lunedì 21 luglio 2014

RITA ATRIA, LA "PICCIRIDDA" CHE SFIDO' LA MAFIA



22 anni fa' il suicidio di RITA ATRIA


Suicida a soli 18 anni. La voglio ricordare perché la sua è una storia che non si narra, non si racconta ogni giorno, una storia di dolore ma di grande coraggio, di determinazione.

Quando Rita Atria morì, non aveva nemmeno compiuto 18 anni. Giovanissima, ma soltanto all’anagrafe. Perché in realtà Rita aveva vissuto molte vite. Nella sua breve esistenza aveva sperimentato il dolore e la tenacia, lo sbigottimento e la consapevolezza, riuscendo, in un’impresa comune a pochi, a trasformare la rabbia ed il desiderio di vendetta in anelito alla libertà.

Rita Atria, la giustizia, l’aveva scoperta da sola, contro tutto e tutti. Persino contro quella madre che dopo averla ripudiata da viva, per aver “tradito l’onore” della famiglia, distrusse a martellate la tomba che aveva accolto il corpo di una giovane donna che non ce l’aveva fatta a sopravvivere alla morte dell’unica persona che infondendole coraggio le aveva donato la speranza di essere libera.

Il 26 luglio 1992, una settimana dopo la strage di Via D’Amelio, Rita Atria si tolse la vita, lanciandosi dal settimo piano del palazzo al civico 23 di via Amelia a Roma, dove viveva sotto tutela in quanto testimone di giustizia. Sul tavolo lasciò un biglietto: “Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta”.

Non c’era più nessuno a difenderla. Non c’era più Paolo Borsellino, il Procuratore Capo di Marsala al quale Rita aveva raccontato i segreti della famiglia mafiosa di Partanna, la sua. Rita aveva solo 11 anni quando il padre venne ucciso. Ufficialmente pastore di greggi, Don Vito lo conoscevano tutti. Era uno che “risolveva i problemi”, che aveva le “amicizie giuste”, rispettato e temuto in paese. Erano gli anni dell’ascesa dei corleonesi e le vecchie famiglie mafiose erano in pericolo. Davanti a quel corpo trivellato, Rita ed il fratello Nicola, giovane promessa di Cosa Nostra, giurarono vendetta. Fu quest’ultimo a svelare a Rita le gerarchie mafiose del Trapanese, i mandanti dell’omicidio del padre, i loschi interessi economici che avevano scatenato una delle più sanguinose guerre di mafia.

Il 24 giugno del 1991, venne ucciso anche Nicola. La sua giovane moglie, Piera Aiello, iniziò a collaborare con la giustizia. Calogero, il fidanzato di Rita, anche lui proiettato verso una carriera criminale, la lasciò, perché cognata di una “traditrice”. Rita venne risucchiata in un vortice di solitudine e terrore. Una strada senza apparente via di uscita, ma che le permise di svelare, lucidamente, il vero volto della mafia.

Da qui la decisione di collaborare con la giustizia, di contribuire, con i suoi racconti, a liberarsi da quell’odore di morte e sopraffazione. Era stato il sorriso di Borsellino a convincerla che ce l’avrebbe fatta, che lei era diversa, che la mafia può essere sconfitta. “A picciridda”, così il magistrato chiamava Rita, stupito dalla risolutezza di quella ragazza così minuta. Urlava il cuore di Rita, in cerca di verità, di giustizia, di una società dove le parole d’ordine non fossero violenza e terrore.

“Prima di combattere la mafia – aveva scritto – devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi”.

Aveva provato Rita, con tutte le sue forze, a cambiare le cose. Qualche giorno prima di morire aveva sostenuto gli esami di Stato per il conseguimento del diploma. Aveva svolto un tema su Giovanni Falcone.

“Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, – scriveva – forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia,pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.
Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un’immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. ”

Una forza subdola la mafia, capace di annidarsi ovunque e che sembrò, ma solo apparentemente, sconfiggere anche Rita. 

“Rita Atria è una strada da percorrere”,  continua ad essere, a 21 anni dalla morte, richiamo alla legalità e all’impegno civile.
 Blog Sicilia




Annamaria... a dopo

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