domenica 27 dicembre 2009

AUTOSTOP..racconto scritto da Paolo (seconda parte)



Amici , vi lascio alla lettura della seconda parte del racconto scritto per noi dal caro amico Paolo.
La prima parte del racconto è stato pubblicato il 15/12..buona lettura!!.


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjG1ZDjshqxHqRPehPi96mPuZ_qRG5x85COT0g2hYQwBtHmGGwggrxlONa-G5M2xo-JzHqgzyjfqEQAbAUlsRzHHFT8t0_dnj8weNIzCopfwM_de_IwRnAPaCEV7HkQ0zPVSyydMAANPsvl/s320/autostop.jpg



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(La sorpresa)



I negozi in via Maqueda somigliano a quelli in via Sarpi a Milano, vecchi negozi
gestiti da gente nuova che varcate le frontiere con la speranza nel cuore e il futuro tra
le mani, ha portato in queste vie un pezzo del loro mondo, del loro colore.
Passiamo sotto un arco che da accesso ad un cortile dove, non lo diresti mai, ci sono
delle piccole vetrine che sembrano uscite da un buco nel tempo.
Una di queste espone gocce di vetro, vecchi lampadari, vecchi orologi, vecchi specchi
incorniciati nel legno. O sono antichi? Non sai quanto in via Maqueda sia vecchio e
quanto sia antico vista l'apparente incuria di case e palazzi.
Mi chiedo se il treno del giubileo abbia saltato delle fermate. A Palermo, e in questa
via secolare, di sicuro la fermata è stata facoltativa. Nessuno ha pigiato il campanello
di stop.
Nel negozio entriamo spingendo una porta di vetro, incornicita in un metallo colorato
di verde. Il proprietario ci accoglie con una cordialità misurata. Ha una barbetta che
copre appena il mento e baffi canditdi. Porta piccoli occhiali tondi, scivolanti sulla
punta del naso. A Saro stringe la mano con calore, si conoscono da tanto tempo e,
quando vengo presentato, l'espressione inizialmente diffidente, con cui mi aveva
radiografato, sembra attenuarsi.
La mia attenzione è attratta da un orologio che sa di antico. Mi soffermo a guardarlo
nei particolari, ascoltandone il ticchettio. E' un orologio da tavolo, o meglio da comò,
la scatola che lo contiene è in un legno appena venato.
Nel frattempo Saro sta confabulando con il negoziante. Nel guardarli noto che a loro
volta mi guardano e direi quasi che stanno parlando di me. Sorrido ed ecco che mi
vengono vicino.
“Le interessa quest'orologio?”. Il cenno positivo della mia testa invoglia il
commerciante a fornirmi informazioni sull'oggetto a cui sono interessato.
E' un orologio inglese dell'inizio del secolo scorso, mi fa sentire il suono che produce
allo scoccar delle ore, un suono profondo, armonico, come se a produrlo non fosse
una sola lamina ma tre, come in un accordo di pianoforte.
M'informo sul prezzo. I 130 € che chiede non sono molti e a mio parere l'orologio,
uno modello Westmnister, credo li valga tutti. Saro tace, il suo silenzio invoglia il
negoziante ad abbassare il prezzo, 120 € che pago volentieri.
Nel confezionarlo in una scatola di cartone, aggiungendo pezzi di carta di giornale
appallottolati per riempir gli spazi vuoti, mi raccomanda di dare sempre la carica alle
due molle del meccanismo, almeno ogni due giorni e comunque di stare attento a che
non si fermi per più di otto ore. Comincio ad aver dubbi sul funzionamento e quasi mi
leggesse nel pensiero mi accenna a cose strane che potrebbero accadere se
l'eventualità dovesse verificarsi.
Quasi sorrido al pensiero di quello che mi dice.
Se l'orologio si ferma ore, si ferma anche il tempo e il giorno dopo ieri non sarà l'oggi
che è arrivato. Sarà ancora il giorno prima o due o tre, in rapporto al tempo di blocco
e partire dall'ultima volta che è stato rimesso in funzione.
L'idea mi piace. L'espressione probabilmente traspare dal mio viso. Saro fa “non
dimenticare di dare la corda, non è un caso che stai portando via quell'orologio”.


Prendo il mio pacco, stringo la mano al venditore e con Saro usciamo in strada.
Odori di roba da mangiare sollecitano il palato attraverso il naso. Vista l'ora, quasi
mezzogiorno, è naturale. D'intesa entriamo in un ristorantino affollato da giovani
colorati nei vestiti e nei volti.
Alla giovane cameriera che prima ci aveva indicato il tavolo a cui accomodarci,
ordiniamo due pizze, una Norma per me e una Margherita per Saro, accompagnate da
due birre, che i dietologi sconsigliano, ma il palato non disdegna.
Al secondo boccone il telefonino trilla. “Pronto si, dimmi... come cancellato? Han
cancellato tutti i voli della Myair? Fammi sapere... Ho capito hai già prenotato un
volo per dopodomani. Ma non potrò venirti a prendere, ho un appuntamento dal
magnifico che ho fissato un mese fa. D'accordo ti organizzi da solo. Ciao.”
Spiego a Saro l'accaduto, mi ricorda i suoi lunghi viaggi in treno nel breve periodo
che era stato in continente.
Allora si scendeva a Villa S.Giovanni, si traghettava portandosi appresso le valigie a
braccia, tra la pensilina del treno e l'imbarcadero del traghetto, o aiutati da un
facchino. Tragitto invertito per passare dal traghetto al treno.
Oggi i traghetti caricano treni interi in meno di mezz'ora. Facchini e lustrascarpe sono
stati cancellati.
Ricordo quando si bigiava a scuola e si saliva sul ferry boat senza pagare il biglietto.
In che modo? Si saliva su un treno diretto al “continente” nella stazione di Messina,
poi una volta che il treno era sul traghetto, dove nessuno ha mai controllato i
documenti di viaggio dei passeggeri scesi dai vagoni, si scendeva per passeggiare sul
ponte del traghetto. (L'altro, ponte, di cui da anni si vendono le cartoline, dopo mezzo
secolo resta di carta e, come i draghi cinesi che ingoiano i passanti al loro passare,
ingurgita soldi alimentando sogni).
In primavera, a bordo dell'imbarcazione, ci si gustava il primo calore del sole e il
dolce sapore del mare, nella traversata. Dopo aver trascorso a girovagare la mattinata
a Villa S.Giovanni, si saliva su un treno diretto in Sicilia e il gioco era fatto.
Aera un modo per trascorrere una piacevole mattinata a basso costo, al riparo dagli
occhi di conoscenti che avrebbero potuto raccontare la cosa ai genitori ignari.




 (Il ritorno)
Ripenso a quanto detto dal commerciante e a quanto aggiunto da Saro dopo a
proposito dell'orologio. Ne vorrei parlare mentre siamo ancora a tavola, ma lui
svicola il discorso, si guarda in giro per il locale come a farmi capire che i tavolini
sono troppo vicini gli uni agli altri.
Allora dico “Che facciamo? Torniamo a S.Maso?”
“Facciamo due passi, aiutano a digerire”, mi risponde.
Pagato il conto alla cameriera a cui ho lasciato il resto come mancia, che lei ricambia
con un sorriso scalda cuore, usciamo in strada. Io con il mio pacco infilato in una
borsa di plastica ricuperata al ristorante, Saro con le mani dietro la schiena a
testimoniare la soddisfazione per il pranzo, ma vuote dei documenti che sperava gli
risolvessero un problema.
Non abbiamo bevuto il caffè di rito e, vista la calura, entriamo in un bar. Ci sediamo
ad un tavolino isolato.
Prima di ordinare stabilisce che a pagare stavolta tocca a lui, non vive a scrocco.
Appoggiandogli una mano sulla spalla, lo rassicuro che non l'ho nemmeno pensato,
anzi gli son grato per le cose che mi racconta.
“Dunque” dico “quest'orologio ferma il tempo? Non si ferma lui, ovvero non smette
di misurare?
Sorridendo mi fa “Un metro cosa misura? Una lunghezza. Quando metti via il metro
la lunghezza che fa si allunga? Si accorcia?”
“Ma dai Saro, una lunghezza non è come il tempo, una lunghezza è stabile e
altrettanto il metro.”
“Ecco è questo il punto, l'orologio misura in movimento, deve muoversi al ritmo del
tempo, se l'orologio si ferma, il tempo finisce per diventare come un disco in cui la
puntina legge sempre lo stesso solco. Alla ripartenza riparte dal punto in cui è stato
attivato l'ultima volta il meccanismo.”
Incredibile quest'idea nella bocca di un pastore contadino.
“Allora tutti gli orologi del mondo cosa misurano se il tempo è fermo?”
Ride, “nessuno degli orologi del mondo è quest'orologio, questo funziona così. Vuoi
far la prova?”
Pagato il barista, e ritrovata l'auto senza l'aiuto della mappa, ci si avvia verso S,Maso,
Dopo una decina di chilometri in autostrada dico “in questo momento l'orologio è
fermo, il biglietto che ho ritirato al casello indica le 15,07, se all'uscita saranno
ancora le 15,07 dovrò pagare una multa per eccesso di velocità?”
“Non è così che funziona. E poi non è ancora tuo, la cosa vale solo dopo la tua
personale prima ricarica o la tua personale messa in funzione.”
Come entro in casa mia moglie non vedendo il nipote che doveva tornare con me,
chiede ragguagli anche se qualcosa già sa. Le spiego l'accaduto, sa già tutto per aver
parlato con la sorella e con il nipote. Mi chiedo a cosa sia servita la mia versione.
Ha già provveduto a dare indicazioni per cercare di recuperare i soldi del biglietto.
Ormai siamo clienti fissi all'Adiconsum. Da un po di tempo ci sembra di vivere tra
soprusi discriminatori e piccole truffe legalizzate in nome del libero mercato.
Quando lo sguardo va al pacchetto poggiato sul tavolo in cucina chiede “cos'hai
comprato? Scommetto un orologio”.
“Che? E tu come fai a saperlo?”
“Mi sembri Houke, il Capitano Uncino di Peter Pan, quando ti piace un orologio lo
porti a casa. Che vuoi fermare il tempo per paura d'invecchiare? Attento ai
coccodrilli”
“Bhè in questa casa non c'è ne sono, ne coccodrilli ne orologi”.
“Ci sono, ci sono. Coccodrilli no, ma orologi si. Uno è di la sul televisore, uno dentro
la vetrina, uno in cucina. Questo dove lo metti?”
“Aspetta a vederlo, poi mi dirai tu.”
Così dicendo inizio a spacchettarlo. Lo metto diritto sul tavolo. Apro il portello
posteriore e visto che le molle sono state caricate da poco, mi limito a toccare il
piccolo pendolino interno, lasciandolo oscillare.
Poi apro il l'antina in vetro e prima di regolare l'ora mi fermo sulla tacca delle 17,00 e
il suono del big ben si diffonde nella stanza.
Concordando con me sulla pienezza del suono, appena sente quanto l'ho pagato
aggiunge “e pretendi che funzioni perfettamente con quel prezzo lì? Povero Pà
quanto sei credulone, basta che una cosa costi poco e te la porti a casa”.
“Poco 240.000 lire?”
“Ohè la lira ormai esiste solo per te e quello lì al governo quando annuncia degli
stanziamenti di spesa. Euro, ragazzo, euro. Forse si e no 120.000 lire, sei proprio un
affarista”.
Ecco, devo ricordarmi di dar sempre la corda per evitare il ripetersi di certi momenti.




PAOLO






















































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