martedì 4 novembre 2014

ECONOMIA DELLA MODA E SFRUTTAMENTO



E' notizia di oggi



Moncler crolla in Borsa. Le azioni della società dei piumini hanno chiuso la seduta in calo del 4,88% dopo che sul web si è diffusa una campagna di protesta contro lo spiumaggio violento delle oche denunciato dal programma di Rai3. La replica: "I nostri fornitori garantiscono il rispetto degli animali"




C'era da aspettarselo
  



Moncler crolla in Borsa, a seguito dell’inchiesta di Report andata in onda domenica 2 novembre. Quella, firmata da Sabrina Giannini, sullo spiumaggio delle oche e sui maltrattamenti che questi animali subiscono durante il processo per la creazione dei piumini. Una trafila violenta, quella mostrata dal programma di Milena Gabanelli che ha puntato il dito anche contro Moncler che non dà lavoro in Italia, non usa prodotti di qualità e vende piumini che valgono un decimo di quello che costano. Unanime il verdetto del web: lunedì è nato sui social network l’hashtag #boicottaMoncler.




Oltre che delle oche qui si parla dell'abuso dei lavoratori, lasciati a casa (in italia) per sostituirli con altri pagati una miseria, in uno stato finto che fa del malaffare la sua ragion d'essere (transnistria), tutto a beneficio di un "imprenditore" che presenta il suo prodotto come made in Italy per far fico e vendere. 

Non male  la nota emanata dalla Moncler, secondo la quale “tutte le piume utilizzate in azienda provengono da fornitori altamente qualificati che aderiscono ai principi dell’ente europeo Edfa (European Down and Feather Association) e che sono obbligati contrattualmente a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali”.
Chiedono educatamente alle oche se per favore possono, ogni tanto, tirarsi via qualche piuma che tanto ne hanno tante...?

Penso che chi compra Moncler non si informa. Persone di quel tipo non fanno caso a maltrattamenti, delocalizzazioni, sfruttamento di manodopera ecc.
Ma la trasmissione dovrebbe  concentrarsi non sul singolo brand ma  su tutto il settore di mercato dell'abbigliamento di alta gamma.


In un paese civile, dopo l'inchiesta di Report, Moncler e Prada ma anche Benetton e altri ,non venderebbero più un capo finché non la smettono con lo sfruttamento. Ma dipende anche da noi: boiacottarli si puo', basta non comprare.




Altre inchieste da ABITI PULITI ORG.
La Campagna Abiti Puliti  opera per il miglioramento delle condizioni di lavoro e il rafforzamento dei lavoratori nell’industria tessile globale. Pone al centro della sua attività la sensibilizzazione e la mobilitazione dei consumatori, la pressione verso le imprese e i governi. Offre solidarietà e sostegno diretto ai lavoratori che lottano per i loro diritti e chiedono migliori condizioni di vita e di lavoro. Si basa su una rete di più di 250 partner nei paesi di produzione che identificano problemi e obiettivi e aiutano a sviluppare strategie e campagne efficaci  

http://www.abitipuliti.org/blog/2014/10/25/rana-plaza-18-mesi-dopo/

SETEM, l’associazione referente per Campagna Abiti Puliti in Spagna, ha presentato la ricerca “La moda española en Tánger: trabajo y superviviencia de las obreras de la confección”, che analizza le condizioni precarie di vita e di lavoro che subiscono le lavoratrici nei laboratori tessili di Tangeri fornitori delle grandi marche internazionali. La ricerca è stata realizzata con la collaborazione della Asociación Attawassol sulla base dell’esperienza di 118 operaie.


Il rapporto rileva le dure condizioni di lavoro delle operaie marocchine del tessile: eccesso di ore lavorative, bassi salari, abusi verbali e fisici, arbitrarietà nelle assunzioni e nei licenziamenti, misure disciplinari sproporzionate e ostacoli all’azione sindacale. Gli straordinari sono obbligatori e generalmente non retribuiti. La giornata lavorativa supera le 12 ore, sei giorni a settimana per salari che non vanno oltre i 200 euro mensili e che, a volte, stanno anche al di sotto dei 100 euro mensili. Le operaie più giovani, spesso minori di 16 anni, sono considerate apprendiste e vengono fatte lavorare senza contratto le stesse ore delle altre, con una paga però di 0,36 centesimi di euro all’ora, tre volte meno delle colleghe.
In Marocco c’è una forte presenza di laboratori fornitori di Inditex (Zara, Bershka, Pull&Bear, Stradivarius, Oysho, Massimo Dutti). La maggior parte delle operaie intervistate che lavorano assemblando i vestiti di queste marche denuncia il mancato rispetto del limite orario (arrivando a lavorare 65 ore settimanali) e, sebbene in generale lo stipendio arrivi alla soglia del Salario Mínimo Interprofesional Garantizado (SMIG) del Marocco, appena 178,72 euro mensili, condizioni di vita di estrema povertà.
Molti dei laboratori fornitori di Inditex lavorano anche per Mango. 



Anche le operaie che lavorano in queste fabbriche rilevano che non si rispettano i limiti orari e che sono costrette a lavorare fino a 65 ore settimanali. Nel Rapporto Annuale 2010 relativo a Mango già si erano evidenziate situazioni non accettabili in alcuni fornitori di Tangeri ed era stato fissato un termine di  sei mesi per correggere questi problemi.
Inoltre sono state raccolte testimonianze di lavoratrici di laboratori fornitori di Mayoral, El Corte Ingles e Dolce&Gabbana con condizioni lavorative simili.

La dislocazione della produzione in paesi come il Marocco ha permesso di ampliare i profitti delle grandi marche del tessile. Secondo l’autore del rapporto, Albert Sales, “queste imprese hanno nelle proprie mani la capacità tanto di generare situazioni di sfruttamento, quanto di evitarle.” Molte hanno assunto codici di condotta e impegni, ma nonostante le misure di responsabilità sociale d’impresa, molte lavoratrici marocchine  continuano a vivere in condizioni di povertà a volte accompagnate da giornate lavorative estremamente lunghe.
I codici di condotta adottati dalle imprese della moda comprendono l’obbligato di effettuare controlli nei laboratori. Ma le metodologie con cui questi controlli vengono effettuati sono molto diverse tra loro e spesso non permettono di identificare i problemi reali. Questo accade perché quando ci sono i controlli, le fabbriche realizzano cambiamenti temporanei come aumentare la salubrità dello spazio di lavoro, rispettare gli orari di lavoro, far uscire i lavoratori senza contratto e nascondere le lavoratrici minorenni.
Una lavoratrice di una fabbrica fornitrice di una grande azienda tessile ha raccontato che “quando arrivavano gli ispettori senza preavviso, i supervisori nascondevano le lavoratrici minorenni sul tetto o in scatole di vestiti vuote”.

Che possono fare le grandi marche?
Se desiderano veramente essere responsabili riguardo all’impatto sociale delle loro attività economiche devono adottare pratiche di massima trasparenza. Una delle più importanti è pubblicare la lista dei fornitori e condividerla con le ONG, i sindacati e i collettivi locali dei lavoratori, per poter controbattere alle denunce sorte da questa e altre inchieste e iniziare processi di miglioramento. In questo senso, la Campagna Abiti Puliti spagnola ricorda che Mango già condivide la sua lista di fornitori con alcuni attori sociali; ciò permetterà di analizzare insieme i risultati di questa inchiesta e intraprendere azioni per risolvere questi problemi insieme ai rappresentanti dei lavoratori.
Per quanto riguarda le lacune dei processi di controllo, Campagna Abiti Puliti invita i marchi a inserirsi in iniziative multistakeholder come la Far Wear Foundation che includono nei processi di miglioramento i punti di vista dei lavoratori e delle loro organizzazioni.

La Campagna Abiti Puliti ricorda che questa inchiesta riguarda il Marocco, ma che le situazioni che vengono descritte possono essere riscontrate in molti altri paesi.

Annamaria... a dopo





Nessun commento:

Posta un commento