Il mondo digitale stimola i neuroni 
ma può spegnere le emozioni
Gli esperti ci informano che ...
 Internet sta cambiando la nostra vita e anche il nostro cervello.  Con qualche differenza fra i più giovani (i nativi digitali) e i più  vecchi (gli immigranti digitali). Che il cervello sia un organo  plasmabile si sa, ma ora i neuroscienziati stanno cercando di capire  come le nuove tecnologie possono modificare i circuiti neuronali.  I  giovani, nati in un mondo di tastiere e cellulari, trascorrono alcune  ore al giorno chattando o inviando Sms e questa esposizione reindirizza i  circuiti cerebrali, stimolando il multitasking (cioè la capacità di  svolgere più compiti simultaneamente), il ragionamento  complesso e la capacità di prendere decisioni. Con un aspetto negativo,  però: una riduzione della capacità di provare emozioni. Anche il  cervello degli immigranti digitali, che sono vissuti fra agendine  tascabili e corrispondenza da  inviare per posta, può  cambiare, quando si confronta, per esempio, con Internet. E lo dimostra  una ricerca condotta da ricercatori dell’Ucla, l’università della  California a Los Angeles, guidati da Gary Small, un esperto del settore  (sul tema ha pubblicato un libro "iBrain: surviving the technological  alteration of the modern mind"). Il ricercatore ha valutato, con la  risonanza magnetica, il cervello di persone, con età compresa fra 55 e  76 anni, alcuni dei quali si dedicavano alla navigazione in Internet e  altri no.  I risultati hanno dimostrato che le funzioni cerebrali dei  cibernauti, dediti quotidianamente a ricerche in rete, sono migliori  rispetto a quelle degli altri. In particolare, risultano attivate le  aree del cervello che hanno a che fare con i processi decisionali.
Ovviamente non dobbiamo diventarne dipendenti. Come nel caso di uno studente universitario milanese, che ha dovuto ricorrere a cure pschiatriche  per liberarsi dalla "dipendenza della rete"
dal -Corriere.it-
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PERSONALITÀ DIPENDENTE - «Un ventiseienne, studente  universitario, quasi alla fine degli studi, ma con grandi difficoltà a  sostenere gli esami, nonostante l’aiuto di insegnanti privati — racconta  Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale  dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano. — Un ragazzo con una  personalità dipendente, introverso, timido, anche se dotato di un certo  senso dell'umorismo, con pochi rapporti interpersonali e tendente  all'isolamento. Senza una ragazza». Può bastare questo per scivolare,  piano piano, verso quella che gli americani definiscono "Internet  addiction disorder", sindrome da dipendenza da Internet e che stanno  meditando di inserire nel Dsm V (la versione del Manuale diagnostico dei  disturbi mentali attualmente in revisione).  È una forma di dipendenza  come quella da cocaina, anche se qui manca la "sostanza". Chi soffre di  dipendenza da Internet sente il bisogno di trascorrere un tempo sempre  maggiore in rete, riduce l'interesse per altre attività che non siano la  navigazione virtuale, non riesce a interrompere o tenere sotto  controllo l'uso del computer. «Il paziente milanese — continua lo  psichiatra — si è lasciato sempre più catturare dalla rete fino ad  abbandonare le lezioni all'università, a invertire il ritmo sonno-veglia  e a uscire dalla sua stanza solo di notte per aprire il frigorifero e  mangiare quello che gli capita sotto mano. Non trascura, però, il suo  aspetto fisico, non è trasandato nonostante i suoi contatti con la  realtà si limitino a qualche telefonata agli amici». I genitori del  nostro moderno eremita cominciano a preoccuparsi: appartengono a un ceto  sociale medio-alto (in genere gli hikikomori "nascono" proprio in  questi ambienti),e hanno la possibilità di chiamare a casa uno  specialista. Che tenta di penetrare nel mondo del ragazzo e di  riportarlo alla realtà, senza però riuscirci.  «Il ragazzo trascorre più  di un anno in questa condizione di isolamento — aggiunge Mencacci —.  Passa il suo tempo navigando in Internet alla scoperta di mondi  virtuali. Con un cervello ben vigile, certo, con la possibilità di  interazioni sensoriali con gli altri, ma solo attraverso vista e udito.  Manca completamente, in questi suoi rapporti, l’aspetto  emotivo-istintivo». Quella del ragazzo diventa una vita-non vita, senza  limiti nè di tempo nè di spazio. Qualcuno, allora, gli parla della  possibilità di un ricovero e di una cura "disintossicante", così un  giorno sente bussare alla sua porta e, benché sorpreso, di fronte  all’invito di un medico, accetta di salire su un'ambulanza. A un patto:  portare con sé il computer che tiene aperto anche nella corsa verso  l’ospedale. Oggi, con l’aiuto dei farmaci e di una psicoterapia, è  riuscito a liberarsi (in parte e con grande fatica) dalla sua schiavitù.
Annamaria... a dopo


 
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E' puro terrorismo, questo, ma può succedere "by exception" come direbbero gli inglesi.
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