martedì 5 ottobre 2010

GIOVANI LAUREATI IN FUGA PER SCELTA - Le notizie segnalate da CATERINA





 ... Ecco chi sono gli italiani all'estero


IL CENSIMENTO


 Due terzi sono maschi, hanno titoli di studio elevati. Solo il 10% ha più di 45 anni e oltre la metà non è iscritta all'Aire. Se ne sono andati soprattutto per motivi professionali e perché questo Paese non piace più a chi ci vive



Più di 17mila storie raccolte in quattro giorni non solo sono un ottimo risultato. Sono soprattutto un segnale: la conferma, l'ennesima per chi si occupa di questo argomento, del fatto che gli Italiani Residenti all'Estero sono una comunità enorme, attiva, impegnata, informata e bisognosa di sentirsi compresa o almeno ascoltata dal proprio Paese. Lo dicono in tanti: "grazie per aver lanciato quest'iniziativa". Lo diciamo anche noi: "grazie per averla accolta con tanto entusiasmo". Ci aspettavamo molto e le aspettative sono state addirittura superate. Nei prossimi giorni faremo un'analisi qualitativa delle storie, un riassunto delle motivazioni e delle esperienze di ognuna delle persone che si è voluta raccontare in questo spazio. Oggi proponiamo un'analisi quantitativa e statistica sui numeri, le percentuali. E quest'analisi non ha la velleità di essere scientificamente valida: non possiamo pretendere di parlare a nome di tutti gli italiani che risiedono all'estero in questo momento. Eppure, l'enorme quantità di dati raccolti in un periodo di tempo così ridotto ci dà la possibilità di fare alcune considerazioni e di parlare in nome di una percentuale comunque altissima di "espatriati".

; La prima considerazione ha a che fare con la motivazione che ci ha spinto a censire gli italiani all'estero: l'efficacia dell'unico strumento in mano a studiosi di fenomeni migratori e istituzioni, per fornire dati esaustivi sul fenomeno. L'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (Aire) è uno strumento fondamentale, l'unico del quale disponiamo per capire quanti siamo là fuori. Ebbene, più della metà delle persone che si sono raccontate nel nostro censimento ha ammesso di non essersi mai iscritta: il 54,13% del totale. Un dato inquietante, che purtroppo conferma l'iniziale preoccupazione sulle concrete possibilità di fornire in futuro possibilità di comunicazione e rappresentanza a chi vive fuori dal nostro Paese. Queste persone, solo per fare un esempio, non possono votare dall'estero per i propri rappresentanti in Parlamento. Più della metà degli italiani che non vivono più in Italia non hanno un contatto diretto con le nostre istituzioni, non sono nemmeno censiti. Le motivazioni possono essere diverse: disinteresse da parte di chi se ne va, ma anche un'inefficace informazione istituzionale.

La seconda considerazione ha a che fare con il profilo della popolazione di cui ci stiamo occupando. Due terzi delle persone che si sono raccontate su repubblica. it sono maschi, solo un terzo le donne. La maggior parte sono giovani: il 52% circa ha un'età compresa tra i 25 e i 34 anni. Il 30% ha tra i 35 e i 44 anni. Il 10% ha più di 45 anni e solo il 5% ha meno di 24 anni. Ci troviamo quindi di fronte a un fenomeno migratorio che, come ci si aspettava, riguarda soprattutto i giovani, maschi e altamente istruiti. Il 53%, infatti, ha una laurea in tasca, il 21% addirittura un dottorato. Solo il 3% del totale ha una licenza media o una laurea breve.

Più del 70% di queste persone vivono fuori dai confini nazionali da più di tre anni e si concentrano per la maggior parte in Europa. Da questo dato possiamo trarre una terza e importante considerazione sui Paesi al giorno d'oggi prediletti dai nostri migranti: la Gran Bretagna (16% del totale), la Francia e la Spagna (entrambe con un 10% circa dei censiti). Seguono le mete dell'emigrazione italica di sempre: gli Stati Uniti e la Germania con un 9% circa rispettivo. È interessante notare come questi dati siano in sostanziale contraddizione con quelli forniti dall'Aire, che registrano la maggior parte dei nostri "espatriati" proprio in Germania (circa 650.000 iscritti), in Argentina (614.000 iscritti, Paese che nella nostra statistica si colloca in un lontano ventisettesimo posto, con lo 0,34% dei censiti) e in Svizzera (534.000 iscritti all'Aire, ma con una percentuale di presenza nel nostro censimento piuttosto bassa, pari al 5%).

Nell'attesa di ricevere più adesioni e di fornire uno spaccato delle esperienze di vita più dettagliato dal punto di vista umano, è il caso di soffermarsi sulle motivazioni che spingono i giovani italiani a lasciare questo Paese. Non sorprende constatare che il 40% dice di farlo per motivi professionali. Ciò che sorprende è vedere che il 39%, quasi la stessa percentuale, espatria per "scelta". Si abbandona l'Italia non più unicamente per inseguire un'opportunità di lavoro assente in patria. I nuovi migranti non hanno la "valigia di cartone", ma scelgono di prendere un volo, magari lowcost e di sola andata, perché questo Paese sta loro stretto, non piace. È un dato interessante, che differenzia gli italiani dai migranti di altri Paesi in crisi, come ad esempio la Spagna. Recentemente il quotidiano El País ha lanciato un'iniziativa in parte simile a quella proposta da repubblica. it, in cui si raccontano le storie di migliaia di giovani costretti a lasciare la penisola iberica per cercare un lavoro che il loro Paese non offe più. In Italia, a quanto raccontano i nostri intervistati, non è solo la crisi a spingere all'espatrio. Le motivazioni affondano in un sistema "malato" che spinge alla fuga e scoraggia anche chi avrebbe voglia o intenzione di tornare.
La storia
Faccio ricerca. Le prospettive in Italia per fare ricerca accrescendo il proprio CV erano scarse: contratti miseri, nessun contributo per andare a conferenze internazionali, contratti al massimo annuali. Ora sono in Uk, dove ho trovato un ottimo contratto di 3 anni che mi permette di aumentare il mio bagaglio di esperienza in un modo impensabile per il mondo italiano. Non sono contento di aver lasciato l'Italia, non sono uno di quelli esterofili che appena hanno 18 anni si mettono lo zaino in spalla e partono. Stavo bene nella mia città, con i miei amici (sebbene molti siano stati fatti "fuggiti" all'estero prima di me). Sono stato costretto a lasciarla, soprattutto nell'ottica di creare una famiglia. Non volevo dover chiedere i soldi ai miei genitori per dar da mangiare ai miei figli. In Italia sopravvivevo, qui sto vivendo e accrescendo la mia esperienza. Sono comunque ancora un'ottimista. Spero ancora che la situazione cambi e che potrò tornare a fare quello che so fare e che mi piace in Italia. Spero solo tra non troppi anni.

La storia
Laurea negli USA, sono tornato a casa ingegnere informatico con specializzazione in veicoli autonomi per scoprire che non avrei potuto fare altro che l'installatore di porte automatiche, sono tornato negli States e adesso faccio il consulente per il laboratorio AMES della nasa. Inoltre mando anche gli occasionali 100 euro al mese a un mio amico con molta piu' testa di me che fa il neurobiologo e per arrotondare deve mettere a posto i carrelli all'esselunga il sabato/domenica... Fate voi!
    
La storia
Contrariamente a tanti altri, io avevo un lavoro a t. ind. in Italia ed ero anche pagato bene. Tuttavia non c'è storia rispetto alla Germania. Ho un dottorato e se avessi intrapreso la carriera accademica adesso sarei un cocopro. Sono però andato a Milano e mi sono fatto una buona carriera nella proprietà industriale. Adesso uso la mia esperienza in Germania. Penso che bisognerebbe studiarsi bene il tedesco subito, fare l'università in Germania e tornare in Italia solo per le ferie. Tuttavia vorrei dire che è anche colpa dei dottorandi, perché non si cercano esperienze professionali alternative. Siccome tutti sanno che i prof sono delle carogne, i dottorandi dovrebbero sfruttare i tre anni per completarsi (io mi sono smazzato anni di tedesco). Inoltre, visto lo stato delle aziende italiane, è anche un po' difficile fare ricerche avanzate e poi pensare di applicare le proprie conoscenze in Italia. Invece vedo un sacco di dottorandi che se ne stanno pacifici a fare i loro studi aspettando che un domani qualcosa si muova dal cielo... io mi sono trovato un lavoro a Milano alla fine del mio dottorato e una volta discussa la tesi in dipartimento non mi hanno più visto.

La storia
Mi sono laureata in ingegneria lo scorso anno dopo aver fatto una tesi all'estero (comprata dall'ente che mi ha ospitato e aiutato ad elaborarla). In Italia ho trovato un "lavoro" a 500€ al mese, ovviamente in nero. Avevo prospettive di miglioramento, mi avevano garantito un aumento ed un contratto, ma solo dopo un po'di tempo. Il mio fidanzato brasiliano (oggi marito) in Italia era considerato solo "straniero" e non importava il fatto che avesse tutti i documenti in regola e che fosse laureato. Per lui trovare un lavoro era diventata un'impresa impossibile. Analizzando la situazione ci siamo accorti che se volevamo realmente costruirci un futuro l'unica cosa da fare era partire. Col magone in gola e la consapevolezza di andare e arrivare molto lontano (geograficamente ma anche professionalmente), siamo partiti e adesso ci stiamo costruendo la nostra vita. Lavoriamo entrambi, abbiamo già comprato casa e riusciamo a concederci molto più di quello che avremmo potuto fare là. Non esiste un paese perfetto, questa non è una novità. Chi parte alla ricerca del paradiso difficilmente lo troverà, se non nella propria mente. Ma esistono posti molto migliori dell'Italia, in cui la "meritocrazia" esiste almeno parzialmente. Personalmente ritengo che non esista posto migliore al mondo dove vivere se non in quell'angolo di paradiso in cui sono nata e cresciuta, ma in cui non posso tornare fino a quando l'Italia e gli italiani non si sveglieranno da questo incubo per diventare un Paese migliore.
    
La storia
Mi sono laureato in Scienze Agrarie Tropicali e Subtropicali nel 2006. Poco dopo sono partito con un progetto di cooperazione che mi ha portato a vivere i successivi tre anni a cavallo tra Brasile e Italia, ma anche la cooperazione è in crisi e quella verso l'America Latina (ed il Brasile in particolare) ancora di più e quindi ho dovuto lasciare l'associazione che mi ha fatto lavorare per quasi quattro anni. Ho avuto fortuna e dopo pochi mesi passati in Italia, mi è apparsa la possibilità di lavorare per due anni in Mozambico, a Caia, nella Provincia di Sofala. Da maggio sono in Africa e ci rimarrò fino al 2012 inoltrato, seguendo il settore agricolo di un vasto progetto di cooperazione decentrata.

FONTE- Repubblica.it 


Annamaria... a dopo

1 commento:

  1. Bella e interessante ricerca sugli italiani all'estero. Essi non inseguono sogni ma concrete possibilità di impiego. E qualche volta sentono, in più, la necessità di superare gli attuali, ristretti confini. Chi va, pur con tutti i dispaceri dell'abbandono, non rimarrebbe inerte e non si accontenterebbe di quel poco che gli passerebbe il convento.

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