giovedì 31 maggio 2018

EREDITÀ DANTESCHE















Forse molti non lo sanno ma è grazie a Dante Alighieri che usiamo alcuni modi di dire quotidianamente.

Perché si dice "stai fresco"?
L'espressione nasce nella Divina Commedia, con Dante Alighieri.

L'espressione "stai fresco!", usata per dire che qualcosa non accadrà mai, ha origine nella letteratura. È stata infatti usata per la prima volta da Dante Alighieri nel verso 117 del XXXII canto dell’Inferno. Qui, riferendosi ai dannati sepolti e imprigionati per sempre nel lago ghiacciato di Cocito, il poeta scrive: "là dove i peccatori stanno freschi".



 Nel XXXIII canto, in un’invettiva contro Pisa, appare invece l’espressione bel Paese, oggi usata come sinonimo di Italia.

 Nel V canto, nel raccontare l’amore tra Paolo e Francesca, scoccato mentre i due leggevano il racconto del bacio tra Lancillotto e Ginevra, Dante introduce quel galeotto fu (riferito al libro) che usiamo tuttora per dire che la responsabilità di un evento è dipesa da qualcosa estranea a noi.

..Non ragioniam di loro, ma guarda e passa
Altra espressione idiomatica: gli ignavi proprio non gli piacevano. Guarda, e passa. Una riga e li lasciamo da parte anche noi.

Fa tremar le vene e i polsi
Si usa per indicare qualcosa di molto spaventoso, spesso riferito a compiti molto gravosi e difficili. Siamo all’inizio del poema (Inferno, I, 90) e Dante, dopo aver ritrovato la strada fuori dalla “selva oscura”, incontra nuovi ostacoli. Tre bestie feroci gli si parano davanti impedendogli il cammino. In particolare una lupa, molto pericolosa, che lo spaventa a morte. Per fortuna a salvarlo arriva Virgilio (in sintesi, Dante scappa da una lupa per seguire un fantasma: vabbe'). A lui spiega le ragioni del suo spavento, “la bestia per cu’ io mi volsi”, che gli “fa tremar le vene e i polsi”. Ma non c’è soluzione. La lupa sarebbe rimasta lì fino a quando – dice la profezia – non sarebbe arrivato un veltro, cioè un cane da caccia, ad allontanarla. Anche Berlusconi, nel 2008, la ripeté. Non c’entrava nessuna lupa, ma solo un Veltroni.

Non mi tange
Non mi importa, non mi interessa. Si usa in frasi scherzose. Come al solito, in origine, di scherzoso non c’era niente: “Io son fatta da Dio, sua mercé, tale / che la vostra miseria non mi tange” (Inferno, II, 92): è Beatrice che parla. È appena scesa dal Paradiso (dove si trova vicina a Dio) nel Limbo, per ordinare a Virgilio di andare a salvare Dante. Il poeta latino è incuriosito dalla visita insolita e ne approfitta per farle qualche domanda. Come fa, una come lei, a venire fin quasi all’Inferno e non soffrirne? Semplice: è “resa in modo tale da Dio da non sentire la miseria (cioè la condizione del peccatore)”. Il male non la tocca, o meglio, non la “tange”.

Cosa fatta capo ha
In Dante si trova l’inverso: “Capo ha cosa fatta” (Inferno, XXVIII, 107). Lo pronuncia un povero dannato, Mosca dei Lamberti, che gira per l’inferno con le mani tagliate e il sangue che gli zampilla sulla faccia. Che c’entra l’espressione proverbiale con questa scena alla Tarantino? Secondo la leggenda dell’epoca di Dante, la frase venne pronunciata da Mosca dei Lamberti per indurre la famiglia degli Amidei a vendicarsi di Buondelmonte per un affronto di tipo matrimoniale. Basta titubanze, disse. Lo scontro fu molto grave perché portò, secondo la leggenda, alla sanguinosissima divisione, nella città, tra Guelfi e Ghibellini. E Mosca, causa della divisione, porterà per l’eterntà sulle mani i segni della violenza.






Annamaria

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