martedì 15 dicembre 2009

AUTOSTOP.. racconto scritto dal nostro amico Paolo- Prima parte



Paolo ci ha mandato un suo racconto bellissimo !  Ho pensato di dividerlo in 4 parti perchè ,secondo me, va centellinato...  ..Buona lettura.

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjG1ZDjshqxHqRPehPi96mPuZ_qRG5x85COT0g2hYQwBtHmGGwggrxlONa-G5M2xo-JzHqgzyjfqEQAbAUlsRzHHFT8t0_dnj8weNIzCopfwM_de_IwRnAPaCEV7HkQ0zPVSyydMAANPsvl/s320/autostop.jpg
(l'incontro)
Non capita tutti i giorni ma a volte accade.
Sei appena salito in macchina, hai fatto rinfrescare l'abitacolo dal climatizzatore per
non soffrire il gran caldo del primo pomeriggio, e all'incrocio con la SS113, mentre
sei fermo per dar la precedenza e poi svoltare a destra, un volto abbronzato,
sorridente e segnato dagli anni, con modi gentili ti chiede di abbassare il finestrino.
Guardi il termometro della temperatura esterna che indica 36° e nel contempo pigi
l'interruttore che comanda l'abbassamento del vetro.
“Che vai a S.Tardino? Me lo dai un passaggio?”.
Rispondo “si” e apro la portiera.
Il tragitto è breve, un otto chilometri. Devo passare all'ufficio postale, l'unico in zona
aperto al pomeriggio.
Dopo i normali convenevoli e le considerazioni sul caldo che opprime, chiedo alla
parte diffidente di me se ho fatto bene a dare un passaggio allo sconosciuto.
E se fosse un uomo affetto d'alzhaimer in fuga o in cerca di qualcuno o qualcosa
presente solo nella sua testa?
Quasi svolto a destra per tornare indietro con la scusa di aver dimenticato qualcosa.
Penso anche che, se vado piano posso sempre invertire il senso di marcia e riportarlo
a casa dopo il mio impegno.
Dopo un breve silenzio chiedo “ma come si fida a chiedere un passaggio al primo che
passa?” “e che vuoi che mi facciano alla mia età? Mica vado in giro coi milioni. E tu
come ti fidi a dare un passaggio al primo che incontri? Non posso farla a piedi, lo
faccio almeno due tre volte la settimana, l'autobus è solo al mattino presto, e per
l'andata un passaggio lo trovo sempre, ho ottantadue anni, sono nato e cresciuto a
S.Maso e tutti mi conoscono. Tu di dove sei?”
Facile dire tutti quando vivi in un paesino di poche migliaia di persone, che sono
cresciute insieme a te e alle case del paese, sotto lo sguardo vicendevolmente attento
dei vicini, che spesso son parenti e comunque amici, se non fosse per qualche raro
battibecco, non come per i coinquilini di un condominio metropolitano che, si
avvicendano in una casualità che li rende sconosciuti agli altri e un po', anche a se
stessi.
Intanto rispondo che anch'io sono di S.Maso, abito in via Verdi, vicino al fornaio e lui
pronto “e parli con quell'accento? Non sei di qui, sei qui in vacanza. Non si può
essere di un posto se non conosci la gente, se non parli con loro”.
Capisco che vuol sapere dove vivo, dove lavoro. Gli dico il posto che non conosce
neanche per sentito dire, ma quando specifico in provincia di Bergamo, accenna ad
anni lontani passati in continente, aggiungendo che anche lui abita vicino al fornaio,
dalla parte opposta.
Tanto mi basta per fugare ogni dubbio che non si tratti di un caso di alzhaimer.
Scopro che è un mio vicino di casa, anzi dirimpettaio. Mannaggia alle auto che
chiudendoci in un guscio non ci fanno conoscere la gente. In un posto ci passi le
vacanze per quattro o cinque anni di fila e alla fine conosci soltanto le strade e non
chi ci vive.Ci si interroga vicendevolmente. Mi chiede che lavoro faccio e come mai sono in
quel paesino. Rispondo a tutte le domande volentieri. Lui parla di se e dei figli.
“E al ritorno che fate?” “Al ritorno se non trovo nessuno dei compaesani, prendo la
corriera. La fermata è lì vicino alla scuola – dice indicando con un gesto del capo -,
alle 19.30, minuto più minuto meno, prendo e torno a casa”.
Guardo le mani di Saro, sono grandi, tipiche di chi sin da piccolo le ha usate tanto per
conquistare quel che necessita alla vita. Nella stretta confidenzialmente informale la
mia è spartita nell'involto di palmo e dita.
Lavorava i campi mi dice, e come immaginavo, da piccolo non ha frequentato scuole
oltre la terza elementare, per imparare a leggere e tener di conto. Un lusso per quei
tempi magri. Lui aveva da aiutare la mamma, c'eran da far pascolare le pecore e,
appena le ossa si son fatte solide, vanga, pala e piccone a massaggiar la terra.
Il padre dall'Albania non aveva fatto ritorno. Deportato a Mathaussen, dice facendo il
segno della croce e baciando le dita, per chiudere le labbra in un liturgico amen.
Parcheggiata l'auto vicino alla posta ci si saluta con un arrivederci.
Il giorno dopo lo vedo dal balcone di casa mentre sta nel suo giardino ad intrecciare
fili come tessesse una rete. Approfitto per scendere a portare nei cassonetti carta,
vetro e plastica.
“Buongiorno Saro, come va?” “Ciao, vedi prima non ci si conosceva, ora ci si vede
tutti i giorni”.
Come si fa stretto il tempo quando due persone si conoscono, due volte di fila
diventano già un sempre.
“Che state a fare? Oggi niente giro in città?”. Mi invita ad entrare in giardino “un
minuto butto questi e son di ritorno”.
Un bicchiere di fresco latte di mandorla mi fa gustare l'ombra di quell'angolo
coltivato a vite in pergolato.
Parliamo del più e del meno. Dei figli che vanno, dei nipoti che arrivano.
A un punto mi dice che l'indomani andrà a Palermo per delle pratiche in Prefettura.
Gli chiedo con che mezzi e mi risponde che la corriera è tutti i giorni alle 6,30.
Visto che anch'io devo andare nel capoluogo, perché alle 14,00 arriva un parente con
un volo, mi offro di accompagnarlo profittando così per fare un giro nella grande
città.
Accettando con un largo sorriso di occhi e bocca ci si da appuntamento per
l'indomani alle 7,00.
Dal balcone lo vedo in strada già cinque minuti prima. Un saluto in casa e sono giù.
L'invito a prendere un caffè al bar sortisce l'effetto di non riuscire a far accettare i
miei centesimi al barista. Saro è di casa e qui offre lui. II (Il viaggio)
Al casello prelevo il tagliando di transito, il semaforo passa dal rosso al verde e
contemporaneamente la sbarra bianco rossa si alza lasciando libero accesso alla
corsia autostradale.
I finestrini sono chiusi e il climatizzatore fa sentire i piacevoli effetti nell'abitacolo.
Saro ha lasciato da un pezzo la maniglia a cui si era aggrappato nel salire, e a braccia
conserte guarda avanti, inseguendo con gli occhi il ciglio della strada che scorre
all'indietro.
Nello specchietto vedo i suoi occhi rincorrere i cartelli sulla sinistra e quando
l'angolazione diventa impossibile, riposizionarsi diritti. Proprio come il movimento
degli occhi dei passeggeri del metrò alle fermate che, scrutano la panchina
rincorrendo le immagini alla velocità del treno in frenata o in accelerazione quando
riparte.
“Bella ferma questa macchina, non si sente una vibrazione. A quanto va?”.
“Fa i 190, secondo la casa costruttrice, ma non l'ho mai verificato, con questo
benedetto limite dei 130 kmh, gli autovelox, il tutor e il non si sa mai, mi tengo sotto
il limite per riservarmi un'accelerazione di 10 kmh in caso di sorpasso”, e tra me e me
penso “ Quasi quasi è più emozionante guidare il Panda che, senza airbug e barre di
protezione laterale, senza abs e stabilizzatori elettronici vari, ha lo stesso limite di
velocità”. D'altronde è più facile controllare tutti quelli che superano i limiti, piuttosto
che rilevare e poi verificare il tipo di auto per stabilire se ha infranto il codice
stradale.
Mentre penso, sento la voce del mio passeggero che dice “Cefalù, abbiamo passato
Cefalù. Arriveremo presto a Palermo. La Prefettura sarà ancora chiusa.”
“Tranquillo Saro, siamo ancora a Cefalù, strada ne manca ancora e poi in città il
traffico del mattino è caotico. Comunque penso che arriveremo non prima delle 9,00”
e aggiungo “ma perché non avete affidato la pratica a un patronato? Loro hanno una
corsia preferenziale, l'assistenza è gratuita e vi risparmiavate un sacco di pensieri”.
“Hai ragione tu che vivi al nord, qui le cose è meglio se uno se le sbriga da solo,
magari finisce come a un mio compare che ha avuto un'arretrato d'indennità fermo
sei mesi perché mancava una marca da bollo.”
“No, non ci credo. E non l'hanno avvisato?”.
Ride “Ci vuole qualcuno che giri le carte per accorgersi di una cosa, le carte non
parlano e se non le sfreghi non fanno rumore, son zitte”.
Saldato il conto del pedaggio autostradale, percorriamo ancora qualche chilometro
penetrando senza farci caso in città.
“Brava sta signorina che ti dice tutte le strade da prendere, così non si sbaglia e non si
perde tempo a leggere mappe e a chiedere in giro”, dice riferendosi al navigatore
satellitare, “funziona anche andando a piedi?”. “Si, ha una batteria che dura circa
un'ora, io lo uso sopratutto per ritrovar la macchina dopo che l'ho parcheggiata.
L'ultima volta che non avevo memorizzato il punto del parcheggio ho penato un'ora
prima di ricordarmi dove l'avevo lasciata”.
Difatti scesi dall'auto tocco lo schermo per memorizzare la posizione e spengo, anche
se via Roma è facile da ricordare.Sono da poco passate le nove ed entriamo in prefettura. Lui sa dove andare, saliamo
con un'ascensore al secondo piano e mentre lo aspetto in un corridoio lui entra in una
stanza da dove esce dopo pochi minuti con una faccia che tradisce la delusione di chi
deve ancora aspettare per avere le risposte che voleva.
“Sai forse accetto il tuo consiglio e mi rivolgo a un patronato, però serio, non di
quelli che ingarbugliano anziché sbrigare le faccende.”
Così dicendo torniamo fuori nella piazza con la fontana circondata da statue di fauni
e mitologie varie. In via Maqueda giriamo a sinistra.
“Vieni – mi fa – voglio mostrarti un negozio, è qui vicino”...CONTINUA


paolo



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