venerdì 29 novembre 2013

IL BLOG-ROMANZO DI BEN APFEL

Puntate precedenti - mercoledì 23 ottobre 2013


Capitolo 2 (Piano B)

… sono pervaso da qualcosa di piacevole. È diverso dalle altre volte perché di solito questi amori non durano più di qualche secondo, mi capitano in continuazione, per strada, sugli autobus…
In primavera Roma è generosissima di amorucci usa-e-getta, ma questo dura già da qualche minuto, ancora non ci siamo lasciati e non è neanche primavera. Tutte cose non trascurabili, dico.
Ma stavolta le trascuro perché sennò me la perdo e siccome in fondo so che non ho nulla a che vedere con lei, che finita questa serata non la vedrò mai più, che qualunque mia possibilità di avvicinarla è annientata dalla presenza della mia ex che ha capito tutto e non vede l’ora di sbranarmi, decido che almeno la guarderò fino alla fine e poi me ne andrò. Meglio a casa, penso, piuttosto che colto in flagranza di reato mentre sbavo come un molosso nel boccale di birra chiara, lì a spergiurare che è la sua schiuma naturale, che quel tipo di birra fa così, che è risaputo.
Quando torna al suo posto, come uno che ha visto troppo, che è rimasto offeso dalla volgarità dello spettacolo, mi alzo e me ne vado; voglio evitare di essere intrappolato nel solito sacco della ex. Roba che le mie amiche se ne vanno e la mia ex resta fino alla fine chiedendomi di accompagnarla a casa e rovinandomi definitivamente la piazza. Non esiste, sono single ed è giusto che si sappia, è una questione di principio!
Ma i miei piani vanno in frantumi. Lei, il miracolo, mi sta guardando e le “mie amiche” mi stanno guardando ma contano poco, perché adesso abbiamo stabilito un contatto, io e la meraviglia, e io sto lì in piedi con il giaccone a fare la figura del coglione. E che la rima enfatizzi il concetto!
Devo comunque improvvisare, rendere credibile l’uso del giaccone anche se poi non me ne vado. Afferro un pacchetto di sigarette sul tavolo, non so neppure a chi appartenga, e lancio un generico “esco a fumare …” sperando che a nessuna salti in mente di dire “ma tu non fumi!”
Nessuno dice nulla e lei distoglie lo sguardo, mi pare.
Mentre attraverso il pub fino all’uscita mi accorgo che fumano tutti, intendo dentro il pub, che siamo in una di quelle rarissime terre franche in cui regna una rassicurante leggiadra autarchia. Penso che in fondo fumare fuori non può che farmi apparire particolarmente educato o rispettoso, o solitario e romantico. Non certo un cretino che non approfitta di una opportunità quando ce l’ha. E poi mi fa bene prendere un po’ d’aria, mi schiarisco le idee, mi disintossico un po’ dal pensiero di lei, lascio che i muscoli del mio viso disimparino la smorfia da ebete che certamente facevo guardandola.
Quando rientro lei è ancora là. Io mi siedo con le mie donne e me la scordo. La sento ridere con un altro. È quel cretino che ha organizzato l’incontro, un ragazzetto spigliato di quelli che dopo la simpatia sfoderano quella sicurezza che fa tanto uomo a cui non resiste nessuna. Dalla mia posizione è troppo difficile mettere a segno un punto, sono totalmente fuori dai giochi, mi sento come al loro matrimonio seduto in terza fila a fare training autogeno per trovare il coraggio di dire “IO” quando il prete ha appena detto “…o taccia per sempre!”. Mi guardo intorno. Niente preti.
So come finirà, ho un’esperienza strabiliante, al riguardo: adotterò il piano B e il piano B non funzionerà. E siccome ho un debole per il meccanismo della profezia che si auto-avvera, passo al piano B.
Il piano B consiste nello stare lì immobili tenendo una postura e una espressione il più virili possibile in attesa che, sempre che lui non la baci prima, lei, che in fondo già ti ama, ti butti un’esca. È chiaro che se lei in fondo non ti ama il piano B fallirà miseramente. Per la cronaca il piano B con me non ha mai funzionato, ma forse mi ha temprato. Davvero… se non fosse per tutti quei piani B andati male, oggi non sarei neppure in grado di invitare una donna a ballare. Giuro!
Mentre penso a tutto questo alcune delle mie donne parlano con me di cose noiose che non mi riguardano neppure da lontano, io faccio di sì con la testa e quando il mio “sì” non si sposa con le loro domande o battute e mi sento dire “ma non mi ascolti…!” sorrido. Ho un bel sorriso, dicono, e allora ne faccio uso. Non sorrido a lei perché con lei mi uscirebbe una variante della smorfia ebete, è ovvio. E comunque, incredibile, il piano B funziona!
A un certo punto lei pronuncia il mio nome, io mi giro interrogativo a guardarla e il tizio che ha capito tutto mi spiega che non parlavano di me ma di un altro, d’altra parte non è che sono l’unico al mondo a chiamarsi Luca. Però con la scusa ho l’occasione di guardarla negli occhi, sorridere (col sorriso buono) della coincidenza e augurare loro buon proseguimento perché stavolta, davvero, si va via. Cos’altro avrei potuto fare dopo aver parlato con la donna, la prima donna, quella che si prende a modello quando si deve spiegare a un extraterrestre cosa significa “donna”? Tornare a parlare con le amiche? Troppo rischioso. Nello stato in cui mi trovavo avrei potuto rovesciarmi la birra addosso o cadere dalla sedia o dare un colpo di ginocchia sotto il tavolo, di quelli che finisce tutto per terra e in un attimo sei lo scemo del villaggio. Popolarissimo, però.
No, mi sono alzato lentamente e me ne sono andato.
Sì, lo so che questo non può essere considerato un piano B ben riuscito e anch’io l’ho pensato per alcuni giorni. Invece lo era.


Capitolo 3 (fiori)

Fiori … quando ho fatto la visita militare ero curioso più di tutto di sottopormi al famigerato test dove si dice che se rispondi affermativamente alla domanda ti piacciono i fiori? Quei soldatini dal cervello medioevale ti riformano per omosessualità manifesta, capirai …
Comunque ci avevo pensato tantissimo a ‘sta storia dei fiori, e alla fine mi ero convinto che sì, i fiori mi piacevano. Come fanno a non piacerti, sono colorati, allegri, profumati, è una follia che qualcuno possa anche solo pensare odio i fiori a meno che non abbiano cercato di fartene ingoiare un mazzo di quelli con le spine all’età di sei anni. Per cui mi ero risolto a rispondere sì con quel cipiglio ribelle dei diciottanni. Pensavo, se poi mi riformano davvero, tanto meglio.
In realtà nessuno mi fece mai storie su quella risposta e io feci comunque il servizio civile in una biblioteca comunale. L’anno successivo però ero diventato allergico. Ai fiori, alle piante, agli alberi, a qualunque cosa sporeggiasse, impollinasse o verdeggiasse senza ritegno. Cominciavo a starnutire a febbraio e finivo a maggio, certe volte a giugno, ed è stato sempre peggio. Una cosa insostenibile! Ho provato tutti gli antistaminici in commercio, ne alternavo quattro o cinque ogni volta trovando quello più efficace sempre a fine stagione. L’anno dopo però, quello che l’anno prima era parso funzionare, non serviva a niente. Ci ho messo una vita a capire che in realtà quegli antistaminici che si erano dimostrati efficaci, erano bufale come gli altri, che semplicemente avevo preso ad assumerli quando i fiori avevano smesso di starnutire i loro semini letali. Così negli ultimi anni andavo in giro con delle voluminose palline bianche ricavate appallottolando strisce di fazzolettini di carta. Ne mettevo una per narice lasciando uscire un filamento sottile per poterle estrarre e sostituire con un paio asciutto. Non prendevo più medicine e odiavo i fiori. Quindi secondo gl’insigni scienziati dell’Esercito Italiano potevo essere sicuro di non essere gay.
I miei amici ridevano, le mie donne invece mi rimproveravano e camminavano a metri di distanza. Si vergognavano di avermi accanto con quei cosi bianchi che mi uscivano dal naso. Fatti loro, io stavo benissimo e non mi sembrava vero.
Quest’anno però è successo qualcosa, in televisione hanno avvertito gli allergici di tutta Italia già in autunno che la mimosa, a causa dell’effetto serra, avrebbe sparato i suoi dannati semini a dicembre e che da febbraio a giugno avremmo subito un bombardamento senza precedenti. Sono andato subito a controllare la mia scorta di antistaminici e fazzolettini e mi sono messo l’animo in pace. Già a febbraio starnutivo che era una bellezza. Poi il giorno dopo la presentazione sono uscito presto, ho dimenticato di prendere l’antistaminico e ho raggiunto degli amici al parco. Chi ci pensava che avevo l’allergia!? Io no di certo, anche perché a ricordarmelo non c’era un solo starnuto, non l’ombra del fastidioso prurito che ogni anno da dieci anni mi torturava le narici. Niente. Qualcosa non quadra, mi dico. Corro dal dottore e lo riempio di domande.
Scherzi?”, dice, “quest’anno è stata una strage e tu dici che non hai ancora starnutito mezza volta?! Che medicine stai prendendo?”
Prima di proseguire è bene che sappiate che il mio dottore non è un vero dottore ma uno psicologo. Un amico di famiglia. Sapete, io vado a Roma dove c’è un amico di papà che fa lo psicologo, sono ipocondriaco, variamente fobico, un po’ ansiosetto… Ed eccomi qua.
…no, per l’allergia, nessuna medicina.”
Può darsi che alcuni medicinali contengano un principio che collateralmente…”
Niente che lei non mi abbia prescritto”
Come dicevo il dottore non è un vero dottore ma sua sorella sì. È lei che firma le nostre ricette.
È stupefatto, senza parole, mi guarda come fossi un extraterrestre.
Non è che stai mangiando uova di quaglia?”
No, perché?” Rido.
Non so davvero che dirti. Magari t’è passata così, da un momento all’altro, può capitare!”
Lo guardo incredulo, “andiamo, lei è un uomo di scienza…”
Mi guarda con gratitudine, come un rockstar in pensione guarderebbe un vecchio irriducibile fan. Poi guarda il tavolo e ci ticchetta sopra con la Bic. Sorride sornione.
“…A meno che…”
A meno che?”
a meno che non ti sia innamorato”, me lo chiede così, a bruciapelo.
Il cerchio si chiude, ragazzi. Mi piacciono di nuovo i fiori, e mi piacciono perché sono innamorato di una ragazza. Cioè mi piace l’idea dell’allergia che passa così… ma di chi sono innamorato?
Voglio dire quella dell’altra sera al locale mi piaceva sì, ma cioè, alla fine, chi la conosce?
Inutile impazzirci su, l’importante è essere innamorati e senza allergia, alla faccia di quel test imbecille.


Capitolo 4 ( Competenze spendibili)


Dopo aver dormito qualche giorno sulla mia nuovissima non-allergia e sul presunto fallimento del piano B, dopo aver somministrato al mio dottore il sogno che ne era seguito ed aver intascato nuove certezze sulla mia virilità, mi sono accorto che non ricordavo più i suoi occhi né la forma del suo viso. Nel pomeriggio non ricordavo neppure che era esistita. La sera bevevo un rum con gli amici e ad ascoltare i discorsi che seguirono si sarebbe detto che nella nostra vita non c’era altro che la casa nuova in cui saremmo andati ad abitare insieme, i lavori che avremmo dovuto fare per renderla decente, i soldi che avremmo dovuto sborsare. Eppure dentro la mia testolina, in incubazione come un virus letale, c’era già lei. E stava in una cartella chiamata “piccoli amori quotidiani” insieme a quella bionda che avevo incontrato tre volte nella stessa mattinata e che, anche quando mi aveva sorriso, avevo lasciato andare via senza nemmeno rivolgerle la parola. Cacasotto! Forse avrei dovuta rinominarla, quella cartella, e chiamarla così, “Cacasotto”. Non posso farlo più perché la mia inettitudine la sera del reading non è stata decisiva. Insomma, essendoci stata concessa una seconda possibilità, mi sono guadagnato il diritto di lasciare la bionda da sola nella sua bella cartelletta degli amorucoli quotidiani, ed aprirne una tutta per lei, che chiamerò “N.”
A seguito di un sogno particolarmente articolato che il mio dottore interpretò come richiesta d’aiuto della mia anima incapace di far fronte allo stress da pessimo-lavoro-scarse- gratificazioni, diedi inizio alla più sontuosa caccia al lavoro dai tempi di “Una donna in carriera” con Melanie Griffith e Harrison Ford. Che poi quella non era esattamente una caccia al lavoro ma nei film americani il tema del lavoro è sempre lo stesso. Nelle varianti: un-cretino-fa-una-carriera-fulminante, e un-barbone-si-ritrova-a-capo-di-una-multinazionale. Ma io che guardo solo film americani non so trovare di meglio, per cui è il caso che vi accontentiate senza tante storie.
Insomma ce l’avrei pure, un lavoro, ma fare da balia a un quasi neonato sette otto volte al mese non è il massimo della vita. Cioè lui è dannatamente noioso, i nonni si aspettano che alla bisogna gli pulisca il culo e tutto ciò non è bello.
Vabè, prendo Portaportese, mi iscrivo a Monster, un sito per i disoccupati che tutti si ostinano a consigliarti come il migliore del genere quando si sa che nessuno è in grado di aiutarti, e parto. Mezzora dopo ho ammonticchiato tutte le mie agendine vecchie e nuove, ho stampato tutti i numeri e i nominativi che avevo sul cellulare e ho compilato un curriculum modello europeo con tutte le cose che ho fatto, comprese quelle che solo con molta fantasia potrebbero essere considerate lavori.
Perché capiate cosa intendo… una volta ho sentito mio zio Ermanno, imprenditore friulano in carriera, dire a suo figlio appena diciottenne: “fa’ vedere a Luca, fallo con trenta monetine!”, mio cugino Davide s’è messo trenta monetine in tre colonne da dieci sul gomito sollevato, e buttando giù il braccio improvvisamente se le è ritrovate tutte in mano senza perderne una. Non vi dico, tutti ad applaudire.
Hai visto?”, disse lo zio, esaltato dalla performance del cuginetto.
Strabiliante…!”, non vedevo l’ora di andarmene.
Non tutti lo sanno fare. Sai che significa questo?” Scossi la testa. “Che è una competenza, una competenza bella e buona. Mi segui? Una abilità spendibile, potrebbe diventare un lavoro, sai? È così che va oggi.”
Mentre cambiavo stanza speravo di risparmiarmi la parte in cui paventava quella dell’acchiappamonete come carriera plausibile. Nessuno può resistere all’immagine di sé che fa un numero di giocoleria perché questo è il talento che gli ha dato Dio. Ma la mazzata arrivò quando zia Paola, sorella zitella di zia Giovanna e quindi di mamma, depressa cronica da vent’anni, disse:
Luca conosce a memoria tutti i film che hanno vinto l’oscar dal 1939 a oggi. Anche questa è una competenza, no?”
Ad ogni modo sono in camera mia, immerso in una valanga di fogli, tutto intento a inviare curriculum, chiamare gli amici che possono conoscere qualcuno che mi assuma e prendere appuntamenti con tutti i call-center recuperati su Portaportese, quando squilla il telefono.



Capitolo 5 (N.)


È Ciccio. E si dice disposto a pagarmi cinquecento euro sull’unghia. Sono basito, bloccato, paralizzato dalla prima vera prova dell’esistenza di un dio, un’entità superiore, qualcuno che insomma decide tutto, uno che da lassù…

Luca… Luca!”
S-scusa, Fra’, c-cosa posso fare per te?”
Ripararmi il condizionatore.”
Se zio Ermanno lo sentisse mi convincerebbe che è la strada giusta. Lo sai che è un settore in crescita?, direbbe.
Ma come ti viene di chiederlo a me, io che in vita mia ho evitato accuratamente di studiare tutte quelle cose che un giorno mi sarebbero potute servire, io che per non saper fare niente mi ritrovo a fare il baby-sitter e per non spararmi fingo di credere di poter diventare uno scrittore. Non ne so niente, Fra, cazzo, chiama un tecnico!” Riattacco.
Non è bello, non è carino e neppure simpatico prendere per il culo gli amici, giusto? Ma mentre cerco di calmarmi squilla ancora il tel ed è di nuovo lui, Cristo. Una valanga di parole infilate l’una dietro l’altra con tale perizia e precisione, che mi chiedo dove abbia trovato il tempo di prepararsi un discorso così raffinato per convincermi che sono all’altezza del compito, che sono il solito pessimista, che in realtà so farlo ma non voglio provarci per paura di fallire. Ma che il fallimento è un’eventualità davvero remota, che l’ha capito persino lui che si tratta del termostato, che il problema è elettronico, che suo cugino, che è un esperto di PC ha riparato il suo, a occhi chiusi. Ma perché non si rivolge a suo cugino, allora?. No! Perché s’è appena trasferito, suo cugino, se n’è andato in Spagna, lui, e a me tocca sorbirmi le iperboli infondate di Ciccio che insiste nel dire che sono il più grande esperto di computer che conosce, che cinquecento euro sono cinquecento euro, che se le giraffe per mangiare le foglie più alte hanno allungato il collo, io sono troppo al verde per fallire!
Non è che non voglia aiutarlo, è che se poi gliela sfascio finisce che glieli devo dare io, i cinquecento euro!
Forza Lu, Il mondo è pieno di studenti che s’improvvisano insegnanti e di portinai che s’improvvisano psicologi, a chi credi che importi se uno scrittore s’improvvisa tecnico dei condizionatori?”
Non scrittore, Fra, baby-sitter.”
Ma smettila, fino all’altra sera leggevi un tuo racconto in non so quale locale del centro davanti a…!”
ventitrè persone”
Hai detto che era strapieno…”
sì ma non ho detto che era un buco… E comunque niente che io abbia scritto mi ha mai fruttato un centesimo. I nonni di Ettore, sono loro, i miei datori di lavoro…”
Ettore chi?”
Il moccioso a cui pulisco il culo per dieci euro l’ora!”
Ancora con questo tizio? Ma se ti chiamano si e no una volta a settimana.”
Non è un tizio, è un fottuto poppante, e se mi chiamassero più spesso non sarei disperato, adesso!”
Come vuoi, ma su quell’antologia c’è pure il tuo nome e…”
Improvvisamente la sua voce si fa sottofondo. Riattacco e mi dedico allo sviluppo di un’idea che, come qualunque idea al suo debutto, sembra la migliore che abbia mai avuto.
L’antologia! Se trovo la mia copia… e tra le note biografiche ci sono le email…
Magari qualcuno dei miei giovani colleghi mi presenta a un signor libraio, non sarebbe male lavorare in libreria. Ma le email non ci sono.
Provo con internet e in un attimo mi trovo davanti il sito della antologia con una completissima mailing list. Invio la stessa email a tutti.
Carissimi, navigo nella cacca, se non mi aiutate mi staccano la luce e il gas. Mi trovate un lavoro qualunque?
Mi risponde solo lei. La scrittrice diabolica, quella… insomma, Lei.
Con una mail così spiritosa e accorata che da sola mi rimette in sella.
Guarda Luca,
posso offrirti qualche patata per la cena (con il riso, è la base della mia alimentazione)
e appena sento qualcosa te lo dico… anzi chiedo…
Quando dici “qualunque” dici “qualunque” o dici “qualunque cosa figa che faccia curriculum nella vita di un giovane scrittore alternativo squattrinato”?
(io per esempio ho fatto inventari nei supermercati, coltivato terre e chi più ne ha più ne metta, tutta roba da bestemmiare tutto il tempo!)
Non giocare con la mia preoccupazione che ho un che di chioccia e poi ti faccio il pacco degli aiuti con tanto di zucchero e caffè…
Solidalmente
nico
Le cose che un innamorato o aspirante tale potrebbe trovare notevoli in una lettera come questa sono tante.
Il tono confidenziale dell’incipit, la successiva offerta condita con una certa voglia di far sapere qualcosa di sé (è la base della mia alimentazione…), la sua rassicurazione rispetto all’impegno che intende profondere nel cercare qualcosa per me (…anzi chiedo…). La battuta sullo scrittore squattrinato, il suo avere a cuore di offrire di sé una idea lontana da quella della scrittrice sedicente che si vanta delle poche cose che ha fatto a favore di una immagine più matura e consapevole del valore del lavoro qualunque esso sia…
E poi il gioco di ruolo finale in cui lei stabilisce le parti e mi abbraccia idealmente…!”
Ma che cazzo stai dicendo, Lu…?”, fa Ciccio, “ti fai troppi film! Quella ha risposto alla tua mail mossa da compassione, non sa neanche chi sei e sta approfittando della situazione per fare un po’ di esercizi di stile! Mollala, prima che ti riduca uno straccio, da’ retta a me!”
Giuliana che mastica la gomma con il pugno sotto il mento e mi guarda da un quarto d’ora senza fiatare, si lascia scappare uno stanco “troppo tardi, non lo vedi come sta?”, Ciccio annuisce e prepara la siringa.
Oh, ma andate un po’ affanculo, tutti e due. È così che si aiuta un amico nella merda?”
Ciccio neppure mi guarda, si ficca la siringa nel braccio e spinge lo stantuffo fino in fondo. Secondo me lo fa apposta. Sa che mi fa impressione e ogni volta, prima di bucarsi il braccio, si assicura che lo veda. Fa un cenno a Giuliana e si alzano tutti e due.
Aspetta, oh… Ciccio! Non è che siccome è andata male a te, le storie d’amore devono andare tutte a puttane!”
Ma quale storia d’amore, Lu, quella nemmeno si ricorda come sei fatto!”
E se io le riscrivo e lei mi risponde?”
Si volta e si pulisce l’angolo dell’occhio con un dito. Vuol dire che mi sta prendendo sul serio.
Deve superare le quattro righe, però…”
Lo sapevo, Ciccio è un vero amico!
Sì, non ricordo nemmeno come si chiamasse, quella, ma l’ha massacrato per bene, questo è certo. Alla fine del “trattamento” mentre lei spariva nel nulla come “Kaiser SÖze” lui mangiava cioccolata e incollava gli incarti lilla sulla parete. Come se non bastasse, da allora, se non si buca il braccio una volta giorno, non sopravvive. Capisco che stia male eccetera, ma io allora…? Che mi dite della mia vita? A voi sembra tutto a posto ma io dico che è la maledetta quiete prima della tempesta… potrebbe persino essere l’occhio del ciclone.

Ben Apfel




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