Sono una caregiver (primary), da 11 anni. Prima di mio padre affetto dal morbo di alzhaimer e ora di mia madre con problemi di deambulazione e... manco lo sapevo! Comunque io mi ritengo semplicemente una figlia che si è presa cura del padre prima e della madre dopo, perchè li amo ed è il minimo che io possa fare per ricambiare il loro amore e cio' che in passato hanno fatto per i figli. Ovviamente con un aiuto esterno, altrimenti non avrei retto a tanto lavoro e responsabilità.
Io e mia madre, Giovanna e la sorella |
Responsabilità di cura nel contesto familiare
Fonte - Dimensione Speranza
Il prendersi cura delle persone deboli della famiglia in casa propria era un atteggiamento frequente fino a pochi decenni fa. Prima dell'affermazione del welfare state il ricorso all'ospedale era limitato a situazioni gravi e l'affidare gli anziani ad una casa di riposo suscitava disapprovazione sociale. L'ingresso della donna nel mondo del lavoro ha reso problematica l'assistenza all'anziano in casa, tuttavia permane il desiderio di prendersene cura sia per ragioni di affetto sia perché affidarlo alla casa di riposo significa accelerarne la decadenza. Sono essenzialmente le donne - mogli, figlie o nuore - ad assumersi il pesante ruolo di caregiver, ed oggi, per la difficoltà di conciliare lavoro, famiglia propria e nuova condizione del parente non autosuffìciente, spesso il problema diventa cogente.
La funzione di sostegno diventa essenziale per l'anziano non autosufficiente: i parenti, e segnatamente le donne, sono chiamati ad intervenire per le attività quotidiane e la gestione comporta un carico assistenziale che destruttura gli equilibri familiari preesistenti. A volte incomprensioni, risentimenti o conflitti sopiti riemergono perché alcuni componenti della famiglia non solo non collaborano, ma non riconoscono il peso dell'impegno e si tengono lontani: questa situazione viene vissuta con disagio, spesso con rancore, da quanti sono coinvolti nell'assistenza. Non sono tanto la perdita di memoria, il deficit cognitivo, l'incontinenza e la scarsa igiene personale del paziente a determinare il maggior onere di assistenza, quanto piuttosto, nei casi di demenza senile, o altre patologie, i problemi comportamentali.
Quando una persona (partner o figlio) decide di prendersi cura del familiare non autosuffìciente si assume obblighi di diversa natura: materiali, compreso l'aspetto finanziario; psicologici, visto che ci si prende cura di una persona a cui si è vincolati da un legame affettivo; oggettivi, legati all'aggravarsi della malattia del familiare; soggettivi, che riguardano le energie che vengono spese nel lavoro di assistenza e che possono portare all'esaurimento del caregiver stesso, se non viene supportato da interventi esterni di sollievo e sostegno. Il caregiver si trova ad orientare i propri gesti e decisioni quotidiane alla ricerca delle migliori soluzioni possibili rispetto ai problemi che sorgono via via, a cominciare dall'ambiente di casa che viene modificato per renderlo il più possibile adeguato alla situazione.
Secondo Taccani la famiglia può sperimentare, nel tempo, processi di adattamento alla malattia del congiunto attraverso varie fasi: la negazione, in cui i familiari tendono a scusare gli atteggiamenti del congiunto attribuendo i cambiamenti al normale processo di invecchiamento, allo stress, ecc.; il coinvolgimento eccessivo, in cui i familiari cercano di compensare i deficit dell'anziano man mano che il declino si manifesta più chiaramente con comportamenti specifici; la collera, in cui i familiari sperimentano sentimenti di collera per l'onere fisico, le difficoltà e le frustrazioni derivanti dal comportamento dell'anziano; i sensi di colpa, che si accentuano nel momento in cui si decide di affidare l'anziano ad una casa di riposo o alle cure di una persona esterna alla famiglia. Spesso i sensi di colpa sono la conseguenza dell'insofferenza del familiare verso alcuni atteggiamenti del malato; Accettazione, che si attua lentamente nel tempo e avviene dopo un periodo prolungato di angoscia, poiché i familiari sentono di avere perso la persona che conoscevano. In genere, il livello di coinvolgimento ed il ruolo che la famiglia gioca nella cura del paziente geriatrico, dipendono, oltre che dal tipo di malattia, anche dalla qualità delle relazioni e dalla struttura della famiglia stessa e sono da tener presenti nell'avvio del piano assistenziale che dovrebbe porsi come obiettivo la realizzazione di un'unità di cura.
Il caregiver dell 'anziano non autosuffìciente.
Il termine caregiver indica "colui che presta le cure e che si prende cura". Il caregiver è un responsabile attivo e il suo compito è quello, all'interno del nucleo familiare di appartenenza, di farsi carico del benessere della persona che necessita di cure "in una condizione di momentanea o permanente difficoltà" . Si definisce caregiver di un anziano non autosufficiente, o di un portatore di handicap, anche chi gli fa compagnia o offre una presenza affettiva e non solo chi si occupa materialmente dell'assistenza o la persona di riferimento su cui ricadono preoccupazioni e difficoltà. Se il caregiver è un familiare si parla di caregiver naturale o primary caregiver.
Nella nostra società il sistema famiglia svolge un ruolo di particolare importanza nel mantenimento della salute, nella prevenzione delle malattie, nella cura, riabilitazione e assistenza dei suoi membri ammalati, ma il caregiver può essere anche una persona esterna al contesto familiare, assunta con un contratto di lavoro e, in questo caso, si tratta di un caregiver professionale .
Chi si assume il ruolo di caregiver, sia questi un parente o un'assistente familiare, si trova a dover seguire una persona per un periodo presumibilmente lungo, ha quindi necessità di apprendere preventivamente tecniche psicologiche e infermieristiche capaci di migliorare sia la relazione sia il lavoro e che permettano di affrontare positivamente le situazioni problematiche in cui si troverà coinvolta. In assenza di una preparazione adeguata si osservano frequentemente, fra i caregiver, sintomi di depressione e scoraggiamento, fino all'insorgere di patologie psichiatriche. Particolarmente a rischio è il coniuge. Chi cura il coniuge demente ha il più alto indice di stress rispetto a qualsiasi altra relazione assistenziale, più elevato negli ultra sessantacinquenni rispetto ai più giovani e, col trascorrere del tempo, spesso diventa impossibile proseguire l'assistenza a domicilio per il sopravvenire, accanto alle fasi di malattia acuta del paziente, anche di fasi di malattia del familiare caregiver.
Si possono individuare altri fattori critici che caratterizzano la figura del caregiver e il suo ruolo di garante dell'assistenza: fatica fìsica e mentale; sensazione di inadeguatezza delle proprie capacità ed esperienze; peggioramento della propria qualità di vita, ristrutturazione dei propri tempi sia quotidiani sia a più lunga scadenza con conseguenze a livello affettivo, relazionale, economico e sociale
Da indagini su famiglie con un membro anziano non autosufficiente emergono alcune caratteristiche importanti: l'onere assistenziale cade su donne non più giovani, talora con problemi di salute, spesso la famiglia non è preparata psicologicamente ad affrontare la sofferenza del congiunto e generalmente esiste un'insufficiente conoscenza delle malattie senili e delle modalità assistenziali . La frequenza di depressione nel familiare che assiste un malato di demenza è di circa tre volte superiore rispetto a quella dei soggetti non coinvolti. Lo stress elevato a cui è sottoposto potrebbe portare ad esaurimento psicofisico: le donne si ammalano più facilmente di depressione, ma gli uomini restano ammalati per più tempo e i disturbi depressivi possono durare anche per molti mesi dopo la morte dell'assistito. Il personale medico specialistico in primis dovrebbe fornire ai familiari strumenti conoscitivi utili a fronteggiare la situazione. La pratica del counseling aiuta a ridurre la depressione e rende capaci di controllare i messaggi non verbali che si inviano al malato.
Taylor afferma che in ogni interazione con l'ammalato noi comunichiamo uno di questi tre massaggi: "Muori subito. Il mondo sarebbe un luogo migliore senza di te"; "Tu non significhi niente per me. Sei solo un lavoro che deve essere fatto"; "Sei una persona che ha valore e io mi prendo cura di te"
I primi due messaggi non sono veicolati solo da personale medico o infermieristico che, per professione, si occupa di chi è malato, ma possono esserlo anche da parenti o dagli stessi figli, specie quando il rapporto coi genitori non è stato positivo fin dall'infanzia, oppure quando la stanchezza supera il livello di sopportabilità. Perché venga inviato il terzo messaggio è essenziale che il caregiver abbia cura di sé, sia consapevole dei propri limiti e non si senta onnipotente, anche se le donne, in genere, hanno molte più risorse di quante possano supporre.
Essere caregiver è una modalità di dedizione largamente femminile: "la quasi totalità dei caregiver sono donne: sono mani di donna quelle che puliscono e curano, voci di donna quelle che rassicurano e tranquillizzano, occhi di donna quelli che osservano e controllano"
Il carico assistenziale resta, dunque, sulle spalle della donna. Le donne, più impegnate dei mariti nelle cure parentali durante lungo tutto l'arco della vita della famiglia, una volta "libere" da quanto richiede la presenza di bimbi piccoli, si trovano quasi schiacciate tra figli adolescenti, con le esigenze tipiche di un'età difficile, e genitori che invecchiano, con gli inevitabili problemi legati all'età, per cui sono oggetto di richieste provenienti da due famiglie, quella d'origine a cui sono profondamente legate e alla quale si rendono conto di dover dare ancora molto in attenzione, dialogo e presenza, e la propria cui non vogliono togliere nulla, ma le aspettative delle due famiglie sono difficilmente conciliabili, per questo, spesso, decidono di farsi aiutare da persone retribuite.
Il familiare che vive quotidianamente col malato è il primo a saper valutare la condizione di salute dell'anziano ed è il tramite naturale con il servizio sanitario locale per avviare e sviluppare strategie comuni per gestire il processo della malattia e/o della cronicità. Per realizzare tale collaborazione e necessario che gli operatori professionali ascoltino il familiare e lo coinvolgano nella pianificazione dell'assistenza.
Detto tutto questo se anche tu ti trovi , come me e come tanti altri, nel ruolo di caregiver, ricorda che i momenti di difficoltà sono sempre in agguato, il tuo impegno è spesso difficile e gravoso e non mancheranno certo momenti di “stanchezza”. Ecco, di seguito, un elenco di consigli che ci vengono dalla associazione americana National Family Caregivers Association:
1) Non permettere che la malattia del tuo caro sia costantemente al centro della tua attenzione.
2) Rispettati ed apprezzati. Stai svolgendo un compito molto impegnativo e hai diritto a trovare spazi e momenti di svago.
3) Vigila sulla comparsa di sintomi di depressione.
4) Accetta l’aiuto di altre persone, che possono svolgere specifici compiti in tua vece.
5) Impara il più possibile sulla patologia del tuo caro: conoscere aiuta.
6) Difendi i tuoi diritti come persona e come cittadino.
Grazie Flo! |
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Annamaria
Ho imparato una nuova parola,grazie!
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