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano”.
“Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano!”.
“E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà che non ci sia ancora, le stelle hanno la vita lunga”.
“Ho idea di no - disse l’asino - c’è poca aria di stelle, qui”.
Alzarono il muso a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c’era un soffitto di caligine e di smog.
Annamaria... a dopo