Estate 2000, frassilongo, Paugh, frazione persa in cima, ai piedi del Fravort, siamo qui da due mesi al pascolo, gli animali sono sparsi sui pendii attorno alla tenda che abbiamo impiantato da allora, accanto ad essa stazione Grigio, il mulo dimesso dall’esercito che l’ha scelta come dimora semi permanente. I cani sonnecchiano al calore del sole mattutino, le vacche pascolano tranquille, chi ha già mangiato si corica per la ruminazione, mi piace bivaccare accanto alle mucche che ruminano, masticando e rimandando in bocca il masticato dal rumine, producono un suono ritmico, leggero, cantilenante, come una preghiera dei nostri vecchi, cantilenante, ripetitiva, ma piena di significato.
Quando poi gli animali ti conoscono, amano restarti vicino e se ti siedi, ma dopo poco sono tutte lì vicino, le vacche giovani, le vitelle sono più diffidenti, le vacche vecchie che hanno già passato anni di pascolo, non temono l’uomo, semmai i cani che le fanno correre, ma il pastore no.
Così beandomi della compagnia dei ruminanti, dei cani che sottecchi mi controllano in distanza, dei cavalli che amano molto aggregarsi sempre con gli stessi elementi e perciò queste riunioni estemporanee non li riguardano, le pecore che non legano abitualmente con animali più grossi di loro e restano ai margini del pascolo, amano arrampicare sui sassi, giocare fra loro, vedo sopraggiungere un fuoristrada, strana visita sulle strada forestali provinciali, ma quello non è un mio problema.
Alzo appena il capo per vedere che i cani non corrano loro incontro spaventandoli, ma anche loro non fiutano pericoli e se ne rimangono buoni. Scende dalla vettura una donna impettita di mezza età, vestita di tutto punto da montanara, evita di brutto una grande “boazza” di vacca che le sta dinanzi e mi si avvicina. Dax, il cane pastore, parte e subito si blocca al mio richiamo, la donna mi intima di incatenare la bestia, non ci faccio caso e mi alzo in piedi fra le vacche, aspetto che salga, è il minimo per una cafona suo pari, calpestare qualche defecazione bovina, ovina, equina o canina, ad una certa distanza, stizzita forse dal mio fare di pastore ignorante, con gli occhi e i pensieri in chissà quale paradiso sessualmente inaccessibile, mi dice che il terreno è comunale, perciò di tutti e che loro si sarebbero messi qui per un pick-nick.
Non dico nulla, lascio che torni alla macchina e che scarichino le mercanzie per il pranzo, preparano il tavolino, le sedie da campeggio, il braciere, il carbone è acceso e fuma abbondantemente…..
Entro in tenda e avviso mio suocero che dorme della grossa, della visita dei tre turisti, lui mette il cappello di paglia, operazione sacra e da farsi sempre prima di mettere i piedi fuori dalla branda, si accende un nazionale e si erge in piedi.
Scende il pendio e guarda la macchina, chiede se avessero il permesso di entrare nel divieto di transito, la donna, capo indiscusso della scena, risponde che non è affar suo, il suocero risale la china e si siede accanto a me, spegne il mozzicone e ne accende subito un’ altra sigaretta.
Stiamo lì per un quarto d’ora in silenzio, è normale fra di noi non parlare per diverso tempo, Francesco è un uomo speciale, anche in silenzio trasmette le sue intenzioni e ora non sono di buon auspicio per i turisti…..
Mi guarda e sorride, ho capito, la vendetta è il miglior perdono, così dice sempre quando ha subito un affronto, picchia il piede a terra e i cani sono subito pronti ai suoi comandi che non hanno voce, solo segni precisi, fischi di diversa intensità secondo il cane cui sono impartiti, sempre senza che il vecchio si sposti di un passo. Primo fischio, per Dax, alza il braccio sinistro verso il monte, il cane parte, altro fischio, Dax si accuccia sul pendio, sopra del ultime bestie. Altro fischio più intenso e Pippo parte a destra, ma piano girando intorno alla mandria senza spaventarla, secondo fischio e si ferma, si acquatta nell’erba. Altro fischio con le dita, tutti e due scattano e spingono le bestie in giù, velocissime le vedono arrivare i commensali che non possono far altro che scappare lungo la strada da cui sono arrivati, le bestie, dirette adesso piano piano dai cani chiudono la possibilità di tornare indietro ai tre che non possono far altro che tornare verso il paese da dove sono venuti.
Torneranno poi la sera accompagnate dai forestali che sequestrano la macchina in attesa del pagamento della multa comminata. Raccolgono quello che resta delle loro cose sparse per il prato e se ne vanno senza salutarci, Che screanzati!
Un buon pezzo di narrativa.
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