il Vietnam, i più preparati in geografia vi diranno che è
una nazione dell’Estremo Oriente, che confina con la
Cina e che ha come capitale Hanoi.
Non vi diranno molto di più.
Ma se la stessa domanda la fate ad una persona che
ha ormai passato il mezzo secolo, magari già con una
calvizie avanzata e prorompente pancetta o, se più
fortunati, con i capelli che iniziano con un tocco di
fascino a divenire brizzolati e sempre più imbiancati,
i suoi occhi si faranno brillanti perché per un ragazzo
della fine degli anni sessanta, quelli mitici, il Vietnam
è stato un caso di coscienza, quella coscienza sociale
che si iniziava a formare nei ragazzi di allora, già alle
prese con quella rivolta morale e sociale che fu
sicuramente il sessantotto, aldilà di come lo si voglia
interpretare o colorare.
Oggi i pur sanguinosi e numerosi conflitti sparsi per il
mondo (in alcune zone sono impegnati i nostri soldati),
sembrano quasi scivolare sulla mediocrità del
quotidiano come l’acqua sullo specchio, mentre allora
tra noi giovani e giovanissimi quella pur lontanissima
guerra era dibattito quotidiano.
Il conflitto in Vietnam rimase sicuramente la guerra
più discussa e problematica dalla fine della seconda
guerra mondiale.
Fu una guerra polarizzata per la prima volta
dall’attenzione mediatica e per questo a lungo
discussa e criticata in tutto il mondo; un passaggio
sanguinoso dal colonialismo europeo ad una nuova
forma di controllo politico. Era il neocolonialismo che le
due Superpotenze dell’epoca della Guerra Fredda,
gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, cercavano di
esercitare per spostare a proprio vantaggio gli equilibri
della contrapposizione.
Fu l’unica guerra che costò agli Stati Uniti una sconfitta
militare, profondamente ricordata all’interno dell’opinione
pubblica mondiale ma soprattutto americana, come uno
sbaglio irrimediabile.
A quell’epoca i sentimenti contro la guerra iniziarono a
crescere con molti americani che si opponevano alla
guerra per questioni morali, vedendola come un conflitto
distruttivo contro l’indipendenza vietnamita, o come un
intervento in una guerra civile straniera; altri la opposero
perché sentivano che mancava di obiettivi chiari ed
appariva come non vincibile.
Alcuni dei più convinti attivisti per la pace furono gli
stessi veterani del Vietnam, molti dei quali eroi
pluridecorati per azioni di guerra.
L’opposizione alla guerra su piccola scala iniziò
nel 1964 nei campus delle Università.
Ciò avvenne durante un periodo senza precedenti di
attivismo politico studentesco, e con l’arrivo all’età
dell’università della numerosa generazione dei cosiddetti
“Baby boomers” (figli del boom economico).
La crescente opposizione alla guerra fu attribuibile in
parte al più ampio accesso alle informazioni sul conflitto
disponibile agli statunitensi in età universitaria, se
confrontato con quello delle generazioni precedenti,
soprattutto grazie all’estesa copertura televisiva, ed
aumentò quando si seppero le reali cifre dei caduti
americani, che alla fine del conflitto furono più di 50 mila.
Le vittime civili, nord e sud vietnamite, superarono le 3,5
milioni di persone.
La cosa che scosse e che colpì le coscienze di tutti,
anche a distanza di quarant’anni, fu l’astiosa indifferenza
quando non ostilità dei connazionali a cui furono oggetti
i soldati americani che ritornavano a casa.
Fu tristissimo ed in seguito fonte di enormi problematiche
sociali che ancor oggi molti americani pagano, vedere
quei ragazzi, molti dei quali partiti con le migliori idee
patriottiche, prima e sfuggiti poi all’inferno delle giungle
vietnamite, alla fatica ed al sangue delle imboscate
quotidiane, all’odore della morte, sentirsi in patria
equiparati a piccoli delinquenti falliti.
Fu uno scontro sociale e morale che sanguina sempre
per chi ancora ricorda …E sono tanti.
Di quell’epoca, memorabili sono le canzoni legate a
quell’epopea: Blowin’ in the wind e Masters of war
di Bob Dylan, The End dei Doors, Eve of destruction,
Surfi n’Bird dei The Trashmen, Hello Vietnam di Johnnie
Wright, Born in the Usa di Bruce Springsteen, Joan Baez
fino al nostro Gianni Morandi con C’era un ragazzo che
come me amava i Beatles ed i Rollig Stones.
Anche la cinematografia ci ha regalato film indimenticabili
come Full Metal Jacket, Apocalypse Now con la splendida
ed incancellabile scena d’attacco degli elicotteri mentre il
sole tramonta con sottofondo la “Cavalcata delle Valchirie”;
Il cacciatore, Platoon, Hamburger Hill, Nato il 4 luglio,
Vittorie perdute, Vittime di guerra, Good Morning Vietnam,
sino all’antesignano superpatriottico John Wayne ed il suo
Green Berets (Berretti Verdi).
Un omaggio a quell’epoca fatta di speranze colorate di
arcobaleno, un ricordo alle giovani vite spezzate, ad
una società che volevamo più giusta in un futuro di
libertà senza violenza e povertà.
…Ma eravamo tanto giovani …
(consentitemi una lacrimuccia) …Good-bye Vietnam
Cipriano
Annamaria...a dopo
Il Vietnam è ancora oggi espressione di un equilibrio del mondo fondato sulle grandi potenze, equilibrio che fu giustamente messo in crisi dagli avvenimenti. Allora. come sempre in gran parte dell'opinione pubblica mondiale, il ruolo di imputato lo assunsero gli Stati Uniti. Ma c'era anche l'altro colosso, l'Unione Sovietica che, sotto sotto, attizzava e teneva vivo il fuoco. Da allora gli Stati Uniti sono stati ridimensionati, l'impero sovietico è scomparso, c'è l'Europa, la globalizzazione. I vecchi equilibri sono stati frantumati ma i nuovi non si vedono e, soprattutto,non è scomparsa la miseria dal mondo. Le canzoni, i movimenti degli studenti, le rivolte morali sono ancora belli ma l'umanità, secondo il mio parere, non è stata mai così infelice.
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