Caterina ha una particolare sensibilità per le notizie che riguardano le persone più deboli e indifese o per le ingiustizie, nel sociale. In questo caso ha stimolato anche me a riportare la mia testimonianza riguardo a questa devastante malattia.
Alzheimer, storie di vite sconvolte fra solitudine, spese e uno Stato assente.
Dopo un certo stadio di sviluppo dell'Alzheimer, il malato è quello che forse "soffre" di meno. Il peso enorme di questa malattia per ora senza cura si scarica sulle famiglie, stravolgendo le abitudini, modificando i rapporti affettivi fino, a volte, a logorarli, costringendo a rinunce e a sacrifici che sul piano economico aumentano proporzionalmente quanto meno abbienti sono le famiglie. Le testimonianze raccolte da raccontano il dolore e l'isolamento portati dalla malattia nelle case e l'assenza di sostegno logistico, economico e psicologico da parte del servizio sanitario pubblico; ma anche un appello al mondo della scienza perché continui a cercare una cura contro la malattia
STORIE DI ALZHEIMER
"Poi ti ritrovi a lottare con i sensi di colpa
perché senti la fine come una liberazione"
Il rapporto con il familiare malato, il tragico progredire della malattia, la fatica delle cure quotidiane,
l'assenza della sanità pubblica, la disperazione e le spese nelle prime testimonianze delle famiglie
La mia storia
Mio padre si ammalò di Alzheimer all'età di 69 anni, quando ormai era in procinto di chiudere la sua attività di una vita e tornare al suo paese d'orgine per godersi la sua casetta in riva al mare.
I primi segnali furono dati da un'eccessiva gelosia nei confronti di mia madre, cosa che a noi figli e mia madre ci stupì moltissimo, essendo stata ,loro, una coppia ben affiatata e mai mio
padre aveva vietato mamma di scambiare chiacchiere con amici e parenti. Questo fu per noi il primissimo campanello d'allarme che da li a breve, dopo altre modificazioni caratteriali ,ci convinse di parlarne con il medico. Per prima cosa ci consigliò di sottoporlo ad una tac in testa , dopodichè inizio il nostro calvario , dico nostro, mio, di mia mamma e mio fratello , perchè lui fortunatamente si allontanò dalla realtà e dal mondo che lo circondava, senza nemmeno accorgersi,anche se era consapevole agli inizi. Gli fu attuata una terapia che comunque sarebbe servita a rallentare la malattia e non certo guarirla , come tutti sappiamo. Dopo 2 anni fu cessata, in quanto i medici
ci dissero che per loro non c'era più nulla da prescrivere farmacologicamente ! Io non mi arresi e venni a conoscenza di un nuovo farmaco a livello sperimentale ; non c'era disponibilità nel centro dove mio padre era assistito, ma da li a breve, appena si rese disponibile, fu prescritto.
Il medico mi ricordò che essendo un farmaco nuovo avrei dovuto segnalare tempestivamente gli effetti indesiderati .Partimmo con una dose minima, ma già da subito ci accorgemmo che lo sedava troppo e rifiutava il cibo. La terapia fu sospesa immediatamente e ci rassegnammo al corso evolutivo...gli aiuti? Il nostro comune (in prov di Milano) passava un piccolo contributo economico e la presenza di operatori sociali 3 volte a settimana per 2 ore per ogni esigenza e, ovviamente ,la pensione di accompagnamento. Altri aiuti ,niente! Fummo costretti a ricorrere ad una badante , in quanto mia madre ,da sola ,non riusciva più a gestire la situazione, Ricordo che l'assistente sociale mi mandò una lettera invitandomi a partecipare da sola o con un familiare a delle riunioni chiamate "mutuo aiuto" partecipai alle prime due, poi mi accorsi assieme agli altri partecipanti che queste sedute altri non era che un incontro con altri familiari di malati di Alzheimer . A questi incontri non era prevista la presenza di un medico competente, ma solo noi familiari, portando , ognuno di noi, la nostra testimonianza..come stiamo facendo, ora, da questa pagina del blog.
La malattia è durata quasi 7 anni. Nell'ultimo anno ormai vegetava e bisognava tenerlo imbracato nella sedia a rotelle... una cosa non ha dimenticato fino quasi alla fine: vedendo il mio viso , sporgeva le labbra per darmi un bacio .Tutti ricambiati con grande amore.
(Annamaria)
Storia numero 1
"Ho 52 anni e ho "aiutato a vivere" un ammalato di Alzheimer. Una zia che mi ha fatto da mamma sin da quando ero piccola e che ha amato ed accudito i miei due figli sin dalla nascita. Piena di energia e d'amore che ha profuso a tutti coloro che aveva intorno, ha vissuto tutta la sua vita preoccupandosi degli altri familiari (zia, genitori, fratello divorziato) senza pensare mai a se stessa e rinunciando anche a sposarsi. Fra noi c'era un'intesa tale che bastava guardarci negli occhi per sapere cosa pensavamo entrambe, vivevamo quasi in simbiosi. In me lei ha visti realizzarsi tutti i suoi sogni di avere una famiglia. Con lei vicino mi sentivo forte e sicura e affrontavo la vita piena di fiducia e coraggio.
Ha mostrato i primi segni della malattia a 65 anni. Avuta la conferma, abbiamo iniziato a somministrargli da subito i farmaci di cui era stata appena ultimata la sperimentazione, ma senza nessun beneficio. Ogni giorno notavo dei cambiamenti: non riusciva a dire quello che pensava, non ricordava più i nostri nomi ed era sempre più taciturna. Cercavo di stimolare il suo interesse spronandola a fare le stesse cose che aveva sempre fatto, ma ogni giorno assistevo impotente alla perdita delle sue facoltà e via via di tutte le sue capacità di autonomia. Poi è intervenuto anche il morbo di Parkinson che ha provocato un irrigidimento degli arti, paralizzandola.
Per 12 anni ho dovuto combattere con le piaghe da decubito, con i cateteri che non si posizionavano quasi mai nel posto giusto, con la difficoltà di praticare una corretta e indispensabile igiene quotidiana, con le continue infezioni a livello polmonare, ma anche con personale infermieristico del sistema sanitario nazionale insensibile, superficiale e talvolta arrogante e presuntuoso, con medici che si limitavano ad applicare i "protocolli" e non prestavano mai attenzione alle condizioni generali di mia zia.
A tutto questo si dovevano aggiungere le estenuanti code dal medico di base per le prescrizioni delle medicine e le continue umiliazioni subite ogni volta che si doveva ritirare il poco materiale sanitario per la cura delle piaghe che ci metteva a disposizione la Ausl. Inutile parlare dei costi che abbiamo dovuto sostenere per farmaci, a volte molto costosi, integratori, ausili sanitari, badanti nelle ore in cui ero in ufficio. Grazie alla mia famiglia e ai miei figli, sono riuscita a starle vicino e ad accudirla fino alla fine. Non dimenticherò mai il suo sguardo che mi ha abbandonato solo nella fase finale della malattia. Non ho cessato mai di parlarle, anche se ero consapevole che non mi poteva capire e a volte avevo la sensazione di "ritrovarla", soprattutto quando la abbracciavo o la baciavo.
Sono passati 5 anni dalla sua morte che, lo confesso, ho sentito come una liberazione, e per questo ho dovuto poi combattere con i sensi di colpa. E' ancora molto doloroso ricordare tutte le fasi della sua malattia, tuttavia ora so che mi può ascoltare e ciò mi fa sentire serena e mi infonde coraggio. La malattia ha potuto rendere terribili i 12 anni di vita di mia zia, ma non ha potuto cancellare l'affetto che ci ha unito per tutta la mia vita".
(Dalla provincia di Lecce)
Storia numero 2
La protagonista della mia "storia" è la mia mamma, malata di alzheimer da circa 2 anni. Ha 50 anni e questo male la sta divorando, piano piano sta abbandonando "il mondo", noi figli, tutto. Volete sapere qual è la vera fatica, quotidiana, nell'assistere un malato di alzheimer? Stargli vicino con la consapevolezza di non poter far nulla, guardarla negli occhi e capire che gridano "AIUTAMI!". A mio avviso questa è la sofferenza più grande per chi li assiste ripetendosi ogni giorno: "Perché proprio la mia mamma?"
Anche io non so più dove andare a sbattere la testa. Ho 24 anni, vado al lavoro e il pensiero fisso è sempre Lei, 24 ore su 24; credo che ci siano centinaia di casi simili, e credo anche che la maggior parte delle famiglie scelga di assistere il malato in casa per una mancanza di orientamento (passatemi l'espressione). Si resta soli, letteralmente soli, tu e il malato, perché anche i parenti più stretti spariscono: Ma soprattutto, le istituzioni dove sono? Siamo nel 2010 e quello che vorrei in questo momento, più della vita stessa è una cura per la mia mamma, chiedo troppo?
(Maria, da Milano)
Storia numero 3
Due anni fa veniva diagnosticata a mio fratello, allora 52 anni, la malattia di Alzheimer. Presi dallo sconforto abbiamo affrontato, soprattutto con la moglie - premetto che hanno un bimbo molto piccolo - il problema insieme. Poi è successo che la moglie, stanca ed esaurita, ha portato mio fratello in un centro di assistenza per anziani, e da qui abbiamo interrotto ogni tipo di rapporto. Disperata, non mi rassegno ancora a vederlo lì dentro con la maggior parte dei malati di oltre 70-80 anni e lui che è ancora a tratti cosciente e vorrebbe capire quanto ancora deve stare lì (lui è dolcissimo e per niente aggressivo). Purtroppo sono sola nella mia disperazione (non vede più il suo bambino al quale era affezionatissimo). Credo che lui non sia ancora pronto per un tipo di struttura come quella. Comunque, questo mio è uno sfogo e vi ringrazio.
(Lettera firmata)
Storia numero 4
Mi chiamo Cristina e da circa 4 mesi convivo con mia madre che ha l'alzheimer. Nel mese di maggio è stata ricoverata all'ospedale dove alla prima visita accusava tremore forte alla mano sinistra, poca memoria, scarsa cura della propria persona. Al reparto è stata curata e dimessa con una cura di circa 9 pastiglie al giorno (cardioaspirina ecc.... ). Per quanto la mia testimonianza possa servire, è dura. Non può essere lasciata sola mai. Fortunatamente sono supportata da mio padre e da mio fratello più grande. Sono disposta a ricevere tutti i consigli che mi potete dare.
(Cristina da Genova)
Storia numero 5
Vi ringrazio per questa opportunità. Speriamo che le nostre storie servano a fare un po' di "rumore" in questa società che invece fa finta che questo enorme problema non esiste. Abbiamo nostra mamma malata di Alzheimer da ormai 7 anni ed è in cura c/o il centro diurno di Casal Boccone a Roma con assunzione di farmaci quali Excelon e Ebixa.
All'inizio dell'estate 2009 la situazione è precipitata e mamma ha sviluppato delle psicosi bruttissime ed ingestibili nei confronti di mio padre (il quale ci stava rimettendo la salute mentale ed al quale, come ciliegina sulla torta, a settembre dello stesso anno è stato diagnosticato un tumore). In seguito a questo peggioramento, ai farmaci che già prendeva, è stato aggiunto uno psicofarmaco (Invega) che la rende poco più che un automa.
Noi tre figlie (due "operative", una non vive a Roma) abbiamo dovuto - appena saputo anche della malattia di papà - prendere una persona che possa stare con loro per tutto il giorno (e che va pagata!), anche perché mio padre è stato operato a gennaio 2010 e sottoposto - prima e dopo l'intervento - a terapie di chemio e radio c/o una struttura ospedaliera e quindi non avremmo saputo con chi lasciare mamma (che non può stare assolutamente da sola).
Noi ci chiediamo dove sia lo Stato in tutto questo. Dove sono i servizi sociali, dove sono i contributi per pagare la persona che obbligatoriamente abbiamo dovuto assumere (altrimenti ci saremmo dovute licenziare dai nostri impieghi)? In sintesi, due genitori malati gravemente. Con papà ancora ci possiamo parlare, possiamo interagire, ma con mamma purtroppo da più di un anno non più.
Ma è possibile che la sperimentazione per le cure definitive per questa maledetta malattia sia ancora a "caro amico"? Possibile che si spendano soldi dei contribuenti per tutto tranne che per la tutela e il rispetto delle persone malate di Alzheimer (e non solo) e delle loro famiglie che le assistono senza alcun aiuto? Non è giusto. Siamo sole!!!! Aiuto!!!
(Laura da Roma)
STORIE DI ALZHEIMER
"Assistenza? Una pensione da 472 euro
e 2mila di spesa mensile per il badante"
Perché certi integratori non vengono passati gratis pur essendo dei salvavita? Le richieste delle famiglie alle prese con la malattia, il messaggio di un sacerdote che ha la madre malata, la testimonianza dei legami distrutti dalle difficoltà
Storia numero 6
Mi chiamo Mauro, sono di roma, mio padre è affetto da Alzheimer con Parkinsonismo ormai dal 2000 e necessita di continua assistenza giorno e notte; pertanto abbiamo assunto un badante che convive con i miei genitori (anche mia madre è invalida al 100% e in realtà i badanti sono due fissi 24 al giorno). Io sono figlio unico e mi devo occupare di tutto: organizzare le visite mediche, medicinali, pannoloni, urgenze varie, assistenza durante le festività (i due ragazzi vanno via e devo trovare dei degni sostituti) e gestire le problematiche di ogni giorno.
Tra l'altro mio padre necessita di addensante per poter bere acqua e sto combattendo una battaglia da solo contro la Asl, visto che l'addensante è catalogato come integratore, e quindi non è passato gratuitamente, e non come salvavita quale in realtà è. I miei genitori sono entrambi pensionati e percepiscono anche la pensione di invalidità con accompagno; facendo però due conti vi renderete conto della ridicola cifra che lo Stato ci dà per gestire l'handicap. La pensione di invalidità ammonta per ciascuno a 472€ al mese che dovrebbero servirci per far fronte a tutte le spese dell'assistenza, che in realtà costa ben di più.
Infatti una badante convivente costa: - stipendio mensile 850€; quota mensile 13a e TFR: 100€; contributi Inps mensili: 150€; festivi: 100€ a settimana, quindi 400 € al mese; quota mensile ferie: circa 100€; vitto mensile: almeno 200€. Totale: 1.800 € al mese. Quindi a fronte di una spesa di almeno 1.800 (più visite mediche, farmaci e tante altre spese varie si arriva ad almeno 2.000 euro al mese), lo Stato ti "aiuta" con 472 euro mensili!
Finora mai nessuno ha avuto il coraggio di denunciare questa assurdità. In teoria per i VERI invalidi, per la loro semplice sopravvivenza, la pensione di invalidità dovrebbe ammontare ad almeno 4 volte quella finora elargita. Per non parlare dell'assenza dello Stato nell'assistenza medica e psicologica: completamente nulla!! Sarebbe utile che qualcuno facesse arrivare la nostra voce ai nostri politici, magari portandoli a casa di qualche malato di Alzheimer (la mia casa sarebbe a disposizione se occorresse), così toccherebbero con mano le realtà che affrontiamo ogni giorno da soli!!
(Carlo, da Roma)
Storia numero7
Sono un figlio sacerdote di una madre ammalata di alzhaimer. Da sei anni conviviamo con mio padre e mia sorella non sposata questa realtà. Ho altre due sorelle che sono sposate e che saltuariamente si occupano di lei. Ora mi trovo al mare con lei per permettere a mia sorella un atttimo di sollievo. La cosa che mi preme dire a quanti vivono questa realtà, a parte la poca attenzione delle strutture socio-sanitarie che arrivano sempre in ritardo, che noi famigliari dobbiamo coalizzarci.
Se non ci si rende conto della realtà si rischia di combattere con i mulini a vento. Accettare la propria madre che diventa bambina è da una parte triste e inaccettabile per un figlio, ma d'altra parte è un'esperienza unica, almeno per me sacerdote. Occuparmi di una madre che tante cure mi ha dato mi permette di mettere in pratica l'evangelo e cioè l'amore verso il prossimo. Con mia madre ho imparato a sdrammatizzare la vita; a ridere delle piccole gioie che essa dona; a gioire per un fiore, un tramonto, un gelato, una passeggiata sulla riva del mare, a non vergognarmi di quello che gli altri possano pensare di me e di lei nel vederci assieme; anzi, mi sento fiero di tutto ciò. Questo mi sembra possa essere il messaggio positivo che vorrei lanciare. Godere della "pazzia"della vita in una così detta normalità pazza sul serio. Vi abbraccio tutti
(Don Emanuele, da Verona)
Storia numero 8
Vi ringrazio per darmi la possbilità di raccontare in breve quello che purtroppo sto vivendo. Mia madre dal 2005 vive affetta da Alzheimer, una malattia che per la famiglia è distruttiva. All'inizio non capisci, sei confuso e poi non vuoi capire, ti pare impossibile. Piano piano il suo cervello viene divorato, viene azzerato tutto: parole, comportamenti e gesti non sono più quelli di prima.
Da quel momento comincio io a far da mamma a lei, in tutti i sensi: a lavarla, a vestirla, a sforzarla a leggere, a guardare foto vecchie della famiglia per farle ricordare qualcosa, qualcuno. Cerco di impegnarla a fare piccoli lavori, le parlo continuamente. Adesso è ricoverata in una buona residenza, non era più possibile tenerla in casa; mi riconosce a tratti, parla pochissimo e quel poco devi decifrarlo, tradurlo cercando di cogliere nei suoi occhi quello che vuole dirti. Nel frattempo mio padre è morto e lei non lo sa... quanto vorrei dirglielo vorrei piangere con lei .. ho tanto bisogno di lei. Ancora non capisco, non accetto... ma lei è serena grazie anche all'aiuto della struttura in cui si trova.
(Marina)
Storia numero 9
Ho 45 anni, ma in alcuni giorni me ne sento 80. Chi conosce questa "orrenda" malattia mi capisce e sa quello che intendo. La mia storia, senza fronzoli, è iniziata circa 9 anni fa quando mio padre ha iniziato ad avere (qualche volta) dei comportamenti "strani" con notevole perdita della memoria breve che io e mia madre non capivamo. A seguito del peggioramento di tali problemi ci siamo informate e, gira che ti rigira, dopo 3 anni di visite, esami e varie abbiamo avuto la sentenza: morbo di Alz..... (non riesco neanche a scriverlo). La nostra considerazione è stata: e che è? Come evolve? Che dobbiamo fare?
Leggi, studia, informati, piano piano, giorno dopo giorno, problema dopo problema, abbiamo capito. Sempre per brevità, la storia di mio padre è terminata il 23 dicembre 2009 dopo atroci sofferenze. Nel frattempo, a seguito dell'esperienza acquisita ho notato che mia mamma aveva gli stessi "strani comportamenti" (e con strani sapete cosa intendo). Ma dovendo seguire la fine di mio padre non ho potuto approfondire. Così a marzo mi sono fatta coraggio e l'ho portata presso il centro Uva dove ormai mi conoscono bene e dove, dopo i test e i vari colloqui, ho avuto la seconda "condanna"!
Ho dimenticato di dirvi che a seguito di tali problemi ho dovuto anche affrontare il divorzio da mio marito e non ho parenti stretti che possano darmi una mano, il mio unico fratello vive all'estero e non mi è di grande aiuto (come potrebbe abitando dall'altra parte del mondo?) Pertanto ora so tutto su "tale" malattia e alcune volte vorrei davvero morire!!! Il mio tempo si divide tra il lavoro (almeno 8 ore al giorno in ufficio) e mia mamma che, attualmente è al grado 2 ed è nella (per me) fase peggiore. E' sola e non vuole nessuno perché "non ha bisogno di niente" (consapevolezza, ma non rassegnazione). Grazie per l'ascolto
(Paola, da Pescara)
Storia numero 10
Poco da dire. I miei non erano stati mai genitori adatti a me: mi ebbero tardi (43 e 46 anni rispettivamente), a 18 anni al millesimo di distanza dal maggiore dei fratelli e a dieci dal minore. Mia madre si produce in urli satanici anche senza apparentemente grande motivo di discordia; quando non urla è comunque logorroica, però chiama le persone per nome e non scappa di casa. Mio padre, da almeno 5 anni, è inaffidabile, non si ricorda i nomi dei figli, miracolosamente nei giorni scorsi alla domanda "chi erano Burgnich e Facchetti" ha risposto "corridori " (in fondo l'idea c'era); quando ci si dimentica di chiudere la porta di casa, se non è a riposare, prende e parte, seguendo a naso la strada per la casa che fu di suo padre. Circa 20 volte al giorno chiede di suo padre, a nulla serve ricordargli che è morto appena 53 anni fa. Non c'è la volontà di ricorrere al giudice tutelare e a strutture adeguate, e qualcuno in famiglia accetta il martirio, si fa rovinare questi anni di vita. Il tutto si riduce all'attesa della loro morte.
(Francesco)
STORIE DI ALZHEIMER
"Nella realtà si è soli con il proprio dramma"
Consigli da e per chi ha un malato in casa
Le testimonianze delle famiglie: "Il momento peggiore, che arriva per tutti, è quando ti guardano e non ti riconoscono più o ti scambiano per un altro". "Spero che si trovi una cura per evitare a loro di perdere la dignità e a chi li assiste tutto questo dolore"
storia numero 11
Mio padre è stato un operaio Italsider (Bagnoli) ed ha fatto per tutta la sua vita lavorativa i turni (mattina, pomeriggio, notte). Per le note vicende siderurgiche è stato prepensionato a 50 anni, quindi a un tratto non ha avuto più un'attività lavorativa e purtroppo per lui non è riuscito a trovarsi una nuova dimensione, una qualche attività che lo stimolasse. Per anni ha girovagato per il suo quartiere sempre con l'inseparabile sigaretta.
Questo status è durato una decina di anni. La sera del battesimo di mio figlio, mio padre è stato ricoverato d'urgenza in ospedale e operato allo stomaco per un'ulcera dovuta al troppo fumo. Per me è iniziato tutto quella notte. Al suo risveglio e da quel momento in poi, non ha mai più chiesto una sigaretta, non sentiva più la dipendenza dalla nicotina. Per noi fu un doppio miracolo.
Dopo qualche anno sono iniziati i problemi. Coincidenza? Non ci crederò mai. Il primo segnale fu quando mio padre in certi momenti non riusciva più a dare valore ai soldi che aveva in tasca, non sapeva dire cosa avesse speso e perché; oppure capitava che in giornate calde si vestisse con abiti pesanti o negava l'evidenza di alcuni suoi atti. Fatti i primi accertamenti, la diagnosi fu appunto l'Alzheimer. Io non ci volevo credere perché lo vedevo normale. Ritenevo, sbagliando, che quei piccoli errori fossero dovuti all'età. Poi con il passare del tempo mi sono dovuto arrendere all'evidenza.
E' stata la cosa più dura per me perché non lo volevo accettare. Si iniziò dalle piccole cose: non essere più in grado di scrivere il proprio nome o di infilare una chiave nella serratura, non essere più in grado di allacciarsi le scarpe e a piangere per tutto questo (alcuni diventano violenti) fino ad arrivare a non riconoscere più il luogo dove viveva, le persone care, ad accanirsi sui ricordi spiacevoli e sui dispiaceri subiti nella sua infanzia.
Il momento più brutto (e arriva per tutti) è quando ti guarda negli occhi e non ti riconosce più o, peggio ancora, ti scambia per il padre o per il fratello.
E' dura da accettare, ma è così. Il malato di Alzheimer vive una condizione di stress continuo perché si rende conto che non riesce più a fare ciò che faceva prima, non riesce più ad essere quello che era prima semplicemente perché se lo dimentica e nella fase iniziale è consapevole di questo. Mio padre nei periodi di forte crisi pretendeva di andare nel palazzo dove era nato e aveva vissuto da bambino e una volta giunto sul posto confondeva tutto ed era capace di fare questo anche tutto il giorno.
Poi ti prende anche fisicamente perché il cervello non controlla più le funzioni vitali. A un certo punto siamo stati costretti a inserirlo in una struttura privata ad hoc dove, con mia grande sorpresa, sembrava aver trovato una sua certa serenità, una dimensione che gli alleviava lo stress del non ricordare. Mio padre è finito il 10 aprile di quest'anno.
Questa è una malattia che colpisce soprattutto chi è vicino al malato perché ti logora psicologicamente. Esiste l'Aima (Associazione Italiana Malati di Alzheimer), ma quando vai nel concreto si è soli. Non esiste una struttura pubblica in grado di seguire il malato. Ci vuole una grande forza d'animo e soprattutto una forte mano da chiunque sia disposto a darla perché non sarà mai abbastanza. E lascia il segno.
Mi sento infine di dare qualche consiglio: prendere coscienza il prima possibile del fatto che ogni spiegazione logica del comportamento del malato è inutile; cercare di creare un clima di serenità soprattutto in famiglia; avvisare il vicinato; mettere in tasca al malato l'indirizzo di casa e un recapito telefonico; assecondare sempre il malato dandogli la certezza che lo stai ascoltando; prendere coscienza del fatto che la persona che hai di fronte non esiste più ma è presente e ti ascolta.
A mio padre: dovunque tu sia e qualsiasi cosa stia facendo, voglio solo dirti che ti voglio bene e che mi manchi molto. Spero un giorno di poterti riabbracciare potendo osservare un tuo sorriso come quelli che facevi una volta. Ciao
(Anonimo, dalla Campania)
Storia numero 12
Caro Pà, negli ultimi anni della tua vita ti sei lasciato accudire come un ragazzino, tu che sei sempre stato un guerriero nel lavoro e nella vita. Mi ricordavi della tua vita del dopoguerra con dei particolari sorprendenti, nonostante fossero passati 50 anni, ma poi non riuscivi a ricordare neanche che io ero tuo figlio, non ricordavi le cose legate agli ultimi 5 anni della tua vita.
Ho avuto l'onore di servire un uomo, un leader della generazione di quelli che nella vita hanno solo lavorato e lottato come nessuna generazione per l'Italia. Negli anni della tua malattia ho solo fatto finta di essere un perfetto estraneo, una spece di colf e tu mi ringraziavi per le gentilezze ricevute dopo qualsiasi barba o doccia o aiuto nel vestirti. Non ho mai ubbidito nel darti le esatte dosi di medicine che ti facevano dormire; ti ho lasciato la libertà di uscire di casa, seguendoti da lontano per paura che ti perdessi, per lasciarti godere ancora una volta dell'essere per certi versi ancora autonomo.
Anni per assurdo belli, dove ti ho potuto stare vicino, anche perché lavoravi sempre, e quando hai finito tu di lavorare ho cominciato io. Poi alla fine la beffa di uno stato che non riconosce questa malattia, o se la riconosce è solo quando degenera a demenza senile. Poi ancora te ne sei andato nel sonno. Lo stato comunque ha provveduto alla mamma con la reversibilità della tua pensione di 500 euro, con i quali a stento si può vivere in affitto in un garage. Ciao Pà e grazie.
(Enzo, dall'Abruzzo)
Storia numero 13
Ho mia suocera affetta da Alzheimer. L'inizio intorno ai 70 anni. Giorno dopo giorno ho assistito impotente a un lento ma inarrestabile impoverimento mentale che oggi, che lei ha 79 anni, l'ha trasformata da una furbissima donna super attiva a una magrissima vecchietta dallo sguardo perso, come se stesse cercando se stessa in un mondo di persone sconosciute: non riconosce più i suoi cari, non li nomina più, piange e ride quasi contemporaneamente, parla parla senza filo logico: il suo essere si è dissolto, è evaporato, si è ridotto in cenere e continua ad albergare in un corpo che si sta avviando all'immobilità. Fa tanta tenerezza vederla parlare allo specchio, fa anche sorridere e ci porta ad amarla e coccolarla come se fosse una bambina piccola.
(Cinzia)
Storia numero 14
La mia mamma si chiamava Teresa ed è morta il 29 luglio scorso, consumata dal morbo. Ho letto tante cose su questa patologia e purtroppo credo che, al di là delle connotazioni mediche, di essa possa parlare solo chi l'ha vissuta. La mia mamma era una tenera, dolce donna forte nel carattere e nel fisico, che l'Alzheimer ha lentamente ma inesorabilmente consumato. Non sto qui a descrivere i protocolli medici, gli intoppi burocratici per il riconoscimento dell'invalidità o il rilascio del contrassegno invalidi o per avere il riconoscimento dei benefici della legge 104.
Vorrei parlare invece del dolore che ti dilania quando vedi una persona che ami ridotta piano piano a un vegetale. La tristezza che ti assale quando ti accorgi di come sia difficile per lei compiere i gesti più elementari quali bere, portare le posate alla bocca, infilare una manica del giacchino. Ho pregato con tutta me stessa, forse egoisticamente, che fino alla fine lei mi riconoscesse e così è stato; almeno questo dolore mi è stato risparmiato. Ma credetemi non vi è nessuna poesia nel vedere chi ami completamente dipendente da te.
La forza dell'amore mi ha permesso di non sentire le fatiche fisiche del prenderla in braccio per accudirla nelle sue esigenze primarie. Si stringeva a me come a cercare protezione, a me che riuscivo a farla sorridere, a me che l'accarezzavo fino a farla addormentare dolcemente per cercare di diminuirle i deliri e le allucinazioni notturne che neanche i farmaci psicotici riuscivano più a controllare. L'ho acompagnata dolcemente nella sua nuova dimensione ma mi è costato tanto, troppo. Il mio cuore è triste e sereno allo stesso tempo, il mio corpo ora avverte tutta la stanchezza e la fatica.
Mi auguro che lei non abbia avuto consapevolezza del suo decadimento. Mi piace ricordarla la mamma dolce e volitiva con cui mi confrontavo. E prego che si trovi al più presto una cura che non sia un rallentatore, ma un curativo che eviti ad altri tutto ciò e permetta a tutti di conservare fino alla fine la propria dignità.
(Lucia)
Alla radice della malattia anche uno squilibrio di metalli necessari per funzioni cerebrali
Scienziati australiani hanno compiuto un importante passo nella conoscenza del morbo di Alzheimer, una condizione che descrivono come un accumulo di ‘ruggine’ nel cervello. Secondo la ricerca guidata dal professore di patologia dell’universita’ di Melbourne, Ashley Bush, alla radice della malattia degenerativa di cui soffre il 10% degli ultrasessantenni, vi e’ uno squilibrio nelle proporzioni dei metalli necessari per una sana funzione cerebrale.
Nella ricerca pubblicata sulla rivista Cell, tale squilibrio viene attribuito all’impropria elaborazione di zinco e di ferro da parte del cervello. ”Il cervello nel morbo di Alzheimer e’ in condizioni di catastrofe ed e’ molto difficile individuare con precisione come abbia cominciato a peggiorare”, scrive Bush. Questa ricerca pero’ scioglie un serie di nodi e mette in luce una particolare sequenza che coinvolge questi due metalli.
Lo studio si e’ concentrato sulla complessa relazione fra la proteina precursore dell’amiloide (App) e il suo prodotto amiloide in cui si scompone, insieme a zinco e ferro. Poiche’, come e’ stato osservato, lo zinco si accumula nell’amiloide, esso impedisce all’App di svolgere il compito vitale, e prima d’ora sconosciuto, di esportare il ferro dai neuroni cerebrali. Questo causa un accumulo di ferro nella materia grigia, spiega lo scienziato, causando stress ossidanti che possono uccidere i neuroni.
”Si puo’ dire quindi che la perdita di funzioni mentali sia causata, in senso chimico, da ruggine nel cervello. In maniera simile alla vera ruggine, comporta infatti una combustione anormale di ossigeno e ferro”, spiega ancora. ”Il cervello e’ un organo inusuale in quanto contiene concentrazioni molto alte di metalli, che usa per i suoi processi chimici elettrici”. Il prof. Bush e’ cofondatore della ditta di biotecnologia Prana, che sta sviluppando un nuovo farmaco detto PBT2, attualmente in fase di sperimentazione clinica, che mira a ripristinare i normali livelli e distribuzione dei metalli nel cervello.
Uno studio portato a termine dai ricercatori dell’università di Oxford e pubblicato da Public Library of Science One dimostra che la vitamina B, presa in dosi abbondanti, può ritardare l’insorgere di quelle problematiche tipiche della terza età, quali la demenza senile e l’Alzheimer.
Una scoperta di tale portata potrebbe apportare notevoli cambiamenti nella vita di chi soffre di patologie legate all’anzianità e dei loro familiari. I ricercatori, però, tengono a freno ogni entusiasmo precoce: finché non saranno stati fatti tutti gli studi necessari per evidenziare eventuali rischi di tale terapia la prescrizione di vitamina B in anziani soggetti a demenza senile o Alzheimer non sarà ancora consigliata.
Nel frattempo le famiglie che hanno a che fare con persone vittime di tali disturbi degenerativi possono integrare la dieta quotidiana con alimenti quali le patate, la carne ed i cerali, che sono ricchi di vitamina B e che, certamente, non potranno che giovare alla salute.
da alzheimer-360.com/
Annamaria... a dopo
Queste storie stringono il cuore mentre spingono alla speranza le ricerche. Verrebbe da dire: facciamo molto baccano perché qualcuno si accorga della nostra vita di sofferena e disperazione. Ma sì, facciamolo.
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