lunedì 3 settembre 2012

SOGNO DI UNA NOTTE... A QUEL PAESE



 


C’è un paese in Basilicata, in provincia di Matera che, per una strana assonanza lessicale, si chiama Colobraro, perché somiglia ad una “columbària”, cioè ad un serpentario.                                                 
E’ una collina rocciosa, un paradiso per ginestre, olivi, boschi, canneti e . . . serpenti; dai suoi pianori si spazia su panorami sconfinati ed emozionanti.
Eppure qui da circa 5000 abitanti, se ne contano appena 1500 . . . dove sono finiti? Quale segreto ha alimentato la loro “fuga”?
                                                                                                       Purtroppo si tratta di una stupida superstizione per la quale molti, quando sentono questo nome fanno i classici “scongiuri”, considerandolo il paese della iella, delle fattucchiere e dei sortilegi d’amore . . . addirittura è definito “il paese che non si può dire” !
Ma come è nata questa assurda “leggenda nera”? Ecco cosa riportano le cronache : nei primi anni del Novecento, a Colobraro c’era un grande avvocato, il miglior avvocato del materano. Vinceva tutte le cause e ovviamente era invidiato, soprattutto a Matera.                                                             Un giorno, mentre discuteva animatamente con alcuni suoi colleghi, che evidentemente non sopportavano la sua bravura, cadde a terra un grosso lampadario; tutti pensarono: ‘Ecco, questo porta iella, adesso abbiamo capito perché vince tutte le cause’.
                                                                    
E la nomèa dilagò a Matera in un batter d’occhi e il grande avvocato, divenne ingiustamente l’Innominabile.
                                                                                                                                                             
Poi, con gli anni a venire, ogni volta che uno passava davanti a Colobraro, subito pensava: ‘Questo è il paese dell’Innominabile’.                                                                                                               In breve l’intera Colobraro divenne innominabile, e così si diffuse la leggenda del paese della iella.                                                                                                                                                                   Ma qui di fattucchiere non ce ne sono mai state, né ieri né mai; ci sono solo uomini che hanno voglia di raccontare i loro pensieri, indicando l’orizzonte di una dolcissima Lucania.                                                                                                                                                       E a Colobraro bisogna venirci perché è bellissima e perché il paese più offeso e arrabbiato della Lucania attende da decenni un gesto riparatore dall’Italia dei superstiziosi e degli imbecilli.

A questo hanno pensato il Sindaco e l'Amministrazione Comunale con  l’associazione culturale ”Sognando il magico paese”, che dal 2011, nel mese di agosto, trasformano la leggenda di Colobraro in spettacolo.
Anche quest’anno in agosto,  i venerdì  3, 10, 17, 24, 31  dalle ore 18 fino alle 22, si svolge
Sogno di una Notte a... QUEL PAESE.


Nasce così un percorso teatralizzato per le vie del centro storico del famoso paese innominabile”, attraverso il quale si narra con ironia di come e perchè è nata la leggenda secondo cui nominare Colobraro porti sfortuna.
In questo modo “l’immeritata e infondata fama” di Colobraro è diventata un modo per promuovere i suggestivi scorci di un borgo dalle mille bellezze.
Potevo mai perdermi questa esperienza unica e ovviamente non condividerla con voi !
Eccomi immersa nell’atmosfera irreale, carezzata dall’aria fresca, particolare non trascurabile in questa estate senza respiro . . .
Il sindaco in persona accoglie i visitatori, proiettandoci verso il vero e proprio spettacolo, suddiviso in diverse tappe animate da attori in costumi d’epoca.
All’inizio del percorso ci viene regalato l’amuleto a cincjokk che secondo la tradizione è confezionato con semplici materiali: stoffa cucita e chiusa con una spilla (simbolo di legatura) e un cordoncino (rosso colore della passione e del sangue), contenente tre pietre di sale grosso per scacciare il malocchio, tre aghi di rosmarino contro gli spiriti maligni, tre chicchi di grano simbolo di fertilità e abbondanza e per favorire amore e  bellezza, fiori di lavanda, simbolo di virtù e serenità… L’amuleto può avere vari significati, quello di Colobraro allontana la “presa d’occhio”, attrae l’amore e rimuove situazioni spiacevoli.
Procedendo lungo le varie tappe il pubblico viene coinvolto, diventando da spettatore, attore.
Nella prima tappa due fratelli spiegano i rituali dell’ “affascen” e dello “scinton”, uno è  il malocchio e l’invidia delle persone verso il malcapitato e l’altro è una forte insolazione.                                 
Viene presentata poi la figura del “monachicchio”,  lo spirito di un bambino, morto prima di essere battezzato, che si diverte a fare dispetti alla gente.
Lungo una viuzza stretta  incontriamo la “masciere” (maga), alle prese con una figlia che ha disonorato la famiglia  perché sorpresa a baciare un estraneo, diverso dal suo futuro marito; quindi la masciere prepara pozioni per riconquistare il ragazzo che è di buona famiglia e con un lavoro.
Ed ecco “zia Fortunata”  che vede e toglie l’affascen al malcapitato.                                       
Proseguendo la passeggiata  troviamo  una famiglia che sta per essere sfrattata :  il marito, un mezzo ubriacone, insieme al compare Giuan, escogita il piano di far trovare il morto in casa.                             
Il sotterfugio, di Eduardiana memoria, impedirà per legge lo sfratto, per cui il padrone di casa dovrà rassegnarsi a rinviarlo.
Le strade sono animate da simpatici personaggi che ci narrano, con le loro vicende, di rituali, usi e costumi ormai consegnati alla storia.
Arriviamo sulla parte più alta del castello dove c’è un monaco filosofo  con il suo discepolo : lo strano personaggio spiega come intendere la magia secondo le teorie dell'ermetismo, tanto care a Giordano Bruno...
Il percorso si conclude nella piazzetta dove si degustano piatti tipici, ascoltando musiche popolari.
Mi è sembrato di scivolare per le fantastiche strade del centro storico, sentendomi pervadere come per magia da allegria e serenità . . . un vero e proprio incantesimo !

Mi sento di rendere onore e merito al sindaco che con l’associazione ha saputo trasformare una situazione di negatività in una grande attrattiva culturale di livello nazionale.

Arrivederci dunque ad agosto 2013 a . . . Quel Paese !

MARIA


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