Più che altro 'guerra è bello' e quindi sicurezza, tecnologie portate all'eccesso, colonialismo, etc... perché quello è il business cardine che tiene in piedi gli USA e quindi anche noi, che poi diventi privato ci sta, se è vero che pecunia non olet.
Ma i cinesi proseguiranno sulla strada degli occidentali nel fare business? C'è spazio per loro verso questa linea di sviluppo dell'economia?
La rappresentazione della Cina come minaccia per l'Occidente ha radici antiche, ma oggi non sembra davvero fondarsi sulla realtà misurabile. L'Occidente è in cerca di un nemico credibile dopo la misera fine della pompatissima “minaccia islamica”, ma la minaccia cinese è poco credibile, almeno fino a che un gruppo di cinesi pazzi non deciderà di attaccare l'Occidente. La Cina militarmente è acerba e per niente in grado di competere con la macchina bellica americana.
Non possiede un'aviazione lontanamente paragonabile a quella americana, per non parlare della marina. Non ha capacità di proiezione militare oltre i suoi confini.
Non possiede un'aviazione lontanamente paragonabile a quella americana, per non parlare della marina. Non ha capacità di proiezione militare oltre i suoi confini.
Tutta la sua postura militare è difensiva o al più improntata al controllo delle immediate vicinanze dei confini. Possiede un armamento nucleare che assicura la deterrenza, ma niente di più, non risulta che abbia mai costruito le migliaia di testate e vettori dei quali si dotarono USA e URSS ai bei tempi. La Cina inoltre, a differenza degli USA che ne contano a centinaia, non ha basi o porti sicuri all'estero, mentre dall'estero dipende per la fornitura di materie prime, energia e cibo.
Nemmeno ora che economicamente è in grande espansione e il suo bilancio gode sostanzialmente di un saldo attivo, la Cina raggiunge una spesa militare minimamente paragonabile a quella statunitense, che non solo sono è più robusta, ma che cresce a un tasso annuo superiore a quella cinese. Gli Stati Uniti spendono da soli quanto il resto del mondo e nel conto non sono comprese le spese per le guerre in corso.
Il che, considerando che la Cina deve costruire quasi da zero la sua dotazione rispetto agli americani, dimostra come la differenza tra i due paesi di questo passo non potrà mai essere colmata nel medio termine e nemmeno nel lungo, se non interverrà un deciso mutamento della politica cinese che non sembra per niente alle porte, essendo il governo cinese evidentemente interessato ad altro genere d'investimenti.
C'è poi da aggiungere che un'escalation cinese nel campo degli armamenti spingere i vicini più prossimi e sviluppati, segnatamente Giappone, Corea del Sud e India a una corsa agli armamenti che renderebbe ancora più ardua la rincorsa cinese. Se anche la Cina colmasse il gap tecnologico con gli americani e i vicini, rimarrebbe sempre un investimento in un'impresa senza ricompensa
Già oggi la stessa India supera in dotazioni militari la Cina ed ha quasi la stessa popolazione, la Corea del Sud è un paese formalmente in guerra con Nord e quindi armatissimo e preparatissimo, ma anche il Giappone avrebbe ben poche difficoltà a implementare velocemente la sua marina e la sua aviazione militare o a dotarsi di un deterrente nucleare significativo, visto che non gli mancano gli ingredienti per farlo. Il Giappone ha conoscenze tecniche in campo nucleare, plutonio ed uranio arricchito dalle sue numerose centrali, esperienza nella missilistica e una vasta rete di satelliti in grado di guidarli con precisione come di monitorare eventuali minacce da parte del vicino.
Paesi che fanno parte del “ring of pearls” orientale, l'anello di perle studiato dagli americani per il contenimento dell'espansione cinese. Un catena di stati-clienti che compreranno di più (buy American) se la minaccia cinese apparirà credibile e se la corruzione dei politici locali funzionerà come si deve.
Ma senza la capacità di proiettare le truppe sui possibili teatri di guerra e senza tecnologie all'altezza della concorrenza, l'esercito cinese non può essere considerato molti di più di una milizia valida per il presidio dei confini e del territorio cinese o una minaccia relativa per i paesi vicini militarmente meno significativi, non certo una potenza in grado di competere su scala planetaria con gli Stati Uniti o minacciare sensatamente i suoi alleati.
Non per niente le rivendicazioni territoriali cinesi si limitano parte delle isole Spratley e a qualche zona ai confini impervi con l'India, contenziosi con i vicini che non sembrano proprio in grado di divenire un casus belli. Tibet e Taiwan non sono un problema di sovranità per il governo cinese, ben pochi nelle due province reclamano l'indipendenza da Pechino e per la comunità internazionale appartengono alla Cina senza discussione alcuna, così come lo Xing Jang, dove l'occasione della War on Terror ha legittimato la repressione cinese sulla base musulmana della provincia e la sua colonizzazione economica.
Anche se certa propaganda in Occidente la racconta in maniera diversa, è lo stesso Dalai Lama ad aver confessato l'intervento armato della CIA accanto ai tibetani e ad aver ammesso che fu un errore accettarlo. Un intervento non certo interessato al popolo tibetano, la cui storia riveduta e corretta è stata utile per anni in Occidente, con il Dalai Lama portato in giro come un Panda e l'esotismo della causa costruita dalla propaganda americana a far premio sulla realtà.
Così come pochi si rendono contro che Taiwan è formalmente una provincia occupata dall'esercito cinese, dai bianchi sconfitti da Mao che per decenni hanno retto Formosa con una dittatura militare filo-occidentale, solo dagli anni '90 pervenuta alla democrazia formale. La Cina ha saputo aspettare, ha atteso la fine del contratto che cedeva Hong Kong alla corona britannica e attenderà che la storia porti Taiwan alla riunificazione con il continente, così come i capitali taiwanesi si sono già riconciliati con gli operai del Guandong e delle altre zone speciali. Non si vede proprio perché dovrebbe voler invadere i vicini invece di comprare da loro quello che vuole.
La vera minaccia che viene dalla Cina è quella relativa alla sua stabilità interna, perché in tutta evidenza la locomotiva cinese sta oltrepassando i limiti di sostenibilità del sistema e a breve rischia di essere colpita da una crisi di sovrapproduzione. Crisi che giunge a cavallo della crisi economica e finanziaria, con la bolla immobiliare cinese che incombe su tutta la catena di garanzie ed investimenti che alimentano la crescita tumultuosa dell'economia. Una situazione capace di trasformare la Cina nell'epicentro di secondo round della crisi del 2008 e accendere una crisi in grado di minacciare il progetto di “armonia” cinese propagandato dal partito unico. Una crisi inevitabile, perché i tassi di crescita della Cina registrati negli ultimi anni non sono matematicamente sostenibili all'infinito e questo si sapeva fin dall'inizio del suo cammino di sviluppo.
Una fase di violenta instabilità cinese avrebbe necessariamente conseguenze sul resto del mondo, rischiando di compromettere la fornitura di un'enorme quantità di beni e aumentando ovunque i prezzi al consumo, con una serie di ritorni depressivi sull'economia mondiale difficilmente calcolabili e la definitiva implosione dei mercati finanziari. Il più imminente pericolo giallo non è una minaccia militare o il successo della Cina, ma il suo fallimento, è nell'improvviso arrestarsi della sua corsa.
Nemmeno ora che economicamente è in grande espansione e il suo bilancio gode sostanzialmente di un saldo attivo, la Cina raggiunge una spesa militare minimamente paragonabile a quella statunitense, che non solo sono è più robusta, ma che cresce a un tasso annuo superiore a quella cinese. Gli Stati Uniti spendono da soli quanto il resto del mondo e nel conto non sono comprese le spese per le guerre in corso.
Il che, considerando che la Cina deve costruire quasi da zero la sua dotazione rispetto agli americani, dimostra come la differenza tra i due paesi di questo passo non potrà mai essere colmata nel medio termine e nemmeno nel lungo, se non interverrà un deciso mutamento della politica cinese che non sembra per niente alle porte, essendo il governo cinese evidentemente interessato ad altro genere d'investimenti.
C'è poi da aggiungere che un'escalation cinese nel campo degli armamenti spingere i vicini più prossimi e sviluppati, segnatamente Giappone, Corea del Sud e India a una corsa agli armamenti che renderebbe ancora più ardua la rincorsa cinese. Se anche la Cina colmasse il gap tecnologico con gli americani e i vicini, rimarrebbe sempre un investimento in un'impresa senza ricompensa
Già oggi la stessa India supera in dotazioni militari la Cina ed ha quasi la stessa popolazione, la Corea del Sud è un paese formalmente in guerra con Nord e quindi armatissimo e preparatissimo, ma anche il Giappone avrebbe ben poche difficoltà a implementare velocemente la sua marina e la sua aviazione militare o a dotarsi di un deterrente nucleare significativo, visto che non gli mancano gli ingredienti per farlo. Il Giappone ha conoscenze tecniche in campo nucleare, plutonio ed uranio arricchito dalle sue numerose centrali, esperienza nella missilistica e una vasta rete di satelliti in grado di guidarli con precisione come di monitorare eventuali minacce da parte del vicino.
Paesi che fanno parte del “ring of pearls” orientale, l'anello di perle studiato dagli americani per il contenimento dell'espansione cinese. Un catena di stati-clienti che compreranno di più (buy American) se la minaccia cinese apparirà credibile e se la corruzione dei politici locali funzionerà come si deve.
Ma senza la capacità di proiettare le truppe sui possibili teatri di guerra e senza tecnologie all'altezza della concorrenza, l'esercito cinese non può essere considerato molti di più di una milizia valida per il presidio dei confini e del territorio cinese o una minaccia relativa per i paesi vicini militarmente meno significativi, non certo una potenza in grado di competere su scala planetaria con gli Stati Uniti o minacciare sensatamente i suoi alleati.
Non per niente le rivendicazioni territoriali cinesi si limitano parte delle isole Spratley e a qualche zona ai confini impervi con l'India, contenziosi con i vicini che non sembrano proprio in grado di divenire un casus belli. Tibet e Taiwan non sono un problema di sovranità per il governo cinese, ben pochi nelle due province reclamano l'indipendenza da Pechino e per la comunità internazionale appartengono alla Cina senza discussione alcuna, così come lo Xing Jang, dove l'occasione della War on Terror ha legittimato la repressione cinese sulla base musulmana della provincia e la sua colonizzazione economica.
Anche se certa propaganda in Occidente la racconta in maniera diversa, è lo stesso Dalai Lama ad aver confessato l'intervento armato della CIA accanto ai tibetani e ad aver ammesso che fu un errore accettarlo. Un intervento non certo interessato al popolo tibetano, la cui storia riveduta e corretta è stata utile per anni in Occidente, con il Dalai Lama portato in giro come un Panda e l'esotismo della causa costruita dalla propaganda americana a far premio sulla realtà.
Così come pochi si rendono contro che Taiwan è formalmente una provincia occupata dall'esercito cinese, dai bianchi sconfitti da Mao che per decenni hanno retto Formosa con una dittatura militare filo-occidentale, solo dagli anni '90 pervenuta alla democrazia formale. La Cina ha saputo aspettare, ha atteso la fine del contratto che cedeva Hong Kong alla corona britannica e attenderà che la storia porti Taiwan alla riunificazione con il continente, così come i capitali taiwanesi si sono già riconciliati con gli operai del Guandong e delle altre zone speciali. Non si vede proprio perché dovrebbe voler invadere i vicini invece di comprare da loro quello che vuole.
La vera minaccia che viene dalla Cina è quella relativa alla sua stabilità interna, perché in tutta evidenza la locomotiva cinese sta oltrepassando i limiti di sostenibilità del sistema e a breve rischia di essere colpita da una crisi di sovrapproduzione. Crisi che giunge a cavallo della crisi economica e finanziaria, con la bolla immobiliare cinese che incombe su tutta la catena di garanzie ed investimenti che alimentano la crescita tumultuosa dell'economia. Una situazione capace di trasformare la Cina nell'epicentro di secondo round della crisi del 2008 e accendere una crisi in grado di minacciare il progetto di “armonia” cinese propagandato dal partito unico. Una crisi inevitabile, perché i tassi di crescita della Cina registrati negli ultimi anni non sono matematicamente sostenibili all'infinito e questo si sapeva fin dall'inizio del suo cammino di sviluppo.
Una fase di violenta instabilità cinese avrebbe necessariamente conseguenze sul resto del mondo, rischiando di compromettere la fornitura di un'enorme quantità di beni e aumentando ovunque i prezzi al consumo, con una serie di ritorni depressivi sull'economia mondiale difficilmente calcolabili e la definitiva implosione dei mercati finanziari. Il più imminente pericolo giallo non è una minaccia militare o il successo della Cina, ma il suo fallimento, è nell'improvviso arrestarsi della sua corsa.
Fonte: http://mazzetta.splinder.com/post/25530746/perche-bisogna-aver-paura-della-cina.
Annamaria... a dopo
Condivido il parere che non bisogna aver paura della Cina, come di qualsiasi paese che sia in grado di svilupparsi ed irradiare il proprio sviluppo al livello mondiale. Il vero pericolo consiste nella ricerca di guadagni che si fondino su artifici economico-finanziari piuttosto che su produzioni di merci e srvizi in grado di vendersi per qualità e prezzo. Piuttosto, un altro problema importante, e ahimé sottovalutato, è l'unicità del modello di funzionamento dei sistemi economici: cioé quello capitalistico. Tutto il mondo è basato su quel sistema. Bisognerebbe fare uno sforzo in più per inventare qualcosa di alternativo. Se il sistema capitalistico ristagna è la fine; sistemi di tipo diverso (non quelli comunisti di vecchio stampo, naturalmente)potrebbero dare nuova linfa e nuove possibilità di sviluppo.
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