venerdì 18 dicembre 2015

LA FAVOLA DI NATALE- GIOVANNINO GUARESCHI




Spero che trovi spazio e possa  ancora esserci  commozione per questa fiaba di Guareschi, Poeta al 100%  ma anche scrittore, giornalista, umorista, caricaturista, in questa società apatica, invidiosa e prepotente in cui ... pensate...  molte volte si fa finta di organizzare la "solidarietà"! Beh... mi auguro di si. 



Guareschi scrisse questo racconto nel dicembre 1944, nel campo di concentramento dove era rinchiuso.
Narra  di una poesia imparata da un bambino, una poesia-uccellino che la notte di Natale si mette in viaggio per ritrovare in sogno il papà, prigioniero di guerra.




“C’era una volta un prigioniero. No: c’era una volta un bambino. Meglio ancora: c’era una volta una Poesia. Anzi, facciamo così: C’era una volta un bambino che aveva il papà prigioniero.
 E la Poesia? – direte voi – cosa c’entra?





La Poesia c’entra perché il bambino l’aveva imparata a memoria per recitarla al suo papà, la sera di Natale. Ma, come abbiamo spiegato, il papà del bambino era prigioniero in un paese lontano lontano. 
Un paese curioso, dove l’estate durava soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava. Un paese straordinario, dove tutto si tirava fuori dal carbone: lo zucchero, il burro, la benzina, la gomma. 
Un paese senza l’uguale, dove tutto quello che è necessario all’ esistenza era calcolato con così mirabile esattezza in milligrammi, calorie, erg e ampere, che bastava sbagliare un’addizione , durante il pasto ,per rimanerci morti stecchiti di fame”.
 


Alla sera della Vigilia il bambino continuava a fissare una sedia vuota: quando i papà non ci sono il Natale non è più né felice né spensierato. Allora Albertino, così si chiamava, recitò la sua poesia:
 “Din don dan la campanella
 questa notte suonerà 
e una grande, argentea stella su nel ciel s’accenderà”. Alla fine la finestra si spalancò e la Poesia, trasformata in un uccellino, volò via.
 “Dove vuoi che ti porti?” domandò il Vento.
”Portami nel Paese dove è adesso il papà del mio bambino”, disse la Poesia.
 “Stai fresca!” rispose il Vento, “Perché prendano anche me e mi mandino al lavoro obbligatorio a far girare le pale dei loro mulini a vento! Niente da fare: scendi! “
Ma la Poesia tanto pregò che il Vento acconsentì a portarla almeno alla frontiera. “Faceva tanto freddo che la povera poesiola aveva tutte le rime gelate e non riusciva neppure a spiccare il volo. 
”Dove vai?” le chiese un vecchio il quale, con uno stoppino legato in cima a una pertica, cercava invano d’accendere qualche stellina nel cielo nero.
 “Al campo di concentramento”, rispose la Poesia senza fermarsi.
 “Ohimè”, sospirò il vecchio, “internano anche la Poesia, adesso?”. Alla fine il coraggio e l’amore di Albertino gli faranno riabbracciare il suo adorato papà.




Annamaria


2 commenti:

  1. condiviso sul mio blog,vieni a consultarlo,gradirei averi come lettore fisso ed amica.Elmar grazie

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