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giovedì 5 agosto 2010

CORSO DI ITALIANO - Docente ENZO..(corso quasi serio -"lezione 7")


Lesione n°7                                                                            


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKXqPRcEcfFsFgVO2ktQIKzC5t_YaZyoxfEUPYieQJq0kdew9L7Vues-hYpvwWrAy3Lx-BfOvU1qO6UwX_Du-DvJWwrIA4ug-UtT4W7T49a0-MLKXi7gKO5ySNgJ4OXh8RAYbrX7kkjgZP/s200/100_0251.JPG

             enzo

 
              


L’IMPORTANZA DEGLI ACCENTI

Qualunque parola noi pronunciamo, la voce poggia su una vocale.
Questa vocale su cui posa la voce può stare in fondo al vocabolo, cioè nell’ultima sillaba (libertà, virtù, beltà, signorilità, ecc. ); può essere nella penultima sillaba, come nella maggior parte dei vocaboli italiani (es. cammello, fiore, cattivo, cavallo, sugo, ecc.); oppure nella terzultima (anima, obolo, ottimo, stupido); o anche più indietro (ciò avviene raramente), nella quartultima sillaba, come nelle parole celebrano, dubitano, occupano, significano.

Quindi, si definiscono:

tronchi quei vocaboli che hanno l’accento sull’ultima sillaba

piani quei vocaboli che hanno l’accento sulla penultima sillaba

sdruccioli quei vocaboli che hanno l’accento sulla terzultima sillaba

bisdruccioli quei vocaboli che hanno l’accento sulla quartultima sillaba

Attenzione però.
Quando due monosillabi si scrivono allo stesso modo ma hanno significati differenti l’accento va messo.

Diamo un elenco di monosillabi distinguendo quando l’accento si deve e quando invece NON si deve assolutamente mettere.

N.B. In proposito si leggono molti strafalcioni in giro, e non parliamo delle chat.

SENZA ACCENTO CON ACCENTO

da (preposizione): dà (voce del verbo dare):
Vengo da casa. Nessuno mi dà retta.

di (preposizione): dì (nome: giorno):
Città di Roma. Attesi tutto il dì.

la (articolo): là (avverbio di luogo):
Aprimmo la finestra. Aspettami là.


li (pronome): lì (avverbio di luogo):
Invano li aspettai. Giaceva lì sul tappeto.


te (pronome): tè (nome: bevanda)
Aspettavamo solo te. La padrona offrì il tè.

si (pronome): sì (avverbio di affermazione):
il poveretto si uccise. I ragazzi risposero sì

ne (pronome): né (negazione):
Ne vennero alcuni Né uomini né donne.

che (pronome o congiunzione): ché (congiunzione: perché):
Can che abbaia non morde. Si sedette, ché era stanco.
So che non puoi venire. Pallida, ché era malata.

e (congiunzione): è (voce del verbo essere):
Guardie e ladri. Il padrone è assente.

se (congiunzione): sé (pronome):
Non so se verrò. Faceva tutto da sé.


CHIARO? Credo di sì (notate l’accento) !

RICORDATE ANCHE CHE … qui e qua NON vogliono l’accento!

Restiamo ancora nel campo degli accenti: ce ne sono tre tipi: accento acuto, accento grave e accento circonflesso.

ACCENTO ACUTO: accento che indica la pronuncia chiusa della vocale accentata. Tale accento volta a destra.
Es. perché, né, sé.

ACCENTO GRAVE: accento che indica la pronuncia aperta della vocale accentata. Tale accento volta a sinistra.
Es.: accètta.

ACCENTO CIRCONFLESSO (^): questo accento è quasi disusato… oh, pardon… non si usa (quasi) più. Esso si usa talvolta per segnalare una contrazione di lettere, particolarmente in poesia.

Fine lezione n° 7

Enzo 



martedì 3 agosto 2010

CORSO DI ITALIANO - corso semiserio -.Docente : ENZO


Lezione n. 6                   


                                            


                                              Lezione n. 1 il 14-06-2010
                                              Lezione n. 2 il 22-06-2010
                                              Lezione n. 3 il 29-06-2010
                                              Lezione n. 4 il 05-07-2010
                                              Lezione n. 5 il 24-07-2010

IL PUNTO INTERROGATIVO E IL PUNTO ESCLAMATIVO

Il punto interrogativo (?) serve a concludere una domanda diretta. Peccato che, essendo collocato alla fine della domanda, talvolta chi legge non si accorge per tempo che la frase ha valore interrogativo. Per questa ragione, in qualche lingua, compreso lo spagnolo, il segno interrogativo è posto anche all’inizio della frase interrogativa.
Chiaro, no? Bene!

IL punto esclamativo (!)  è il segno che esprime:
-       meraviglia,
-       stupore,
-       gioia,
-       dolore o altro sentimento:

es.:      Baciami!
            Com’è bello!
            Che stupido!
            Ciao!
            Non ti voglio più vedere!
            Oh, come sono felice!
            Buona notte a tutti!
            ecc.

Ricordate bene la regola: quando dopo  il punto interrogativo e dopo il punto esclamativo essi chiudono compiutamente un periodo, il periodo che segue  si inizia con la lettera MAIUSCOLA.

Es. Tu vuoi ingannarmi? Tu mi  vuoi nascondere  l’oggetto più prezioso? Tu insisti nel tuo atteggiamento?  

Ma vediamo ora il rovescio della medaglia. Infatti, quando più proposizioni esclamative o interrogative si seguono, avendo stretta relazione tra loro, sicché l’una, spiega, rafforza, giustifica la seguente, dopo il segno di interrogazione o di esclamazione si userà la lettera MINUSCOLA.

Es.:     “Che preziosa visita è questa! e quanto apprezzo la tua buona educazione, e come ti ammiro per questo.


I puntini sospensivi … (sono tre e non due o quattro)

Si chiamano anche punti di reticenza. Sono anch’essi un segno d’interpunzione, e molto importante, ma non tutti sanno usarli bene; altri, addirittura non li conoscono neppure, o li conoscono fin troppo seminandoli come coriandoli in tutto lo scritto. Con essi si sospende a metà una frase, riprendendola subito dopo, o lasciandola addirittura incompiuta.
Domanda: quando si fa questa sospensione? In quattro casi, eccoli:

1. caso:           quando si vuol fare una pausa di dubbio, affanno o agitazione da                             qualche passione;

2. caso:           quando si vuole tacere qualcosa che non si vuole dire o non si può                    dire;

3. caso:           quando si vuole indugiare a dire qualcosa magari troppo forte o                                   troppo grave,

4. caso:           quando si vuole indicare graficamente una brusca interruzione del                discorso.

Dopo i puntini , niente maiuscola

Dopo i puntini sospensivi non si usa la maiuscola, salvo, ben inteso, il caso in cui essi chiudono definitivamente un periodo.
Esempio:

            “Ma parlerò io alla madre badessa, e una mia parola…e per una premura del padre guardiano…Insomma, dò la cosa per fatta. (Manzoni: frase tratta da I Promessi sposi)

Il trattino (-)

Il trattino si usa per unire due parole e ottenerne una composta (gioventù-bene), (l’autostrada Napoli-Roma), oppure per indicare il segno dell’a capo.Es. il voca-
bolario.

La lineetta (--)

E’ un segno po’ più lungo del trattino utilizzato per racchiudere un inciso.
Diciamo subito - per amore di chiarezza -  che cos’è un inciso: è una breve frase che si inserisce in un periodo, senza che ne cambi il significato e la struttura sintattica. Ecco l’inciso che nel nostro caso e’ la frase  per amore di chiarezza.
L’inciso lo potete inserire o togliere, ma il significato  della frase non viene modificato.
La lineetta è usata introdurre un discorso diretto cioè per riportare le parole che vengono dette; essa si colloca dopo i due punti  andando a capo e non è più ripetuta alla fine del discorso diretto.

Esempio:
            Quando gli fu alle spalle lo chiamò. Enrico si volse; e fu
            pronto ad alzarsi:  
      - Oh! chi si vede, - e gli tese la mano.
       Fausto lo abbracciò lo stesso; e ci resto male sentendo che
       Enrico  si tirava indietro.
      - Quando sei arrivato?
      - Oggi, -  rispose Fausto


Le virgolette

Si usano per aprire e chiudere il discorso diretto cioè le parole o frasi dette.
Possono essere basse (« ») oppure (“ “) alte.
Si possono anche usare per mettere in evidenza una parola o un modo di dire particolare o straniero.

Es.:  Egli era  “la pecosa nera” della famiglia.     


L’asterisco

Concludiamo con il segnetto più pittoresco (sembra una piccola stella): l’asterisco. Questo specie di fiorellino-stelletta  serve per:
-  segnare un richiamo a una nota in calce alla pagina,
-  o alla fine del capitolo
-  o alla fine del libro.
Ripetuto tre volte (o anche due) può fare le veci di un nome che l’autore non vuole citare.
Un esempio del Manzoni:

            Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni.

ENZO 


sabato 24 luglio 2010

CORSO DI ITALIANO - corso semiserio -.Docente : ENZO


Lezione n.5                     
                                              lezione n.1 in data 14-06-2010  
                                     lezione n.2 in data 22-06-2010

                               lezione n. 3 in data 29-06-2010
                                              Lezione n.. 4 in data  5-07-2010

La PUNTEGGIATURA

Il punto

Nei telegrammi  avrete notato che ogni tanto nel testo viene inserita una paroletta di origine inglese, ma ormai universalmente nota: stop.  Tutti sappiamo, anche perché rientra nella segnaletica stradale, che questa paroletta indica che bisogna fermarsi. Nella lettura del telegramma  fermarsi significa:

-       che un concetto è stato svolto;
-       che un periodo del discorso è concluso.

Quello stop corrisponde al segno che in grammatica si definisce punto fermo, o semplicemente  punto (.).
Osserviamo, per esempio, un brano d’uno scrittore del nostro secolo, Alfredo Panzini:
                        Mattino di primavera. Sedile dei giardini pubblici al margine del laghetto romantico dove vanno a spasso le oche bianche.
                        Dolce silenzio. Dolce sole. Cespugli di serenelle spandono il loro odorino amaro. Romeo e Giulietta siedono sul sedile. Romeo ricama in silenzio, col bastoncello, segni sconsolati sopra i sassolini. Giulietta si asciuga col fazzolettino una lacrima.

L’uso del punto, se anche non può essere altrettanto personale quanto quello della virgola, tuttavia non è uniforme nei vari autori: c’è chi si accontenta della virgola dove un altro metterebbe il punto, e c’è chi si rifugia in uno degli altri segni, in particolare il punto e virgola, del quale parleremo più avanti.

Il punto serve anche nelle abbreviazioni. Ricordiamo, per esempio:

on.      = onorevole              spett.              = spettabile
n.        = numero                             ecc.                 =  eccetera
avv.    = avvocato                           masch.           =  maschile
dott.    = dottore                               femm. =  femminile
ing.     = ingegnere             pres.               = presente
sost.    = sostantivo             fut.                 = fururo
agg.    = aggettivo                          fr.                    = francese
sign.   = signore                              ingl.               = inglese
egr.     = egregio                              ted.                 = tedesco

ATTENZIONE:
            Nelle iscrizioni, nei titoli dei libri, dei giornali, eccetera, nelle didascalie brevi (cioè non consistenti in una vera e propria frase) delle illustrazioni, per ragioni estetiche normalmente il punto NON si segna.



Il punto e virgola

Una via di mezzo tra il punto e la virgola è il segno detti punto e virgoletta


IL PUNTO E VIRGOLA

L’unica via di mezzo tra il punto e la virgola è il segno detto  punto e virgola (;): è un segno di interpunzione che non tutti sanno adoperare a dovere, anzi ci sono molti che non lo adoperano affatto perché non ne conoscono l’uso. Eppure è un segno che opportunamente collocato dà al suo discorso particolare forza ed evidenza.
Esso serve infatti a indicare un distacco maggiore di quello segnato dalla virgola, ma minore di quello segnato dal punto fermo; più precisamente serve a staccare i diversi elementi di uno stesso periodo senza tuttavia interromperne l’unità.
Fate bene attenzione a questo periodo dello scrittore Massimo Bontempelli, dove i successivi elementi del periodo, pur rimanendo collegati insieme, sono nettamente separati l’uno dall’altro:

Posò il libro senza chiuderlo; si alzò, tirò giù la sacca e se la mise accanto, ne tolse un astuccio e una scatola di fiammiferi e dall’astuccio una sigaretta: appoggiò sigaretta astuccio e scatola sul libro aperto.

Avrete osservato quanta sapiente distribuzione di pause, ora più lunghe (punti e virgola) ora più corte (virgole), in questo unico periodo: ne risulta un’immagine viva e immediata.
Un altro esempio:

Domani partiremo per Venezia; appena giunti prenderemo una gondola e ci recheremo in piazza San Marco; il resto del programma lo stabiliremo là per là.



I DUE PUNTI:

Anche i due punti (:) segnano naturalmente una pausa tra l’uno e l’altro membro di un periodo.  Ma che pausa? Il punto e virgola, lo abbiamo visto, indica una pausa un po’ più lunga della virgola; i due punti invece non sono né una pausa più lunga né una pausa pù corta,  ma piuttosto una pausa tutta particolare che puo essere ora più lunga ora più breve, ma sempre con caratteri propri.
La sua funzione più comune è quella di introdurre un discorso altrui; rappresenta cioè la pausa che uno fa quando nel racconto riferisce parole testuali di un’altra persona:

La donna allora risponse: “Sta bene, verrò da te, il mese prossimo.

Oppure si usa anche  per introdurre un’elencazione di persone o di cose:

Abbiamo ricevuto la seguente merce: due casse di vino bianco; tre casse di vino rosso; cinque fusti di olio di oliva.

Enzo

 Annamaria... a dopo

DIZIONARIETTO SPICCIOLO DI TERMINI GRAMMATICALI




ALTERATI,  NOMI  O AGGETTIVI

Nomi o aggettivi che sono modificati per mezzo di suffissi alterativi.
I suffissi,  che si mettono dopo il nome o l’aggettivo, si dividono in:

diminutivi: -ino, -ello, -erello;
Es.: ragazzino;

vezzeggiativi: - uccio, -etto, -ello
Es.: cavalluccio;

accrescitivi: -one, -acchione.

peggiorativi: -accio, -astro
Es.: palazzaccio.

ENZO 

Annamaria... a dopo