Mi trovo pienamente d'accordo con questo amaro sfogo di un amico sardo..
 SULCIS IN FUNDO
L’isola in cui sono nato non è più Italia.  E’ come un’appendice lontana, una colonia dimenticata, un’obsolescenza  del passato. La Sardegna, per il governo Berlusconi, i  media e per la sinistra radical chic (che accetta le bufale del  finto mercato come un Vangelo) è un luogo metafisico, un non-luogo.  Non più il primo nucleo dello Stato unitario. Non il cuore della  Brigata Sassari che fece cantare il Piave nella Grande guerra (con i  pastori sardi che accendevano i tubi di gelatina fumando il sigaro al  contrario). E nemmeno la terra di Lussu,Gramsci, una raffica di  presidenti della Repubblica, i Segni, Cossiga, Enrico Berlinguer. C’è  qualcosa della Sardegna che vorrebbero salvare: i porticcioli off  shore, il Billionaire la Costa Smeralda degli sceicchi,  l’immaterialità del turismo pataccone, la Certosa. Ma visto che in  Sardegna i sudditi hanno già votato, è come se fosse stato cancellato un  popolo. C’è stato un gran dibattito sul simbolo dei 4 mori, in questi  anni. Gli storici ci hanno detto: non avevano le bende sugli occhi, come  gli schiavi, ma sulla fronte, come i marinai. Non so se sia vero. So  che oggi i mori sono schiavi. Non degli spagnoli, ma di questa idea  predatoria.
 Un popolo, per trovare un lavoro onesto si è infilato nelle  miniere, ha abbandonato i pascoli per farsi esercito operaio, ha  accettato di avvelenare il suo mare perché i signori della chimica  volevano attraccare qui, e le servitù militari spolverate di uranio  perché non si poteva dir no. Ora, questo popolo, dovrebbe sopportare un  educato genocidio. Penso all’Alcoa, mi viene in mente un volto. Claudia,  moglie di un operaio ferita dalla crisi. Per farsi pagare una fattura,  ha dovuto prendere una tanica di benzina e minacciare di darsi fuoco. E’  venuta a Roma a battere il caschetto davanti a Montecitorio. Così come  tutti gli altri, stanca di essere sbeffeggiata, ha occupato. La Sardegna  è la metafora di una modernità inumana e feroce: Sulcis in fundo. Ma  per tutti noi. 
da Il Fatto Quotidiano del 6 febbraio 2010
da Il Fatto Quotidiano del 6 febbraio 2010



 
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Posso dare un consiglio agli amici sardi che amo come fratelli? Facciamoci sentire ma senza considerare le istituzioni, gli imprenditori, le opinioni in genere come nemici. Facciamo richieste pressanti, spieghiamo bene i motivi dei nostri dissensi, chiediamo giustizia ma anche sviluppo ed impegni precisi anche su campi diversi da quelli esistenti. Non siamo qui per litigare ma per trovare soluzioni ai nostri problemi. Non diamo per scontato di avere tutti contro. Tanto, se scartiamo tutti non troveremo amici. Tanti cari saluti e Fortza paris.
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