IL PERSONAGGIO
La vita segreta di Ann
mamma di Barack Obama
ERA un'incosciente realista, una sognatrice pragmatica, una brava ragazzina della Grande Prateria sedotta dall'inquietudine del mondo oltre gli orizzonti infiniti del Kansas e i campi di pannocchie tra le quali era nata. Era la madre di Barack Hussein Obama. Una donna scandalosa che ha prodotto lo scandalo politico con il quale ancora oggi non tutta l'America si è davvero riconciliata. Il primo capo dello Stato meticcio, bianco e nero, afro e anglo, nella storia degli Stati Uniti.
Anche dopo due anni e mezzo di presidenza, rievocazioni filiali, ricerche e lunghissimi articoli, la storia di Stanley Ann Dunham coniugata Obama, poi coniugata Soetoro, poi destinata a morire "single", rimane un mistero di psicologia umana, e femminile, che neppure la ricostruzione dei fatti e l'uso elettorale fatto di lei dal figlio con la tragedia della sua morte per cancro alle ovaie, hanno davvero mai illuminato. Ci ha provato, ora, Janny Scott, scrittrice e reporter per il New York Times che ha consumato tre anni di lavoro e ore di interviste anche con Barack Obama per strappare finalmente la ragazzina del Kansas all'agiografia politica o alle insinuazioni malevole di chi odia suo figlio.
La biografia che ne è uscita ha un titolo che, come la donna che racconta, presenta una voluta ambiguità di senso: A Singular Woman, dove quell'aggettivo singular si presta a molte interpretazioni diverse, singolare, unica, ma anche strana, diversa. Ann, che il padre aveva voluto battezzare con il proprio nome d'uomo, Stanley,
perché aveva invano sognato un maschio, era nata nel 1942, in piena guerra, in una città anch'essa molto singular, Wichita, nel Kansas. Wichita, fino a quell'anno un qualsiasi crocevia nel mezzo del ventre agricolo del Midwest, sarebbe esplosa nella produzione di aerei militari, fino al B29 Enola Gay che avrebbe polverizzato Hiroshima. Da agricola a industriale, da sonnacchiosa a incubatrice del sindacalismo più duro, da super democratica rooseveltiana a ultra conservatrice reazionaria, fino al tentativo di mettere al bando l'evoluzionismo darwinista ed escluderlo dai corsi scolastici a favore del creazionismo biblico, Wichita è stata per mezzo secolo l'incubatrice delle inquietudini americane.Anche dopo due anni e mezzo di presidenza, rievocazioni filiali, ricerche e lunghissimi articoli, la storia di Stanley Ann Dunham coniugata Obama, poi coniugata Soetoro, poi destinata a morire "single", rimane un mistero di psicologia umana, e femminile, che neppure la ricostruzione dei fatti e l'uso elettorale fatto di lei dal figlio con la tragedia della sua morte per cancro alle ovaie, hanno davvero mai illuminato. Ci ha provato, ora, Janny Scott, scrittrice e reporter per il New York Times che ha consumato tre anni di lavoro e ore di interviste anche con Barack Obama per strappare finalmente la ragazzina del Kansas all'agiografia politica o alle insinuazioni malevole di chi odia suo figlio.
La biografia che ne è uscita ha un titolo che, come la donna che racconta, presenta una voluta ambiguità di senso: A Singular Woman, dove quell'aggettivo singular si presta a molte interpretazioni diverse, singolare, unica, ma anche strana, diversa. Ann, che il padre aveva voluto battezzare con il proprio nome d'uomo, Stanley,
In questa America apparentemente dai brividi ribellistici dei figli della guerra cresciuti nella stucchevole prosperità da American Graffiti anni Cinquanta, Stanley Dunham, che aveva abbandonato il nome maschile per farsi identificare da allora soltanto come Ann, è il ritratto della ragazzina in calzette bianche, ballerine senza tacchi e gonne con sottogonne a sbuffo ritratta nell'album del liceo. Non bella e non brutta, carina senza glamour nel visino affilato, con il mento appuntito che il figlio avrebbe ereditato da lei, era una donna destinata alla vita famigliare, alla casetta da telefilm nei sobborghi, ai sermoni domenicali e alle sagre della torta di mele.
Se il padre, al ritorno dal fronte, non l'avesse infettata con il virus del wanderlust, dell'irrequietezza e degli spostamenti. Venditore di mobilio, archetipo del commesso viaggiatore senza pace, Stanley Dunham portò moglie e figlia verso l'Ovest, quell'orizzonte verso il quale l'America ruzzola come i tumbleweed, i cespugli senza radici. Prima la California, poi lo stato di Washington e poi oltre il Pacifico, alle Hawaii, dove Ann si iscrisse all'Università e segnò per amore la storia futura americana. Fu alle Hawaii che conobbe un giovane e brillante studente kenyano, il primo africano ammesso in quel college, Barack Obama senior, e se ne innamorò sposandolo e dandogli un bambino. Barack Obama jr.
Ma il suo inarrestabile ruzzolare seguendo il corso del sole non era finito. All'abbandono da parte del marito, che la lasciò sola per seguire il prestigio di un titolo ad Harvard, a Boston, e poi per tornare in Kenya al momento dell'indipendenza dall'impero britannico, Ann si staccò anche dall'ultimo brandello di territorio americano per seguire un nuovo marito, Lolo Saetoro, uno studente indonesiano, a Giakarta. E neppure l'Indonesia, il mondo tanto lontano e diverso, esotico, accogliente, crudele, dove da poco tempo il massacro sistematico dei comunisti aveva insediato il regime di Suharto alla guida della più grande nazione musulmana del pianeta, le bastò. Lasciò il marito, insofferente al familismo opprimente della cultura locale, affidò il bambino Barack ai nonni che lo cresceranno senza di lei nelle Hawaii, e si gettò, con ogni forza, nell'antropologia, nello studio della gente, e della sociologia della povertà nel Terzo Mondo, fino a un dottorato. Nella sua dissertazione finale, teorizzò per prima quella formula dei microcrediti per le aziende famigliari e soprattutto per l'artigianato femminile che oggi è strategia internazionale ufficiale.
Divenne, inesorabilmente, una figura lontana per il figlio, che infatti nelle memorie investe i nonni nella Hawaii del suo affetto e della sua riconoscenza. Nella sua prima autobiografia, Ann, la madre, è a malapena ricordata, con appannato affetto, e con il rimpianto di avere poco conosciuto lei, come per niente conobbe il padre. "Il mio rammarico è di non essere stata una buona madre, di non avere goduto degli anni più belli di mio figlio, quando prese la laurea in legge ad Harvard e poi cominciò la carriera politica a Chicago" ricordava, anche qui con una formula bivalente, che può essere letta come un rimprovero al figlio, per averla esclusa dalla sua vita, o come un rimprovero a se stessa. Tornò a vivere, con sospetta prepotenza, nella vita del figlio dopo la morte, nel 1995, alla Hawaii dove era tornata dal Pakistan, sempre incapace di restare troppo a lungo radicata in un luogo.
Divenne, nella campagna elettorale obamiana del 2008, il triste e un po' trito santino dello scandalo sanitario nazionale. Barack la usava per denunciare la crudeltà del sistema assicurativo privato, narrando che Ann aveva consumato gli ultimi anni della propria vita lottando contro un colosso delle assicurazioni, la Cigna, che voleva toglierle ogni copertura sospettando che lei fosse già malata quando aveva sottoscritto la polizza.
Eppure lei, la piccola ingenua venuta dal Kansas che confessò di essere ancora vergine quando conobbe il primo marito e il primo uomo della sua vita, Barack senior, l'antropologa che aveva lasciato tutto per seguire la sua vocazione di pacifista e internazionalista dedita alla lotta contro la povertà, avrebbe confidato regolarmente alla figlia avuta dal secondo marito indonesiano l'orgoglio, l'amore insoddisfatto, per quel ragazzo divenuto uomo di successo, all'altro capo del mondo. "Barack era un bambino brillantissimo, intelligente, irrequieto, ansioso di conoscere e di vedere tutto, nelle scuole private e pubbliche di Giacarta" raccontava alla figlia.
"Cercò di sapere e di leggere tutto di lui, da lontano", ricordano gli amici, impresa non facile negli anni in cui l'informazione erano i ritagli di giornali arrivati per posta. "Io sentivo il suo amore immenso, che mi ha sempre seguito nella vita", dice oggi il Presidente all'autrice del libro, ma non serve essere troppo cinici per avvertire un sapore artificiale, in questa dichiarazione d'amore postuma. "È stata lei a insegnarmi che sotto la superficie siamo tutti esseri umani, con il bene e il male dentro di noi. Capisco che questo fosse il suo idealismo ingenuo, figlio di un'altra epoca, ma molto di quel suo idealismo lei lo ha passato a me. Sono il figlio di mia madre".
Poco prima di morire, Ann Dunham nata Stanley lesse il manoscritto delle memorie del figlio, I sogni di mio padre e scoprì che era tutto centrato sulla figura di quell'uomo che pure Obama non aveva mai davvero conosciuto, se non per un breve incontro alla Hawaii quando il futuro presidente aveva dieci anni e il padre lo aveva portato a un concerto di Dave Brubeck, il grande pianista di jazz. "Non si lamentò, non protestò, non fece sapere a Obama se si fosse dispiaciuta, perché lei non era fatta così" dirà la figlia Saetoro-Ng. Morì sola, alla Hawaii, a diecimila chilometri dal figlio che ora dice di portare il rimorso di quella lontananza. Come sempre, per madre e figlio, troppo tardi. Anche per un Mister President.
da La Repubblica
Bellissima la biografia di questa donna eccezionale, migliore del figlio, direi.
RispondiEliminaPrima di tutto, ti rileggo con enorme piacere, Caterina♥ Dicono che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna...e stavolta se di grande uomo si tratta, certamente c'è stata una grande madre. Maria.sa
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