mercoledì 14 novembre 2012

BELLOCCIA E BRUTTINA...


Al giorno d'oggi le mode ritengono brutte le donne in carne (vedi il caso della modella Mila Kunis. licenziata in tronco dalla casa di moda Dior, per qualche chilo in piu').


MILA KUNIS ieri e oggi

Eppure sono in molti a cercare una bella ragazza paffutella. E a proposito di bellezza e bruttezza vi invito a leggere questa fiaba di M.me Beaumont.


M.me BEAUMONT

L'autrice, conosciuta per essere stata  rivisionatrice di un'antica fiaba popolare "La Bella e la Bestia" (testo già precedentemente raccolto e compilato in forma scritta da M.me Gabrielle-Suzanne de Villeneuve) nel suo «Magasin des enfants» del 1757, pubblicò numerosi racconti e fiabe direttamente rivolti all'educazione dei fanciulli; attività alla quale si dedicò con passione e successo per tutta la sua vita. Oggi le sue fiabe sono diventate degli assoluti classici, e in lingua francese, esse sono parte del cospicuo patrimonio fiabesco delle corti settecentesche, chiamato «Le Cabinet des Feés». I racconti per l'infanzia di M.me Beaumont furono scritti con stile ed intento volutamente didascalico, e terminano con la morale... buona lettura!
  


BELLOCCIA E BRUTTINA

C'era una volta un signore che aveva due figlie gemelle, alle quali aveva dato due nomi che stavano loro a pennello: la prima, ch'era bella, fu chiamata Belloccia e la seconda, ch'era brutta, fu chiamata Bruttina.

Ben presto le due fanciulle ebbero degli insegnanti e, fino all'età di dodici anni, dimostrarono una certa applicazione allo studio; a quest'epoca però, la madre loro commise una sciocchezza, giacché, senza pensare che avevano ancora molte cose da imparare, cominciò a condurle in società. Le due ragazze, a cui piacevano i divertimenti, furono ben contente di vedersi in mezzo a tante persone e, anche durante le lezioni, non pensarono più ad altro; così, incominciarono a trovar noiosi i loro maestri e ad accampare mille pretesti per non studiare più: una volta, si trattava di festeggiare il loro compleanno, un'altra, erano invitate a un ricevimento o a un ballo, e bisognava passare tutta la giornata ad acconciarsi; insomma: i bigliettini nei quali si pregava gli insegnanti di rimandare la lezione piovevano a catinelle. D'altro canto, i professori, vedendo come le due giovinette non avessero più voglia di applicarsi, cominciarono a prendersi meno a cuore la loro istruzione, giacché, in quel paese lì, i maestri non davano lezione solamente per far soldi, ma anche per il piacere di far progredire le alunne. Quindi anche loro diradarono di molto le lezioni e le ragazze non domandarono di meglio.

Le cose andarono avanti di questo passo fino al loro quindicesimo anno: a quest'età Belloccia era divenuta talmente bella da destare l'ammirazione di tutti quelli che la vedevano. Quando sua madre la portava in società, tutti i cavalieri le facevano la corte: questo lodava la sua bocca, quello i suoi occhi, chi la persona, chi le belle manine, e nel mentre le si prodigavano tutte queste lodi, non ci si accorgeva neppure dell'esistenza di Bruttina. Quest'ultima era talmente disperata per la propria bruttezza, che in breve tempo fu presa da un gran disgusto per tutta quella gente e quelle riunioni, dove ogni onore e ogni preferenza andavano sempre a sua sorella. Cominciò quindi a non aver più voglia d'uscire. Un giorno che erano invitate a un ricevimento, destinato a chiudersi con un ballo, lei disse a sua madre che aveva mal di testa e desiderava rimanere in casa. Al principio, non sapeva cosa fare, ma poi, tanto per passare il tempo, si recò nella biblioteca di sua madre, a cercare un qualche romanzetto e fu molto contrariata che Belloccia ne avesse portato via la chiave. Anche il padre loro aveva una biblioteca, ma si trattava di serie letture, che lei non poteva soffrire. Tuttavia, per forza maggiore, prese il primo libro che le capitò e l'aprì: era una raccolta di lettere, e, a prima apertura di pagina, trovò quel che voglio riferirvi:

... voi mi chiedete come mai la maggior parte delle belle donne siano così terribilmente stupide, ed io credo di potervene dire la ragione: esse non hanno meno intelligenza delle altre, quando vengono al mondo, ma trascurano di coltivarla. Tutte le donne sono vanitose e desiderano piacere: una brutta sa benissimo di non poter piacere per merito del proprio volto e allora escogita di farsi notare per l'ingegno; si dà a studiare seriamente e finisce col riuscire interessante, a dispetto del suo fisico.

La bella, invece, non ha che da mostrarsi in pubblico per piacere; la sua vanità è soddisfatta e, poiché non riflette mai, ella non pensa che la bellezza dura soltanto una stagione; d'altra parte, è talmente occupata dal proprio abbigliamento e dalla cura di non mancare a un solo ricevimento, pur di farvisi vedere e ricevere complimenti, che non avrebbe il tempo di coltivare la propria mente, neppure se lo ritenesse necessario. Così diventa una sciocca, interamente presa da futilità, cianfrusaglie, spettacoli, e via di questo passo fino ai trenta, ai quarant'anni e anche più, a meno che il vaiolo o qualche altra malattia non vengano a mettervi lo zampino e, anche prima di quest'epoca, non abbiano già compromesso la sua bellezza. Ma quando la gioventù è passata, è difficile imparare qualcosa: ecco quindi la bella fanciulla d'un tempo, e che adesso non lo è più, restare una sciocca per tutta la vita, e questo anche se la natura le ha dato altrettanta intelligenza d'un'altra; la brutta, invece, divenuta assai simpatica, tiene in non cale le malattie e la vecchiaia, tutte cose che non possono toglierle nulla di quanto ella ha acquistato.

Dopo aver letto questa lettera, che sembrava scritta apposta per lei, Bruttina decise di approfittare delle verità che vi aveva scoperte: rimandò a chiamare i suoi insegnanti, si dedicò alla lettura e alla riflessione, insomma: in poco tempo diventò una fanciulla di gran merito. Ormai, quand'era costretta a seguire la madre in società, si metteva sempre accanto alle persone che le sembravano più intelligenti ed assennate; rivolgeva loro delle domande, e teneva a mente le cose interessanti che aveva sentite; anzi, prese perfino l'abitudine di scriverle, per poterle meglio ricordare. A diciassette anni, parlava e scriveva così bene che tutte le persone di merito si facevano un piacere di conoscerla e d'intrattenere una corrispondenza con lei.

Le due gemelle presero marito nello stesso giorno: Belloccia sposò un giovane principe, molto avvenente, il quale aveva solo ventidue anni. Bruttina sposò il ministro di quest'ultimo, un uomo già di quarantadue anni: egli aveva apprezzato l'ingegno di quella fanciulla e la stimava molto giacché, quanto all'amore, il viso di lei non era certo dei più adatti a ispirarne; egli aveva confessato a Bruttina che era solo amicizia quel che provava per lei, ma, per l'appunto, ella non chiedeva altro: non era gelosa di sua sorella, la quale sposava un principe, e per giunta talmente innamorato, che non poteva lasciarla un solo minuto e sognava di lei tutta la notte!

La felicità di Belloccia durò tre mesi; ma, passati questi, suo marito, che l'aveva vista tanto quanto voleva, cominciò ad abituarsi alla sua bellezza e a pensare che non era giusto rinunciare ad ogni altra cosa per una moglie. Così si rimise ad andare a caccia e ad altri divertimenti dove Belloccia non si recava, cosa che a lei sembrò subito molto strana, perché si era messa in testa che il marito l'avrebbe sempre amata con la stessa intensità: quando vide che l'amore di lui stava diminuendo, si credette la donna più infelice del mondo. Gli fece delle rimostranze, lui s'inquietò, poi fecero pace; ma ogni giorno le lagnanze ricominciavano e allora il principe si stancò di sentirle.

Nel frattempo ella aveva avuto un bambino, ed era molto dimagrita, con grave danno della sua bellezza cosicché il marito, che proprio di quella bellezza si era invaghito, non l'amò più affatto. Il dispiacere ch'ella ne provò finì con lo sciupare anche il suo volto, e poiché lei non sapeva nulla, la sua conversazione si rivelò delle più noiose: i giovani si annoiavano con lei, perché era triste; le persone più assennate e d'età si annoiavano anch'esse perché era sciocca; così Belloccia finiva con lo starsene sola per quasi tutta la giornata. Quel che aumentò la sua disperazione, fu il vedere che sua sorella Bruttina era divenuta la più felice donna del mondo: il marito la consultava sui propri affari, seguiva i suoi consigli e andava dicendo a tutti che la moglie era il miglior amico che avesse al mondo. Perfino il Principe, che era uomo di spirito, si divertiva a conversare con la cognata, mentre invece diceva apertamente che non c'era modo di restare una sola mezz'oretta con Belloccia senza morire dagli sbadigli, perché lei non parlava d'altro che di acconciature e di vestiti, tutte cose che non lo interessavano affatto. Il suo disgusto per la moglie crebbe a tal punto ch'egli decise di mandarla in campagna, dove lei avrebbe avuto tutto il tempo di annoiarsi e forse sarebbe morta d'inedia se sua sorella Bruttina non avesse avuto la bontà di andarla a trovare il più spesso possibile. Un giorno che quest'ultima cercava di consolarla, Belloccia le disse: "Ma, sorella mia, da dove viene tanta differenza fra noi due? Io non posso fare a meno di riconoscere che voi siete piena di spirito e che io sono una sciocca; però quand'eravamo bambine, la gente diceva che io ero per lo meno altrettanto intelligente quanto voi". Bruttina, allora raccontò la storia del libro alla sorella e le disse: "Voi siete molto sdegnata contro vostro marito perché vi ha mandata in campagna; eppure, questa cosa che voi considerate come la più grande disgrazia della vostra vita, può fare la vostra felicità, purché lo vogliate. Voi non avete ancora diciannove anni: sarebbe troppo tardi per studiare se vi trovaste in mezzo alla dissipazione della città, ma la solitudine in cui vivete vi lascia tutto il tempo necessario per coltivarvi la mente. Il cervello non vi manca, sorella mia, ma dovete adornarlo con la riflessione e la lettura". Dapprincipio, Belloccia trovò molta difficoltà a seguire i consigli di sua sorella, essendo abituata a perder tempo in stupidaggini; ma, a furia di sforzarsi, finì col riuscirvi e fece sorprendenti progressi in tutti i campi del sapere. A mano a mano che si faceva più assennata e la filosofia la consolava delle sue disgrazie, ritornò florida, piacente e diventò più bella di quanto non lo fosse mai stata; ma non se ne preoccupava davvero più: non si degnava neppure di guardarsi allo specchio!

Però intanto il marito era rimasto così disgustato di lei che volle far annullare il matrimonio. Quest'ultima sventura fu lì lì per portarla alla disperazione, giacché ella amava teneramente suo marito; ma Bruttina tanto fece che la consolò. "Non affliggetevi troppo", le diceva, "io conosco il modo di restituirvi vostro marito: basta che seguiate i miei consigli e non vi preoccupiate di nulla."

Il Principe aveva avuto un figlio da Belloccia, quindi, avendo già un erede, non gli premeva di prendersi un'altra moglie e pensò solo a divertirsi più che potè. La conversazione di Bruttina però gli piaceva moltissimo: talvolta le diceva che non si sarebbe mai risposato, a meno di trovare una donna tanto intelligente quanto lei. "E se fosse tanto brutta quanto me?", lei rispondeva ridendo. "In verità, signora", le diceva il Principe, "la cosa non mi preoccuperebbe affatto: ci si abitua a vedere un brutto viso: il vostro non mi fa più nessuna impressione, dato che ormai sono abituato a vedervi; e poi, quando parlate, poco ci manca che non vi trovi graziosa! Inoltre, per esser sincero, Belloccia mi ha disgustato delle belle donne: tutte le volte che ne incontro una. non oso più parlare con lei, nel timore di sentirle dire qualche stupidaggine."

Nel frattempo, giunse il carnevale: il Principe, per divertirsi di più, pensò di andare a qualche ballo senza essere riconosciuto da alcuno. Lo confidò soltanto a Bruttina, pregandola di essere sua compagna di maschera: ella era sua cognata, e nessuno avrebbe potuto trovarvi a ridire; anche se poi la cosa si scopriva, non poteva nuocere alla sua reputazione. Bruttina però ne chiese il permesso al marito, il quale disse di sì tanto più volentieri in quanto era stato proprio lui a mettere questo capriccio in testa al Principe, per riuscire nel proprio intento di riconciliarlo con Belloccia. D'accordo con sua moglie, egli scrisse alla Principessa ripudiata, e Bruttina indicò perfino alla sorella il modo in cui il Principe si sarebbe travestito. Così, nel bel mezzo della festa, Belloccia venne a sedersi fra il marito e la sorella, ed iniziò con loro una conversazione estremamente piacevole: in un primo momento, al Principe sembrò di riconoscere la voce di sua moglie; ma ella non aveva parlato neppure cinque minuti che lui perdette del tutto tale sospetto. Il resto della nottata passò così veloce, o almeno così gli sembrò, che quando spuntò il sole, lui si stropicciò gli occhi, credendo di sognare: era incantato da tutto lo spirito della dama sconosciuta, alla quale però non era riuscito a far togliere la maschera; tutto ciò che aveva potuto ottenere, era soltanto ch'ella sarebbe tornata al prossimo ballo e con la stessa mascheratura.

A questo ballo, il Principe fu fra i primi a intervenire; la sconosciuta arrivò un quarto d'ora più tardi, e lui già l'accusò di pigrizia, giurandole che gli era parso d'aspettare un'ora. Questa volta, fu ancora più entusiasta di lei che la prima, e confidò a Bruttina d'essersi pazzamente innamorato di quella signora. "Riconosco che è piena di spirito", gli rispose la sua confidente; "ma, se volete che vi dica tutto il mio pensiero, ho tanto idea che sia ancora più brutta di me: si è accorta che ne siete innamorato e ha paura di perdere il vostro cuore, mostrandovi il viso." "Ah signora!" esclamò il Principe, "se lei potesse leggere nell'animo mio! L'amore che mi ha ispirato non dipende dalle sue fattezze: io ammiro il suo acume, la vastità della sua cultura, la superiorità della sua mente e la bontà del suo cuore." "Ma come potete giudicare anche della bontà del suo cuore?", gli disse Bruttina. "Ve lo dirò subito", rispose il Principe: "quando le ho fatto notare alcune belle donne, lei le ha sinceramente lodate; mi ha perfino fatto osservare certe loro bellezze che mi erano sfuggite. Quando, per metterla alla prova, ho voluto raccontarle le dicerie che circolano sulle stesse signore, lei ha cercato di cambiare discorso, oppure mi ha interrotto, per raccontarmi qualche buona azione delle medesime; alla fine, quando io ho voluto continuare, lei mi ha chiuso la bocca, dicendomi di non poter soffrire la maldicenza. Vedete un po', signora, se una donna che non è affatto gelosa di quelle che son belle, una donna che gode a dir bene del prossimo, una donna che non sopporta i pettegolezzi, possa non avere un ottimo carattere e un cuor d'oro! Cosa mi manca, per essere felice con una donna simile, anche se è brutta quanto voi pensate? Son deciso a rivelarle il mio nome e ad offrirle di dividere con me il potere!" Infatti, nella prima festa che seguì, il Principe rivelò alla sconosciuta la propria identità e le disse che per lui non c'era più felicità da sperare, s'egli non otteneva la sua mano; ma, nonostante le sue proposte, Belloccia si ostinò a tenersi la maschera, così come aveva stabilito con la sorella.

Ecco dunque il nostro povero Principe in un terribile imbarazzo: egli pensava, alla stregua di Bruttina, che quella signora così intelligente doveva essere un mostro, se aveva tanta ripugnanza a lasciarsi vedere; ma, sebbene se la dipingesse sotto le tinte più sgradevoli, la cosa non diminuiva l'attaccamento, il rispetto e la stima ch'egli aveva concepito per il suo spirito e per la sua virtù. Stava quasi per ammalarsi dal dispiacere, allorquando la sconosciuta gli disse: "Vi amo, mio Principe, né tenterò affatto di nascondervelo; ma più il mio amore è grande più pavento di perdervi quando mi vedrete. Voi credete forse che io abbia grandi occhi, una bocca piccolina, bei denti, un colorito di gigli e rose; e se per caso avessi gli occhi storti, un naso camuso, una brutta dentatura? Son sicura che allora vi affrettereste a pregarmi di rimettere la maschera! Inoltre, quand'anche non fossi così orribile, so che siete incostante: avete amato Belloccia alla follia eppure adesso non la potete soffrire!" "Ah signora!", la interruppe il Principe, "siate giusta con me: io ero giovane quando sposai Belloccia e vi confesso che non avevo pensato ad altro che a guardarla, e mai ad ascoltarla; ma quando fui suo marito e l'abitudine di vederla ebbe calmato i miei ardori, credete forse che la mia situazione fosse molto piacevole? Quando ero solo con mia moglie, lei mi parlava d'un abito nuovo che doveva indossare il giorno dopo, delle scarpe di questa, dei diamanti di quella. Se avevamo a tavola una persona intelligente e si voleva parlare di cose serie, Belloccia incominciava a sbadigliare e finiva coll'addormentarsi. Io cercai di spingerla a istruirsi, ma lei si spazientì; era così ignorante che io stavo sulle spine ogniqualvolta lei apriva bocca. Del resto, aveva tutti i difetti delle sciocche: quando si era ficcata una cosa in testa, non c'era verso di levargliela, anche con mille ragionamenti, giacché non poteva capirli. Inoltre era gelosa, maldicente, sospettosa. Se almeno mi avesse permesso di distrarmi in qualche altra maniera io mi sarei rassegnato: e invece, macché? Lei non la intendeva così: avrebbe voluto che quella stolta passione da lei ispiratami fosse durata tutta la vita e mi avesse reso suo schiavo. E adesso, dite se non mi ha messo nella necessità di far annullare il nostro matrimonio!" "Confesso ch'eravate da compiangere", gli rispose la sconosciuta; "ma tutte queste cose non mi tranquillizzano affatto. Voi dite d'amarmi: vediamo un pò se avete tanto coraggio da sposarmi al cospetto di tutti i vostri sudditi, senza avermi veduta!" "Io sono il più felice degli uomini, se non mi chiedete che questo", rispose il Principe. "Venite al mio palazzo insieme a Bruttina: domattina, farò riunire tutto il consiglio, per sposarvi in sua presenza."

Il resto della nottata parve al Principe un'eternità. Prima di lasciare la festa egli si tolse la maschera, ordinò ai signori della Corte di recarsi al palazzo e fece avvertire tutti i ministri. Poi, dinanzi ad essi, raccontò quel che gli era accaduto con la signora sconosciuta; terminato questo discorso, giurò di non voler mai più altra sposa che lei, indipendentemente da come poteva essere il suo volto. Non vi fu alcuno il quale non credesse, come il Principe, che la donna ch'egli sposava così, ad occhi chiusi, non fosse orribile a vedere: ma quale fu la sorpresa di tutti gli astanti, quando Belloccia, essendosi tolta la maschera, mostrò loro il più splendido volto che si possa immaginare! Il più strano si è che né il Principe né gli altri la riconobbero in un primo momento, tanto la tranquillità e la solitudine l'avevano imbellita. Tutti si limitavano a sussurrarsi all'orecchio che la prima moglie rassomigliava a quest'altra, ma in brutto. Il Principe non stava più in sé per la gioia d'aver preso un granchio così bello e non gli riusciva di dire una parola: ma Bruttina ruppe il silenzio per felicitare la sorella dell'amore che il suo sposo le aveva restituito. "Possibile?", esclamò il Principe; "questa donna intelligente e spiritosa è veramente Belloccia? Per quale incantesimo ella è riuscita a unire alle grazie della sua persona, quelle doti di mente e di carattere che le facevano totalmente difetto? Qual è la provvida fata che operò tale miracolo in suo favore?" "Non c'è nessun miracolo", rispose Belloccia: "io avevo trascurato di coltivare i miei talenti; le mie grandi sventure, la solitudine e i consigli di mia sorella m'hanno aperto gli occhi, spingendomi a conquistare delle grazie che possano sfidare anche il tempo e le malattie!" "E sono state queste grazie a ispirarmi un affetto che possa sfidare l'incostanza!", le disse il Principe abbracciandola.
E difatti l'amò per tutta la vita con una fedeltà che le fece dimenticare tutti i dispiaceri passati.


Annamaria... a dopo

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