C’era una volta un paese dove alla fine di luglio
o al massimo agli inizi di agosto, tutti i negozi
appendevano alle serrande il fatidico ed
immancabile cartello “Chiuso per ferie dal
1/8 al 31/8 ”. Più di uno allungava le ferie anche
alla prima settimana di settembre, agosto era
in ogni caso e da qualsiasi parte lo si prendesse,
una tragedia greca per gli scalognati (pochissimi)
che, a cavallo della settimana di ferragosto,
se restavano a casa correvano seri rischi di
rimanere letteralmente in preda all’inedia per
mancanza di viveri.
Ricordo che si ricorreva a quella vecchia
salumeria della periferia, in quel vecchio palazzo
rassomigliante più ad una masseria di campagna;
seppur con la serranda scrupolosamente
abbassata e chiusa per ferie, attraverso una
porticina nascosta dentro il palazzo, attraversando
più silenziosamente di un gatto la cucina e l’intero
appartamento del salumiere, si arrivava dietro il
bancone nella più completa penombra dell’esercizio
chiuso dove, quasi imitando la circospezione degli
spacciatori di droga, l’anziana grassa ma
benedetta dal cielo proprietaria, velocemente ti
impacchettava il filoncino di pane, la busta di latte e
due banane, il tutto ben occultato all’uscita dove, una
volta arrivati per strada, guardavi con sospettosa
prudenza intorno, per vedere se qualcuno ti avesse
notato (probabilmente più che i vigili era la vergogna
di essere individuato come il classico sfigato morto
di fame non in ferie).
Quell’unico lontano, “sgarrubato” e mimetizzato
negozio di alimentari, era la sola ancora di salvezza
per chi, per scelta o necessità, rimaneva a casa ad
agosto, anche se la stessa necessità veniva poi
ugualmente evidenziata nei periodi dei lunghi,
prolungati e numerosi ponti festivi, compreso
Natale.
E veniamo ai giorni nostri.
Io, insieme a più di cento colleghi della stessa
Amministrazione, il 1° maggio c.a. Festa del Lavoro,
ero in regolare sevizio per espletare i compiti di
istituto assegnati.
Prima di arrivare (di buon’ora) al mio posto di
servizio, ho potuto osservare, attraversando la città,
come la stessa già fervesse di una attività lavorativa
fuori del comune …Camion e camioncini che
scaricavano merce fuori le salumerie e supermercati,
bar già affollati, edicole aperte, serrande che si
alzavano, commesse e commessi che si affrettavano,
parcheggi auto già esauriti, ambulanti già in posizione
ed addirittura (??) i lavavetri e “vucumprà” pronti ai
semafori.
In quei brevi minuti la mia mente è volata agli ormai
anni lontani allorché in questo giorno, in una città
assolutamente deserta e dove gli unici esercizi aperti
erano la farmacia di turno e qualche bar, si aspettava
quello che poi era l’unico evento fuori del normale
per una piccola città di provincia: la famosa sfilata
dei lavoratori del 1° maggio.
Puntualmente alle dieci e per più di due ore, migliaia
e migliaia di lavoratori a piedi, sui mezzi più variopinti,
i lavoratori dei campi sui trattori, provenienti da tutta
la provincia, attraversavano il corso cittadino al suono
di bande e canti tra bandiere al vento.
Per noi ragazzini era una festa, ma si provava altresì
enorme rispetto ed affetto per quei volti abbronzati,
molti segnati dall’età e scavati dal duro lavoro.
Quella sfilata era il simbolo di una Italia che lavorava
duramente, ma che in quel giorno ti veniva a salutare
festosamente anche se rigorosamente austera,
contadina ed operaia, a ricordo delle sane origini.
…Ma questa è un’altra storia, (ragazzi mi sto
commovendo) una fotografia ormai ingiallita;
torniamo a noi, al recente 1° maggio che vi stavo
narrando.
Poco prima di chiudere il mio turno di servizio,
immancabilmente arriva la telefonata della cara
consorte che mi chiede se potevo, prima di rientrare,
approvvigionarmi di un po’ di pane.
Un problema alle ore 14,05 del 1° Maggio? Macchè!
Un bel panificio al centro continuava a sfornare
fragranti pani e panini; e già che c’ero, una bella
pasticceria mi ha fatto completare la spesa con dei dolci.
Pensate che nella prima serata la situazione era
diversa? …Ho visitato uno dei numerosi Ipermercati
( tutti aperti) e dove c’era molta più gente che nei
cosiddetti giorni normali. Una cosa che mi ha però
colpito, osservando con una certa attenzione gli sguardi
e gli atteggiamenti dei lavoratori, era una sorte di
intima rassegnazione al dover “volenti o dolenti”
assolvere al proprio lavoro in una giornata una volta
consacrata al più alto livello, al riposo ed alla festa.
Molti opporranno a questa mia considerazione la tesi
della ineluttabilità della moderna concezione del
commercio.
Bene! quindi mi aspetto il “tutto aperto” il giorno di
ferragosto, il 25 dicembre, il 1° gennaio ed a Pasqua.
Spero solo che ai lavoratori venga dato “quel che
si deve …(il giusto)” senza ricatti o piccoli sottobanco
( ma ci credo poco o nulla…).
Il caro cartello vecchio ed antiquato “CHIUSO PER FERIE”
purtroppo viene in questi tempi difficili sempre di più
sostituito con “CHIUSO PER CESSATA ATTIVITA”.
Speriamo che questi sacrifici lavorativi possano servire
almeno a scongiurare, in parte, questa emorragia di
fallimenti commerciali.
…Ciao dal vostro Cipriano
A proposito. Agli amici della c.d. Padania, spesso tanto
severi con noi meridionali. Avete voi ancora il coraggio
e la faccia tosta di dirci : “Andate a lavurà terrùn!”.
Vi potrei rispondere “educatamente” e nella vostra
lingua : “Ma và la pren’ nel c..”
…Ciao sempre dal vostro Cipriano!!
Tutto rigorosamente vero, comprese le frasi finali in dialetto. Un abbraccio, Cipriano e non essere burbero. Questa è la vita.
RispondiEliminaCipriano, tutto bene tranne lo sguaiato finale!
RispondiEliminaTi vesti con un bel vestito e poi...ti metti le scarpe sporche. Dai su!
ENZO