venerdì 1 febbraio 2019
PETIZIONE GIUSTIZIA PER MARCO VANNINI
Margherita Runchina ha lanciato questa petizione e l'ha diretta a Procura della Repubblica di Civitavecchia e a 1 altro/altra
Ho seguito il caso Marco Vannini ed è vergognosa la sentenza emessa contro la famiglia Ciontoli che è responsabile della sua morte. Chiedo in nome del popolo italiano e di tutte le mamme italiane che il caso venga riesaminato e ai colpevoli data la giusta punizione. Il messaggio che arriva ai giovani da questa sentenza è deleterio e lo Stato non può essere complice di un omicidio.
FIRMA QUI
Annamaria
giovedì 31 gennaio 2019
LA LAMPADA DI ALADINO
Già letti ma sempre godibili
Lui: Stanotte ho sognato
Lei: Cosa?
Lui: Ero disteso sul letto
E avevo sul
petto una lampada.
Lei: …quella di
Aladino…?!
Lui: Non so, l’ho
guardata, sorpreso e incuriosito.
Sembrava che
dicesse “Sono in attesa di una carezza.”
Lei: Sei grande, non raccontare favole.
Lui: Non ti racconto sciocchezze, ti dico quello che hsognato. Ho sentito una folata di
vento fresco, improvvisa. Non riuscivo a tener ferma la mano. Mi sono sussurrato …Aladino!
Lei: Quello della lampada?... Sei cresciuto e fai di questi
sogni? Povero
amore mio, sei grande e racconti ancora favole?
Ma dimmi del sogno!
Lui: Aladino, l’eroe delle “Mille e una Notte”.
Lei: Ti ascolto!
Lui: Nei racconti arabi c’è una novella “Aladino e la lampada
meravigliosa”. Lui possedeva una lampada che gli esaudiva ogni desiderio se
veniva strofinata.
Lei: Tesoro, questa lampada l’hai comprata al mercatino: che
bisogno c’era. Hai speso soldi per un oggetto inutile. Però, sai che sono
curiosa: racconta!
Lui: La lampada veniva strofinata per esprimere un
desiderio…io l’ho strofinata……e subito dopo ho sentito una voce flebile che mi sembrava uscisse dalla lampada…
Lei: E che diceva?
Lui: Esaudisco un tuo desiderio se tu mi reciti una poesia
d’amore.
Lei: Oh, non è facile…e tu?
Lui: Guardando fisso la lampada, ammaliato, ho cominciato a
declamare lento…
“raccogli le parole
non spazzarle vie
i ricordi sono cimeli
che devono giacere
su cuscini di velluto
rosso
quel rosso vivo di
giovani boccioli
come le stelle
che emanano i riflessi dei ricordi
la luna splendida e
superba
ricorda un candore
storico
di un amore che rammenta
un antico splendore.
Lasciati ancora
accarezzare
portentosa lampada
dammi di lei la sua
anima
e fa che la sua
guancia, al risveglio,
poggi sul mio petto”
Lei: Non ho parole, principe mio!
Lui: Sai che giorno è oggi?
Lei: Primo novembre, Ognissanti
Lui: …e’ anche Sant’Aladino che si festeggia in questo
giorno.
Lei: Non lo sapevo.
Lui: Ti ripeto le ultime parole dette alla lampada “e fa che la sua guancia, al risveglio,
poggi sul mio petto.” E tu dove sei
in questo momento?
Lei: …sul tuo petto, Sognatore mio, metti la lampada sul
comodino e…strofinami.
Lui: Tu meriti carezze perché non sei una lampada.

Enzo
martedì 29 gennaio 2019
L' ARANCINA E' FIMMINA...
Quante volte avete sentito dire, magari da qualcuno del Sud Italia, frasi come "esci il cane", "entra i panni", o "siedi il bambino" e avete pensato che fosse sbagliato? Da oggi sappiate che non è più così. Almeno nella lingua parlata. A dirlo è l'Accademia della Crusca. Rispondendo ai lettori che chiedevano se fosse lecito costruire il verbo sedere con l'oggetto diretto di persona Vittorio Coletti, socio dell'Accademia, ha affermato: "Si può rispondere di sì, ormai è stata accolta nell'uso, anche se non ha paralleli in costrutti consolidati con l'oggetto interno come li hanno salire o scendere (le scale, un pendio). Non vedo il motivo per proibirla e neppure, a dire il vero, per sconsigliarla". Lo stesso ragionamento può essere fatto per verbi come uscire e entrare.
Dire "esci la spazzatura" o "entra i panni", insomma, non è un'eresia. E non si tratta di stravolgere le regole grammaticali, ma di accettare l'idea che questi costrutti siano entrati nel linguaggio comune: "Diciamo insomma che sedere, come altri verbi di moto, ammette in usi regionali e popolari sempre più estesi anche l'oggetto diretto e che in questa costruzione ha una sua efficacia e sinteticità espressiva che può indurre a sorvolare sui suoi limiti grammaticali", ha spiegato Coletti.
Dopo "esco il cane" e altre espressioni ecco un altro quesito che divide molte persone, soprattutto i siciliani.
Si dice arancinO o arancinA?
Cosa dicono in merito gli esperti dell'autorevole "Accademia Della Crusca" ?
Il genere del nome che indica la specialità siciliana a base di riso con la salsa di pomodoro e la carne (o altro) divide in due l’isola: arancina (rotonda) nella parte occidentale e arancino (rotondo o a punta, forma che potrebbe essere ispirata dalla figura dell’Etna) nella parte orientale, con l’eccezione di alcune aree nella zona ragusana e in quella siracusana. Il gustoso timballo di riso siculo deve il suo nome all’analogia con il frutto rotondo e dorato dell’arancio, cioè l’arancia, quindi si potrebbe concludere che il genere corretto è quello femminile: arancina. Ma non è così semplice, e vediamo perché.
Origini
Le origini di questa pietanza si vorrebbero far risalire al tempo della dominazione araba in Sicilia, che durò dal IX all’XI secolo. Gli arabi avevano l’abitudine di appallottolare un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano, per poi condirlo con la carne di agnello prima di mangiarlo; da qui la denominazione metaforica: una pallina di riso con la forma di una piccola arancia (< ar. nāranj). Come si legge nel Liber de ferculis di Giambonino da Cremona (curato da Anna Martellotti, 2001), tutte le polpette tondeggianti nel mondo arabo prendevano il nome dalla frutta a cui potevano essere assimilate per forma e dimensioni (arance ma anche albicocche, datteri, nocciole); il paragone con le arance era naturale in Sicilia dato che l’isola ne è sempre stata ricca.
In realtà però non ci sono tracce di questa preparazione nella letteratura, nelle cronache, nei diari, nei dizionari, nei testi etnografici, nei ricettari e così via prima della seconda metà del XIX secolo: essa dunque compare in età assai più recente di quanto si potrebbe pensare. Per di più, si dovrà osservare che nel Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi (1857), il primo dizionario siciliano che registra la forma arancinu, la definizione descrive "una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia": dolce, non salata; ma i passaggi dolce/salato non sono infrequenti nelle varie fasi della gastronomia, se persino lapizza alla napoletana è ancora per la Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (ediz. 1911) un dolce fatto di pastafrolla e crema (ricetta 609). Nel Nuovo vocabolario siciliano-italiano del Traina (1868), infatti, dalla voce arancinu si rinvia a crucchè: "specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro", da confrontare con la ricetta 199 (Crocchette di riso composte) della Scienza in cucina, che indica una preparazione certamente salata. Nei repertori prima citati non sono tuttavia mai menzionati né la carne né il pomodoro, e in effetti è difficile dire quando questi due ingredienti siano entrati nella ricetta: del pomodoro, tra l’altro, si sa che cominciò a essere coltivato nel Sud della penisola solo all’inizio dell’Ottocento. Alla luce di questi fatti il legame tra il supplì siciliano e la tradizione araba non sembra più così certo, mentre si potrebbe pensare che si tratti di un piatto nato nella seconda metà del XIX secolo come dolce di riso, ma che sia stato trasformato quasi subito in una specialità salata.
Inoltre il nome del manicaretto – secondo l’ipotesi suggerita da Salvatore C. Trovato in A proposito di arancino/arancina ("Archivio Storico della Sicilia Centro Meridionale", II, 2016) – potrebbe derivare non solo dalla forma dell’arancia, ma anche dal suo colore: in siciliano infatti le parole che indicano nomi di colori si formano da una base nominale più il suffisso -inu, quindi arancinu ‘di colore arancio’, come curaḍḍinu‘del colore del corallo’ o frumintinu ‘che ha il colore del frumento’).
![]() |
ArancinO |
Con la -o
Nel dialetto siciliano, come registrano tutti i dizionari dialettali, il frutto dell’arancio è aranciu e nell’italiano regionale diventa arancio. Del resto, alla distinzione di genere nell’italiano standard, femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi, si giunge solo nella seconda metà del Novecento, e molti parlanti di varie regioni italiane – Toscana inclusa – continuano tuttora a usare arancio per dire arancia.
Al dialettale aranciu per ‘arancia’ corrispondono il diminutivo arancinu per ‘piccola arancia’, arancino nell’italiano regionale: da qui il nome maschile usato per indicare il supplì di riso. La prima attestazione nella lessicografia italiana di arancino si trova nel Dizionario moderno del Panzini (edizione 1942), che registra la forma maschile, contrassegnandola come dialettale siciliana. Questa denominazione, dunque, è quella che riportano i dizionari dialettali, i dizionari italiani (basterà citare il GDLI e il GRADIT), e che è stata adottata dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (arancini di riso: Regione Siciliana, Prodotti della gastronomia, 188); è la forma che il commissario Montalbano ha portato nei libri e in televisione (Andrea Camilleri, Gli arancini di Montalbano, 1999) e di conseguenza nella competenza di tutti gli italiani
![]() |
ArancinA |
Con la -a
I dizionari quindi concordano sul genere di arancino, ma le indicazioni del genere del nome che indica il frutto dell’arancio sono, come abbiamo detto, oscillanti: le due varianti arancio e arancia coesistono, con una prevalenza del femminile nell’uso scritto e una maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola.
Il femminile tuttavia è percepito come più corretto – almeno nell’impiego formale – perché l’opposizione di genere è tipica nella nostra lingua, con rare eccezioni, per differenziare l’albero dal frutto. Si può ipotizzare che il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, abbia portato la forma femminile arancia a prevalere su quella maschile arancio nell’uso dei parlanti palermitani: essi, avendo adottato la forma femminile per il frutto, l’hanno di conseguenza usata nella forma alterata anche per indicare la crocchetta di riso: dunque, arancina. Per la zona ragusana e siracusana potrebbe invece aver influito il fatto che la forma dialettale più diffusa per indicare il frutto non è aranciu ma partuallu/partwallu (cfr. AIS, carta 1272): la radicale diversità dell’esito locale può aver fatto sì che quando si è assunto il termine italiano per indicare il frutto lo si sia fatto nella forma codificata arancia, da cui arancina.
Si potrebbe allora concludere che chi dice arancino italianizza il modello morfologico dialettale, mentre chi dice arancina non fa altro che riproporre il modello dell’italiano standard. Questa supposizione troverebbe conferma nell’unica attestazione di arancina che si trova nella letteratura di fine Ottocento: le "arancine di riso grosse ciascuna come un mellone" dei Viceré (1894) del catanese Federico De Roberto, che si atteneva a un modello di lingua di matrice toscana. Alla fine del secolo la variante femminile è stata poi registrata da Corrado Avolio nel suo Dizionario dialettale siciliano di area siracusana (un manoscritto inedito della Biblioteca Comunale di Noto, compilato tra il 1895 e il 1900 circa) e più tardi da Giacomo De Gregorio nei suoi Contributi al lessico etimologico romanzo con particolare considerazione al dialetto e ai subdialetti siciliani ("Studi Glottologici Italiani", VII, 1920, p. 398) che rappresentano l’area palermitana. Arancina è stata registrata anche dalla lessicografia italiana: dallo ZINGARELLI del 1917, che la glossa come "pasticcio di riso e carne tritata, in Sicilia", e dal Panzini nell'edizione del 1927; dopo però non se ne ha più nessuna traccia.
Arancinie!
Al di là di alcune rivendicazioni permeate da inutili campanilismi, spesso le motivazioni di chi sostiene, contro la registrazione dei vocabolari, che l’arancina sia fimmina con la -a traboccano di un amore (con la a-!) per il cibo che altro non è se non amore per la propria terra e per le proprie tradizioni; per questo basterà citare Davide Enia, attore e scrittore palermitano:
Battezzare con correttezza è gesto di umiltà di fronte all’ eccezionalità del piatto, ché noi che le mangiamo le arancine, no,
noi non vogliamo (soltanto) bene all’arancina, palla di sfera che si basta da sé.
No.
Noi CELEBRIAMO l’arancina noi la veneriamo,
lei e la sua tondità solare, sfera a carne o a burro, palla, piccola arancia, fìmmina.
Il resto, non esiste il resto di fronte all’arancinA.
Ma non è tutto. Andrea Graziano, chef e imprenditore catanese, per unire le due metà dell’isola nel giorno di Santa Lucia (giorno in cui si festeggia mangiando panelle, cuccìa e arancine) ha proposto nella sua "bottega sicula" palermitana, gemella di quella catanese, le arancinie: «una porzione che comprende due arancini a punta preparati con sarde e finocchietto e due arancine tonde preparate "alla norma" con melanzane fritte, ricotta, pomodoro e basilico». Una terra di mezzo in cui convivono gli arancini catanesi e le arancine palermitane, e si fondono in un’unica specialità dal sapore inconfondibile, simbolo della sicilianità.
Dunque l'accademia della crusca è chiara: il nome delle crocchette siciliane ha sia la forma femminile sia la forma maschile, determinata dall’uso diatopicamente differenziato.
Che poi maschio o femmina, a punta o rotonda, è sempre la fine del mondo!
Soprattutto gli arancini di Pozzallo...!
Per ultimo non poteva mancare la classica ricetta siciliana:
Ingredienti per 4 persone
Occorrente:
200 gr di riso
200 gr di piselli
150 gr di ragù
2 uova
50 gr di burro
pangrattato
parmigiano grattugiato
mezza cipolla
conserva di pomodoro
brodo
olio di semi
sale
Come si procede:
Preparate il risotto in bianco cuocendo il riso nel brodo e aggiungendo alla fine il burro, le uova e il formaggio.
A parte mescolate il ragù denso con la conserva, l’olio, i piselli e il sale.
Fate delle palline di riso, scavate al centro e riempite con ragù; chiudere il foro col riso stesso.
Passate gli arancini nel pangrattato e friggeteli in olio bollente, facendoli dorare, e poi sgocciolare bene su carta da cucina.
Vanno gustati caldi.
By A.D.C Annamaria
mercoledì 23 gennaio 2019
LO PSICOLOGO: PER ESSERE FELICI CAMBIATE PARTNER OGNI 5 ANNI
La società sarebbe piu' felice se le persone cambiassero partner ogni 5 anni (anno più, anno meno). Ad affermarlo è lo psicologo spagnolo, Rafael Santandreu, autore del libro “Las gafas de la felicidad”.
A dar retta all'autore del libro, consapevole che le sue dichiarazioni potrebbero apparire scomode, scomparendo (sempre in futuro, eh!?) le coppie fisse, dovrebbero scomparire anche gelosie e dipendenze.
Spiega, inoltre, che l'essere umano non è monogamo e dunque pensare a una coppia fissa per sempre non ha senso.
Anche la psicologia è concorde: la relazione perfetta è quella in cui i partner possono dire "ti amo ma non ho bisogno di te".
L'autore afferma che finora ha funzionato perché l'uomo era in possesso della donna dando la definizione (addirittura) "schiava e padrone."
In futuro vedremo una famiglia molto diversa da come attualmente la conosciamo. Avremo società matriarcali, dove madri e sorelle terranno insieme la famiglia, che perderà la classica conformazione marito-moglie”.
Questo nuovo modello di vita non solo aiuterà a ridurre il numero di suicidi (d'amore) nel mondo, ma ridurrà il livello di infelicità generale prodotto da sentimenti non corrisposti e dalle gelosie.
Secondo Santandreu, il 50% delle coppie attuali, infatti, “non potrà reggere per più di dieci anni” e stima che “solo un terzo delle coppie sono veramente soddisfatte della loro relazione”.
A me risulta impossibile pensare, in futuro, a relazioni sentimentali come qualcosa che cambia in continuazione.
Ma se finisce l'amore ben venga lasciarsi.
Ricordate ElizabethTaylor?
Famosa come attrice ma anche per i suoi numerosi matrimoni: ben otto. Ma l’attrice rispetto alla 68enne Linda Wolfe era una dilettante: si è sposata ben 23 volte nel corso della sua vita.
Due dei suoi ex-mariti ha scoperto che in realtà erano gay, qualcuno degli altri la tradiva. Un altro, aveva un comportamento possessivo tanto che aveva messo il lucchetto al frigo. Due dei suoi mariti erano senzatetto, mentre un altro era un carcerato con un occhio solo. L’ultimo matrimonio, una quindicina d’anni fa, era un certo Glynn Wolfe, sposato come trovata pubblicitaria dato che lui era l’uomo che si era sposato più volte: 29 con il matrimonio con Linda.
Annamaria
sabato 19 gennaio 2019
GRUPPI FACEBOOK, UTENTI CANCELLATI
Bufale.net ha fatto un pò di chiarezza riguardo agli utenti cancellati nei vari gruppi Facebook.
Circola voce, da qualche giorno, che il social ha eliminato delle persone dal gruppo ma non è così: semplicemente ha scorporato le persone invitate “a loro insaputa”
Laddove in passato l’admin poteva semplicemente invitare chiunque ed i loro prossimi parenti al suo gruppo e godere del numero di utenti, ora Facebook introduce una serie di passi.
Innanzitutto, gli utenti invitati non saranno più parte automatica del gruppo, ma dovranno decidere se accettare, fino a quel momento restando in un limbo di utenti non conteggiati.
L’admin a questo punto potrà sollecitare una risposta, ma mai più arbitrariamente decidere di ammettere utenti.
Il che comporta sostanzialmente due conseguenze scambiate da molti come eliminazione delle persone dal gruppo:
Molti gruppi si sono trovati “alleggeriti” degli utenti invitati ma che non hanno accettato
Molti gruppi ora non potranno più crescere automaticamente con gli inviti ricevuti, ma dovranno accettare una forma di consenso dell’utente finale.
E questo non possiamo certo negare sia un bene.
Bene tradotto però da molti moderatori ed amministratori nel panico di segnalazioni sempre uguali.
-Facebook ha eliminato dal gruppo tantissimi membri che non hanno mai partecipato attivamente. Vi prego, se interessati, di richiedere l’iscrizione…
-X chi si trova eliminato dal mio gruppo non sono stata io ma Facebook sta combinando un casino ad eliminare da tutti i gruppi nomi che non sono attivi! X chi volesse può rientrare!
-Chi è nel gruppo ****** x nn essere eliminato METTA UN POST Xche fACEBOOK ha introdotto che chi nn partecipa viene eliminato in automatico
-Per il disguido causato da fb che ha eliminato delle persone dal gruppo, chi è interessato a rimanere mandi un commento, grazie
Nessun disguido: semplicemente un metodo più razionale, in un certo senso migliore e più consapevole, di fare comunità.
![]() |
Come potete vedere, Facebook non ha eliminato delle persone dal gruppo: semplicemente ha scorporato le persone invitate “a loro insaputa” Annamaria |
venerdì 18 gennaio 2019
OGNUNO HA IL PROPRIO MANTRA!!
Una donna tornò a casa e disse a suo marito: "Tesoro, ti ricordi quel mal di testa che mi dava fastidio in tutti questi anni? Finalmente sono guarita!" Guarita? "L'uomo chiese," Come è successo? "
"La mia amica Johanna mi ha raccomandato di andare a vedere un ipnotizzatore. L'ipnotizzatore mi ha detto di stare di fronte a uno specchio e ripetere
"Non ho mal di testa, non ho mal di testa, non ho mal di testa!".
La donna ha continuato con un ampio sorriso: "All'inizio ero scettica, ma ho provato e ha funzionato! Niente più mal di testa! "
"È fantastico!" Rispose l'uomo.
La donna si contorse un po ', e poi esitante disse: "Tesoro, negli ultimi anni, non sei esattamente stato un Tarzan a letto. Che ne dici di andare anche tu all'ipnotizzatore, forse ti può aiutare? "
L'uomo ci pensò per un po 'e poi decise che non poteva far male provarci. Dopo la sua visita dall'ipnotizzatore, l'uomo tornò a casa con nuova sicurezza. Sollevò la moglie, la portò in camera da letto, la spogliò e disse:
"Non muoverti, torno subito."
L'uomo avanzò bruscamente verso il bagno. Dopo un po ', tornò a letto e fece l'amore appassionato come mai prima d'ora.
La moglie disse senza fiato, "Oh mio Dio, questo è quello di cui sto parlando."
Dopo che ebbero finito, l'uomo disse ancora una volta: "Non muoverti, torno subito".
Andò in bagno e dopo un po 'tornò e fecero l'amore ancora più appassionatamente di prima.
"Oh mio Dio, è stato meraviglioso" disse la donna.
L'uomo si rialzò e disse: "Non muoverti, torno subito". E per la terza volta andò in bagno. In quel momento, la donna non poté resistere alla tentazione. Lei sgattaiolò fuori dal letto e seguì suo marito. Lo vide in piedi davanti allo specchio, che diceva:
"Non è mia moglie, non è mia moglie, non è mia moglie!!!."
Annamaria
giovedì 17 gennaio 2019
E' ANCORA BODY SHAMING
Non si fa altro che parlare di inclusività nella modo ma è proprio la gente comune a non essere pronta. Fa discutere il caso dell'ultima campagna con modelle curvy in intimo di Calvin Klein pubblicizzata da Zalando.
Le testimonial sono state chiamate «grasse», «ciccione» e «accusate di fare schifo» e le loro gambe sono state paragonate a prosciutti.
La pagina Facebook dell'azienda è stata costretta a intervenire.
"Da Zalando ci piace rappresentare e RISPETTARE la bellezza autentica e la diversità delle persone. Allo stesso modo, rispettiamo opinioni e gusti diversi dai nostri e il diritto di esprimerli. Tuttavia, non accettiamo che la nostra pagina diventi un luogo per diffondere messaggi di odio, offesa o disprezzo: per questo motivo, siamo stati costretti ad oscurare alcuni commenti".
Dunque è evidente che in Italia non siamo ancora pronti ad accettare e apprezzare la moda inclusiva (per qualcuno questo aggettivo è discriminatorio, ma forse, in un mondo fatto di modelle pelle e ossa, necessario). Lo ha dimostrato, purtroppo, la reazione offensiva e aggressiva di centinaia di uomini e donne rispetto alla nuova linea underwear di Calvin Klein, dove tre modelle curvy, con taglie dalla 46 in su, indossavano tre completi intimi sportivi.
Insomma, le tre modelle sono diventate vittime di body shaming Quello che ha fatto notare la nota pagina Facebook Il Signor Distruggere è che, a sorpresa (o forse no?) la maggioranza degli insulti e delle critiche rivolte alle testimonial Calvin Klein proveniva da profili femminili. Per la serie: donne che odiano le donne (se non portano la loro stessa taglia).
By FoxLive
Annamaria
giovedì 10 gennaio 2019
ALESSITIMIA ED EMPATIA
“Non sprecare mai l’opportunità di esprimere il tuo amore.”
-H. Jackson Brown-
È piuttosto singolare e curioso che a pronunciare la frase “Disegna, dipingi ed esprimi ciò che ti piace” sia stato un pittore francese molto timido e riservato come Pierre Bonnard. Che un uomo celebre per la sua sensibilità e sobrietà consigliasse di non lasciar trascorrere un solo giorno senza esprimere le emozioni e i sentimenti, senza rivolgere un ti voglio bene ai propri cari, è davvero sorprendente.
Se le persone più timide e riservate sono capaci di osservare la bellezza, capirla ed esprimerla dando prova di un’enorme sensibilità, chiunque potrebbe dire ti voglio bene a coloro che meritano il loro affetto e la loro amicizia.
Lasciar fluire emozioni e sentimenti non è soltanto un buon comportamento, è anche necessario. Non bisogna credere che sbandierare le proprie emozioni sia negativo, anzi si tratta di un’abitudine che protegge la salute mentale e fisica.
Alessitimia: la malattia di chi non esprime le proprie emozioni.
Non esprimere emozioni è un comportamento sociale che, nonostante sia largamente accettato, è negativo per la salute umana. Tanto che questo sintomo è considerato alla base di un disturbo identificato come alessitimia.
Donna triste
La alessitimia si manifesta in quelle persone che sono incapaci di riconoscere, esprimere o verbalizzare le loro emozioni. Ecco che allora non dare voce alle emozioni può causare seri problemi di comportamento e salute mentale. Esistono casi di depressione, isolamento sociale e somatizzazione a causa dell’incapacità di canalizzare e far uscire un fiume di sentimenti.
Tuttavia, l’alessitimia può anche provocare problemi fisici derivanti dalle difficoltà psicologiche. Per esempio, potrebbe causare mal di stomaco, infarti, ipertensione, ulcere e sindrome da colon irritabile, per citare solo alcune malattie.
L’alessitimia ha conseguenze ancora più nefaste. Vivere senza saper esprimere un ti voglio bene può provocare un grande deterioramento delle relazioni sociali.
“Il pianto è, a volte, il modo di esprimere le cose che non si possono dire a parole”
-Concepción Arenal-
Casi estremi di alessitimia
Per parlare di casi estremi di alessitimia, ci avvaliamo di una particolare serie televisiva che qualche anno fa godeva di un certo successo in diversi paesi del mondo. Stiamo parlando di Dexter, il cui protagonista è interpretato dall’attore Michael C. Hall.
Il protagonista della serie, chiamato Dexter, aveva dei comportamenti al limite della psicosi a cause della sua incapacità di provare empatia, esprimere sentimenti e persino provarli. Per lui, dire ti voglio bene era una vera agonia.
Evidentemente, questo è un caso estremo e fittizio. Tuttavia, può servire come punto di partenza per cercare sintomi affini in ognuno di noi e capire se possiamo essere affetti da alessitimia in maggior o minor grado.
Non saper dire ti voglio bene: problema radicato nella società
Secondo la Società Spagnola di Neurologia, fino a un 10% della popolazione in tutto il mondo soffre di alessitimia, dunque è evidente che si tratta di un problema che colpisce un buon numero di persone, molte delle quali potrebbero essere prossime a noi.
Per poter riconoscere le persone affette da questa malattia, dobbiamo fare attenzione alla loro capacità empatica o espressiva. Anche coloro che hanno avuto ictus, tumori al cervello o traumi cranici potrebbero esserne colpiti.
Uomo triste
Il cervello permette a noi esseri umani di provare amore, allegria o paura e ci permette di relazionare i sentimenti e le emozioni con le parole. Una funzione mentale che va oltre il condizionamento sociale, che può essere, in realtà, un bisogno.
Secondo il dottor Pablo Duque, della Società Spagnola di Neurologia, “l’incapacità di riconoscere e verbalizzare emozioni e sentimenti è provocata da un’interruzione della connessione tra strutture cerebrali”.
È evidente che esprimere emozioni, mostrare sentimenti o dire un ti voglio bene non è solo bello e piacevole, è anche una necessità psicologica che migliora la salute mentale e fisica.
Fonte La mente è meravigliosa
Ecco un test per valutare la tua capacità di esprimere le emozioni
CLICCA QUI
Annamaria
domenica 6 gennaio 2019
COMUNQUE VADA...SARA' UN SUCCESSO

E così un altro anno è finito alle nostre spalle.
L’ordine è tassativo e obbligatorio per tutti: l’anno che viene deve essere sempre migliore di quello passato.
Ma la realtà è che nessuna certezza, anche solo uguale ad un soldo di speranza, può essere giocata contro il fato, che non scopre mai le sue carte se non quando lo decide lui.
Ti guardi intorno e vedi i ragazzi , il nostro futuro, che fremono per poter diventare subito grandi finendo poi loro stessi implacabilmente nel passato, e i non più giovani che cercano inutilmente e disperatamente il ritorno alla perduta giovinezza.
Presi da ciò dimenticando di iniettare il siero della saggezza ai nostri virgulti perché a quella età si è immuni da qualsivoglia forma di tranquilla riflessione; in fondo tornando indietro con la memoria ricordiamo un po' tutti il saggio di turno che ci declamava sempre la famosa “Godi fanciullo mio stato soave, stagion lieta è codesta …”
Anche noi facemmo sempre mucchio di tutti i consigli per il semplice fatto che la realtà la scopri solo qualche anno dopo quando spesso è tardi per tornare indietro a riparare i danni; la vita si sa è una ruota e come direbbero i cugini d’oltralpe con aria snob “C’est la vie …”
Anche noi facemmo sempre mucchio di tutti i consigli per il semplice fatto che la realtà la scopri solo qualche anno dopo quando spesso è tardi per tornare indietro a riparare i danni; la vita si sa è una ruota e come direbbero i cugini d’oltralpe con aria snob “C’est la vie …”
Ma via, bando alle tristezze esistenziali e concentriamoci su un prodotto tipico del nuovo anno, divertente e assurdo almeno per me: le previsioni astrologiche.
Qui non c’è televisione, giornali o rivista grande o piccola che sia che ci propina ore o quintalate di previsioni, divise per segno zodiacale, per mese, per giorno, frutto di studi accuratissimi( ?!?! ) dell’astrologo di turno, maghi e maghelle, che con una sicurezza assoluta ti avvertono che quest’anno ariete è in acquario (tu che hai sempre saputo che nell’acquario al massimo ci vanno i pesci), toro in vergine (con ovvia goduria di quest’ultima), il leone sulla bilancia (ed il felino si accorge pesandosi di essere ingrassato di qualche chilo), capricorno ed ariete che fanno a gara a chi le ha più lunghe (le corna), ed il sagittario che infilza i pesci da poco usciti dall’acquario approfittando dell’assenza dei gemelli che erano con il cancro (sperando che se la cavano …).
Ma questo è niente, perché se poi ci mettete che la luna è propizia ai nati in giugno (sempre che questi non l’hanno storta), che saturno gira ad agosto, che i nati nel segno del leone è meglio se si sposano a febbraio, le vergini faranno ottimi affari a marzo (anche se queste con la scusa che forse la danno, fanno sempre degli ottimi affari in tutti i mesi), partire obbligatoriamente per una splendida vacanza al mare a novembre (nel mese dei defunti!!) per poi ritornare a dicembre quando sarà poi il sagittario a vincere al gioco (la tombolata di Natale?), aspettando giove che entrerà in venere (beato lui!) e mercurio che farà girare le sfere a saturno, naturalmente influenzato dal leone i cui nati nel segno accuseranno problemi alle ragadi contrariamente a quelli nati del capricorno che avranno problemi alla prostata a metà settembre …
Amici cari in mezzo a tutto questo casino cosmico, io vi consiglio fraternamente di chiudere a chiave la curiosità, vivere con consapevolezza e possibile serenità la quotidianità assaporando magari lentamente quei pochi momenti gioiosi, avendo la forza di stringere i pugni ed i denti quando le cose non vanno per il meglio.
Ricordate sempre quella splendida poesia testamento di Kipling
“Se”, dove chiama impostore sia il disastro che il trionfo, perché cari amici comunque vada sarà …IL successo ! Della vita.
Un abbraccio fraterno agli amici del blog …E un ottimo 2019!
Cipriano
sabato 5 gennaio 2019
IN ARRIVO LA BEFANA E I RE MAGI
Domani 6 gennaio si festeggia l 'Epifania che... tutte le feste si porta via (sperando anche i kili di troppo...)
Epifania e Befana hanno la stessa origine. Befana è una variazione popolare del termine greco, Epifania, che significa apparizione.
Con lei, la vecchina dal cuore d'oro, con funzioni e nomi diversi nel mondo, troviamo anche altri personaggi: i Re Magi.
RE MAGI
Il giorno dell’Epifania, nella tradizione cattolica, è quello in cui i Magi, solo il Vangelo di Matteo li nomina e non dice che sono Re e nemmeno maghi e nemmeno tre, arrivano da Gesù Bambino seguendo la stella cometa che poi è la cometa di Halley. Epifania è apparizione, manifestazione della divinità di Cristo, che era anche nel suo battesimo, ma è rimasta nella tradizione solo nell’adorazione dei Magi. I doni che portano sono oro, incenso e mirra e sono stati trasformati nella tradizione popolare italiana in frutta, dolci e giocattoli.
Fino al Quattrocento i Re Magi erano raffigurati senza nessuna differenza di colore e di etnìa. Uno dei re con la pelle scura appare per la prima volta in un dipinto di Mantegna del 1464. Solo nel Rinascimento si è diffusa la consuetudine di identificare nei Magi i tre continenti noti fino ad allora. Tre è anche il numero perfetto. Sono loro che a Firenze sfilano nel corteo storico.
BEFANA
Epifania e Befana hanno la stessa origine. Befana è una variazione popolare del termine greco Epifania che significa apparizione. La Befana è anche la personificazione dell’Epifania: la vecchia, bruttissima ma benefica, che di notte, scendendo per la cappa del camino, lascia nelle calze dei bambini buoni doni e dolciumi, carbone ai cattivi.
Dice l’Accademia della Crusca che «dal dominio religioso (manifestazione di Gesù ai Magi), epifania ha allargato il suo significato nella lingua colta, sino ad assumere quello, del tutto laico, di manifestazione, comparsa, specie se rara, imprevista, di qualcosa».
In Russia la Befana si chiama Babuschka e porta regali come da noi accompagnando Padre gelo.
La Befana-Madre Natura degli antichi è contemporaneamente la morte e la vita, il male e il bene, il buio e la luce, una donnina anziana e brutta ma in fondo buona: una figura che rappresenta la conclusione di un ciclo e l’inizio di un altro, che ogni cultura celebra dalla notte dei tempi con riti, usanze, amuleti portafortuna.
MAGI E BEFANA
Una leggenda dice che i Magi bussarono alla porta della vecchina per chiedere indicazioni verso Betlemme. Si rifiutò di andare con loro, ma si pentì e decise di raggiungerli. Non trovandoli bussò a ogni porta lasciando un dono sperando che il bimbo di casa fosse Gesù.
LA CALZA
La calza è un contenitore perfetto e un indumento indispensabile. Dice una leggenda che Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma, aveva l’abitudine di appendere una calza in una grotta durante il periodo del solstizio d’inverno. Doveva ricevere i doni da una ninfa.
IL FUOCO E LE ALTRE TRADIZIONI
Non ci sono solo i doni e la vecchietta con la scopa accanto al camino. Si bruciano in diverse parti d’Italia fantocci con l’immagine della vecchia. Sarebbe una sopravvivenza di miti precristiani, Gli studiosi vedono nel bruciare il fantoccio (la Vecchia, la Befana, la Strega), che persiste un po’ da per tutto in Europa, la sopravvivenza periodica degli spiriti malefici, facendo risalire il mito della Befana a tradizioni magiche precristiane. A Verona si chiama Brusa la vecia: il 6 gennaio in piazza Bra un’enorme Befana di stracci e legna viene data alle fiamme.
Le tradizioni e i riti sono decine in Italia e nel mondo. A Montescaglioso, in Basilicata, per esempio, la notte della vigilia dell’Epifania è la notte dei Cucibocca.
A gruppi di tre alcuni personaggi girano nella serata per i vicoli e le strade con il volto coperto da barba e cappello. Hanno abiti e mantello scuri e catene ai piedi. Chiedono offerte in natura e portano in una mano un paniere con una lampada ad olio e nell’ altra un enorme ago dal quale pende un lungo filo. Con l’ago ed il filo tentano di cucire la bocca dei bambini curiosi che così fuggono e vanno a dormire lasciando spazio alla Befana nella notte.
DODICI NOTTI
Passano dodici notti fra Natale e l’Epifania. Gli antichi romani pensavano che divinità femminili guidate da Diana volassero sui campi per renderli fertili. Sempre queste dodici notti erano quelle in cui compariva Perchta, la germanica signora delle bestie, conosciuta più a Nord come Holda. Appare bella e bianca come la neve oppure con le sembianze anziane della Befana. In Gran Bretagna la notte dell’Epifania è la dodicesima notte shakespeariana, segna la fine del periodo di Natale ed è la notte in cui gli spiriti escono a fare scherzi. Insomma sempre riti pagani che sono in qualche modo passati alla tradizione cristiana.
EPIFANIA ALL’ESTERO
A Barcellona il giorno dei regali è il 6 gennaio con l’arrivo di Los Reyes, i re magi, con carri che sfilano in città. I bambini scrivono la letterina e lasciano un bicchiere d’acqua per i cammelli, cibo e una scarpa dove verrà sistemato il dono. In Francia è rimasta la tradizione dell’Epifania con un dolce, la galette des rois, torta dei re fatta con pasta sfoglia e crema alla mandorla che contiene una fava o una figurina di gesso o ceramica. Chi la trova è il re o la regina della giornata.
Annamaria
Iscriviti a:
Post (Atom)