Cari amici , voglio ringraziarvi ancora una volta per tutti gli articoli che inviate.. siano essi poesie, segnalazioni , riflessioni ...questo sta a significare l'impegno e l'entusiasmo che abbiamo nel portare avanti un dialogo a distanza con la possibilità di esprimere i nostri pensieri a volte gioiosi altre meno... ma questa è la vita. A breve torneranno le lezioni umoristiche di Enzo. Un saluto particolare accompagnato da un grosso abbraccio oggi vanno a Caterina e Natalina.(Nat, stasera vado a nanna presto!)
Vera, ti ringrazio a nome di Ale e La, per il commento , domani sarò io a renderti la cortesia...
.grazie grazie grazie.e... a domani con le ricette di Maria. Vi anticipo che ci parlerà della polenta regalandoci gustose ricette, come sempre!
Per 15 volte l'hanno sgomberata, privata di ogni cosa e mandata a dormire per strada. Ora abita nascosta, in campagna. E resiste, perché vuole andare a scuola. Questa è l'Italia nel ventunesimo secolo
La piccola Giulia con la madre
Hanno provato a cacciare Giulia da Milano. Per 15 volte vigili, polizia, carabinieri l'hanno mandata a dormire sotto un ponte, su una panca, in un bosco. Giulia, 6 anni, è tra i bambini presi di mira dal pacchetto sicurezza. Trecentottantacinque sgomberi. Milioni e milioni di euro spesi in blitz e demolizioni. Intere famiglie lasciate senza riparo in pieno inverno. È la guerra del Comune. Eppure il sindaco del Pdl, Letizia Moratti e il suo vice, il deputato Riccardo De Corato, non avevano fatto i conti con una manciata di bambini come Giulia. Non li hanno considerati. E loro resistono. Anche se sono rom. Anche se il pregiudizio li ha sempre condannati a soccombere. Questa volta non si arrendono: semplicemente insistono ad andare a scuola. In una città dell'Unione europea dovrebbe essere normale. Ma nell'ex capitale morale d'Italia non lo è più.
Giulia di sgomberi ne ha già subiti 15. Per questo, quando vede un vigile o un poliziotto avvicinarsi alla mamma, si fa la pipì addosso. Non sempre è un controllo dei documenti. In città può capitare: passa un uomo in divisa, se ne va. Giulia ogni volta trema. Il suo terrore risale al primo grande sgombero. Quando altri scolari hanno perso quaderni e cartelle sotto le ruspe, in via Rubattino nei capannoni dismessi dell'ex Maserati e dell'ex Innocenti, ai margini di questa metropoli in cui quasi tutto adesso si chiama ex. Quel giovedì è il 19 novembre 2009, vigilia della giornata mondiale dei diritti del fanciullo.
Da allora Giulia continua a vivere nascosta, con i genitori e il fratello di 14 anni. Abitano nelle campagne a Nord di Milano. La sorella più grande, 18 anni, è partita con il marito per registrare all'anagrafe romena il loro bimbo nato a dicembre. Non hanno residenza in Italia. Quindi per il Comune di Milano quel bimbo non esiste. Solo che le traduzioni consolari dell'atto di nascita costano 80 euro. Il viaggio in pullman 120 euro a testa. E il papà non ha più soldi da parte. In due giorni, il 27 e il 28 dicembre, Giulia mangia soltanto un cornetto e una cioccolata al bar. Mamma e papà niente. Anche a Milano si soffre la fame.
Gli alberi e la terra bianchi di brina. Una baracca come rifugio. Ecco la piccola, avvolta nella sua giacca a vento rosa. Stamattina l'acqua nella tanica per lavarsi è dura come la roccia. Fa così freddo che i piccoli calzini appesi ad asciugare sono due stoccafissi. Giulia di calze a volte se ne deve infilare due paia. Un paio dentro le sue scarpe leggere. L'altro sopra le scarpe. Le servono per non scivolare sul fango. Oppure, in giornate sottozero come queste, per non cadere sulle grandi pozzanghere ghiacciate.
Giulia si sveglia alle cinque e mezzo. Si veste alla debole luce di una pila. Non c'è elettricità. Non c'è riscaldamento. Non c'è niente da mangiare per colazione. Tutte le mattine, cammina più di mezz'ora nei campi. Prende un autobus. Poi due treni della metropolitana. Un altro bus. E ancora un pezzo a piedi. Fino alla scuola elementare, quartiere Ortica, periferia Est di Milano. Due ore e mezzo all'andata. Due ore e mezzo al ritorno. Cinque ore di viaggio al giorno per stare con i compagni di classe. L'unico luogo dove Giulia è soltanto una bambina. E non una romena rom.
Essere rom in una città moderna dovrebbe rimanere un dettaglio personale. Come essere cristiano, musulmano, ebreo, ateo, lombardo, pugliese, immigrato... Ma nella città blindata nel mito della sicurezza, i rom hanno meno reputazione dei clandestini. Per questo il papà di Giulia, 38 anni, a Milano da dieci, non ha mai trovato un lavoro stabile. Come muratore ha costruito i padiglioni della nuova Fiera. Come carpentiere ha montato gli stand di Milano film festival. Paghe a giornata. Spesso metà al caporale italiano, metà a lui. Mai più di cinquecento euro al mese. E lunghe settimane senza niente da fare. "Siamo venuti a Milano con un sogno", racconta la mamma di Giulia, 35 anni: "Mettere da parte ottomila euro per comprare una casa in Romania. Abitavamo in tanti nella stessa stanza. Per questo siamo partiti. Noi non siamo nomadi, non abbiamo la roulotte. Ma non immaginavo che fosse così difficile. Soprattutto dopo gli sgomberi. Ogni volta abbiamo perso vestiti, coperte, pentole, materassi. E di sgomberi noi siamo a 15. Ormai quello che potevamo perdere, l'abbiamo perso".
Giulia di sgomberi ne ha già subiti 15. Per questo, quando vede un vigile o un poliziotto avvicinarsi alla mamma, si fa la pipì addosso. Non sempre è un controllo dei documenti. In città può capitare: passa un uomo in divisa, se ne va. Giulia ogni volta trema. Il suo terrore risale al primo grande sgombero. Quando altri scolari hanno perso quaderni e cartelle sotto le ruspe, in via Rubattino nei capannoni dismessi dell'ex Maserati e dell'ex Innocenti, ai margini di questa metropoli in cui quasi tutto adesso si chiama ex. Quel giovedì è il 19 novembre 2009, vigilia della giornata mondiale dei diritti del fanciullo.
Da allora Giulia continua a vivere nascosta, con i genitori e il fratello di 14 anni. Abitano nelle campagne a Nord di Milano. La sorella più grande, 18 anni, è partita con il marito per registrare all'anagrafe romena il loro bimbo nato a dicembre. Non hanno residenza in Italia. Quindi per il Comune di Milano quel bimbo non esiste. Solo che le traduzioni consolari dell'atto di nascita costano 80 euro. Il viaggio in pullman 120 euro a testa. E il papà non ha più soldi da parte. In due giorni, il 27 e il 28 dicembre, Giulia mangia soltanto un cornetto e una cioccolata al bar. Mamma e papà niente. Anche a Milano si soffre la fame.
Gli alberi e la terra bianchi di brina. Una baracca come rifugio. Ecco la piccola, avvolta nella sua giacca a vento rosa. Stamattina l'acqua nella tanica per lavarsi è dura come la roccia. Fa così freddo che i piccoli calzini appesi ad asciugare sono due stoccafissi. Giulia di calze a volte se ne deve infilare due paia. Un paio dentro le sue scarpe leggere. L'altro sopra le scarpe. Le servono per non scivolare sul fango. Oppure, in giornate sottozero come queste, per non cadere sulle grandi pozzanghere ghiacciate.
Giulia si sveglia alle cinque e mezzo. Si veste alla debole luce di una pila. Non c'è elettricità. Non c'è riscaldamento. Non c'è niente da mangiare per colazione. Tutte le mattine, cammina più di mezz'ora nei campi. Prende un autobus. Poi due treni della metropolitana. Un altro bus. E ancora un pezzo a piedi. Fino alla scuola elementare, quartiere Ortica, periferia Est di Milano. Due ore e mezzo all'andata. Due ore e mezzo al ritorno. Cinque ore di viaggio al giorno per stare con i compagni di classe. L'unico luogo dove Giulia è soltanto una bambina. E non una romena rom.
Essere rom in una città moderna dovrebbe rimanere un dettaglio personale. Come essere cristiano, musulmano, ebreo, ateo, lombardo, pugliese, immigrato... Ma nella città blindata nel mito della sicurezza, i rom hanno meno reputazione dei clandestini. Per questo il papà di Giulia, 38 anni, a Milano da dieci, non ha mai trovato un lavoro stabile. Come muratore ha costruito i padiglioni della nuova Fiera. Come carpentiere ha montato gli stand di Milano film festival. Paghe a giornata. Spesso metà al caporale italiano, metà a lui. Mai più di cinquecento euro al mese. E lunghe settimane senza niente da fare. "Siamo venuti a Milano con un sogno", racconta la mamma di Giulia, 35 anni: "Mettere da parte ottomila euro per comprare una casa in Romania. Abitavamo in tanti nella stessa stanza. Per questo siamo partiti. Noi non siamo nomadi, non abbiamo la roulotte. Ma non immaginavo che fosse così difficile. Soprattutto dopo gli sgomberi. Ogni volta abbiamo perso vestiti, coperte, pentole, materassi. E di sgomberi noi siamo a 15. Ormai quello che potevamo perdere, l'abbiamo perso".
fonte-l'espresso-
Fanfare Ciocarlia "Manea Cu Voca"
si ride, si piange
Una storia che sembra un romanzo. Una storia delicata. Sui rom e sul loro sistema di vita ci sarebbe molto da dire, ma gli aspetti umani delle loro storie concrete meritano rispetto, solidarietà. Solo che, nella marea di situazioni che si presentano, è quasi impossibile realizzare un qualche intervento, anche per gli effetti a ricaduta che provocherebbe.
RispondiElimina