sabato 4 dicembre 2010

MONDO DIGITALE



Il mondo digitale stimola i neuroni
ma può spegnere le emozioni

Gli esperti ci informano che ...
Internet sta cambiando la nostra vita e anche il nostro cervello. Con qualche differenza fra i più giovani (i nativi digitali) e i più vecchi (gli immigranti digitali). Che il cervello sia un organo plasmabile si sa, ma ora i neuroscienziati stanno cercando di capire come le nuove tecnologie possono modificare i circuiti neuronali. I giovani, nati in un mondo di tastiere e cellulari, trascorrono alcune ore al giorno chattando o inviando Sms e questa esposizione reindirizza i circuiti cerebrali, stimolando il multitasking (cioè la capacità di svolgere più compiti simultaneamente), il ragionamento complesso e la capacità di prendere decisioni. Con un aspetto negativo, però: una riduzione della capacità di provare emozioni. Anche il cervello degli immigranti digitali, che sono vissuti fra agendine tascabili e corrispondenza da inviare per posta, può cambiare, quando si confronta, per esempio, con Internet. E lo dimostra una ricerca condotta da ricercatori dell’Ucla, l’università della California a Los Angeles, guidati da Gary Small, un esperto del settore (sul tema ha pubblicato un libro "iBrain: surviving the technological alteration of the modern mind"). Il ricercatore ha valutato, con la risonanza magnetica, il cervello di persone, con età compresa fra 55 e 76 anni, alcuni dei quali si dedicavano alla navigazione in Internet e altri no. I risultati hanno dimostrato che le funzioni cerebrali dei cibernauti, dediti quotidianamente a ricerche in rete, sono migliori rispetto a quelle degli altri. In particolare, risultano attivate le aree del cervello che hanno a che fare con i processi decisionali.

Ovviamente non dobbiamo diventarne dipendenti. Come nel caso di uno studente universitario milanese, che ha dovuto ricorrere a cure pschiatriche  per liberarsi dalla "dipendenza della rete"







dal -Corriere.it-

(Corbis)

 Chissà che cosa avranno pensato medici e infermieri del pronto soccorso milanese quando, dall'autoambulanza, è scesa una persona con un aspetto normalissimo, giovane per di più, senza ferite o traumi, senza flebo "attaccate" o bende e tamponi messi da qualche parte a frenare emorragie, senza segni esteriori di malattia, senza niente di niente, tranne una particolarità: un computer sotto il braccio come se fosse un prolungamento del suo corpo. Un computer portatile che, per mesi e mesi, era stato il suo unico e inseparabile compagno e aveva fatto di lui un «moderno eremita». Una sorta di "hikikomori", secondo il termine coniato dal Tamaki Saito, direttore del Sofukai Sasaki Hospital di Funabashi, una città dell'area di Tokio: in giapponese significa "ritiro sociale" e nel linguaggio della psichiatria indica i giovani che si isolano volontariamente dal mondo reale per i più vari motivi, principalmente la fobia sociale e scolastica (almeno in Giappone), e finiscono per vivere in un universo artificiale fatto di fumetti, di videogames e di navigazione virtuale, anche se il vero hikikomori orientale non sviluppa dipendenza nei confronti di Internet. Le stime parlano di almeno due milioni di giovani giapponesi hikikomori, ma oggi il fenomeno sta prendendo piede in altri Paesi, Italia compresa e di casi ormai se ne contano parecchi: l'eremita milanese è uno di questi.

PERSONALITÀ DIPENDENTE - «Un ventiseienne, studente universitario, quasi alla fine degli studi, ma con grandi difficoltà a sostenere gli esami, nonostante l’aiuto di insegnanti privati — racconta Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano. — Un ragazzo con una personalità dipendente, introverso, timido, anche se dotato di un certo senso dell'umorismo, con pochi rapporti interpersonali e tendente all'isolamento. Senza una ragazza». Può bastare questo per scivolare, piano piano, verso quella che gli americani definiscono "Internet addiction disorder", sindrome da dipendenza da Internet e che stanno meditando di inserire nel Dsm V (la versione del Manuale diagnostico dei disturbi mentali attualmente in revisione). È una forma di dipendenza come quella da cocaina, anche se qui manca la "sostanza". Chi soffre di dipendenza da Internet sente il bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete, riduce l'interesse per altre attività che non siano la navigazione virtuale, non riesce a interrompere o tenere sotto controllo l'uso del computer. «Il paziente milanese — continua lo psichiatra — si è lasciato sempre più catturare dalla rete fino ad abbandonare le lezioni all'università, a invertire il ritmo sonno-veglia e a uscire dalla sua stanza solo di notte per aprire il frigorifero e mangiare quello che gli capita sotto mano. Non trascura, però, il suo aspetto fisico, non è trasandato nonostante i suoi contatti con la realtà si limitino a qualche telefonata agli amici». I genitori del nostro moderno eremita cominciano a preoccuparsi: appartengono a un ceto sociale medio-alto (in genere gli hikikomori "nascono" proprio in questi ambienti),e hanno la possibilità di chiamare a casa uno specialista. Che tenta di penetrare nel mondo del ragazzo e di riportarlo alla realtà, senza però riuscirci. «Il ragazzo trascorre più di un anno in questa condizione di isolamento — aggiunge Mencacci —. Passa il suo tempo navigando in Internet alla scoperta di mondi virtuali. Con un cervello ben vigile, certo, con la possibilità di interazioni sensoriali con gli altri, ma solo attraverso vista e udito. Manca completamente, in questi suoi rapporti, l’aspetto emotivo-istintivo». Quella del ragazzo diventa una vita-non vita, senza limiti nè di tempo nè di spazio. Qualcuno, allora, gli parla della possibilità di un ricovero e di una cura "disintossicante", così un giorno sente bussare alla sua porta e, benché sorpreso, di fronte all’invito di un medico, accetta di salire su un'ambulanza. A un patto: portare con sé il computer che tiene aperto anche nella corsa verso l’ospedale. Oggi, con l’aiuto dei farmaci e di una psicoterapia, è riuscito a liberarsi (in parte e con grande fatica) dalla sua schiavitù.


Annamaria... a dopo

1 commento:

  1. E' puro terrorismo, questo, ma può succedere "by exception" come direbbero gli inglesi.

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