venerdì 22 giugno 2012

ESSERE DONNA IN NEPAL



“Come premio di queste azioni virtuose, ti prego: fammi nascere uomo nella prossima vita”. Inscrizione votiva del 400 D.C circa, incisa da una donna in uno stupa buddista vicino a Chahabil, Kathmandu


Come in molti Paesi del mondo, anche in Nepal la situazione della donna è particolarmente difficile. Nel 1963 sono state ufficialmente abolite le caste e solo nel 1990 è stata redatta la Costituzione che guida questa monarchia costituzionale multipartitica.


L'alfabetizzazione, specialmente nelle zone rurali, rimane complessivamente scarsa (27,5% della popolazione totale) e le donne, con solo il 14% di alfabetizzate, sono nettamente più svantaggiate degli uomini (40,9%). Il Nepal è anche uno dei Paesi al mondo in cui le donne hanno un’aspettativa di vita inferiore agli uomini (57,77 anni contro 58,65).







La donna nepalese si trova costretta nello spazio delimitato dal padre, dal fratello ed infine dal marito. Nonostante il Nepal abbia ratificato quasi tutti gli strumenti di tutela internazionali e la Costituzione del 1990 stabilisca l’uguaglianza tra i sessi e la non discriminazione, prevedendo che ogni legge in dissonanza con essa sia cambiata, ci sono oltre cento leggi, consuetudini e comportamenti discriminatori nei confronti delle donne sia a livello economico e sociale sia a livello familiare.


È ancora molto forte la struttura patriarcale e questo tipo di impostazione è anche legittimata dalla legge che rende la donna una cittadina di secondo ordine.


Sono molte le discriminazioni che le donne devono subire quotidianamente, in aggiunta a tradizioni violente e abusi di fatto non perseguiti penalmente.






Poligamia: un uomo può ripudiare le propria moglie per legge, questo significa che nel caso in cui la donna sia malata o non dia alla luce figli maschi l’uomo ha il diritto di sposarsi con un’altra donna.
         
Stupro: lo stupro non è considerato reato. Se un uomo violenta una donna questa diventa, a discrezione dell’uomo, automaticamente sua moglie. Lo stupro viene di norma considerato una colpa della donna quindi, dopo la violenza, la donna non è più accettata dalla sua famiglia di origine.


Cittadinanza: il diritto di cittadinanza è acquisito ai 16 anni di età. Un uomo può chiedere la cittadinanza senza problemi, mentre una donna ha bisogno del riconoscimento di suo marito, di suo padre o del fratello maggiore altrimenti per lei non c’è alcuna possibilità di ottenerla. Nel caso in cui delle bambine nascano da una violenza carnale o il padre non le riconosca, per loro è necessario sposarsi perché ci sia un uomo che inoltri la richiesta di cittadinanza. La madre non può chiedere il riconoscimento dei propri figli.


The Women’s Foundation, fondazione con cui Fondazione Pangea Onlus e Apeiron collaborano in Nepal al Progetto Sharma, sta portando seguendo legalmente numerosi casi di richiesta di cittadinanza per le donne che vi si rivolgono in cerca di aiuto. La cittadinanza è un diritto che si eredita per via paterna: se un uomo non riconosce i propri figli non c’è alcuna speranza che la madre, pur godendo di tale diritto, possa trasmetterlo ai propri figli.





Divorzio: durante il periodo del matrimonio la moglie condivide i beni col marito, ma tutto cambia se intercorre il divorzio. L’ex moglie può continuare ad usufruire parzialmente dei beni del marito solo a certe condizioni: se è stata sposata per più di 15 anni, se il divorzio è consensuale e se dopo il divorzio si mantiene casta e fedele all'ex marito. Un uomo ha molti più appigli per poter richiedere legalmente il divorzio, mentre per una donna è difficile, se non impossibile, decidere di divorziare. Col matrimonio, infatti, non ha più diritto alle proprietà paterne e in molti casi, dopo il divorzio, non potrà usufruire dei beni dell’ex marito. Tutto ciò, unito alla scarsa alfabetizzazione femminile, rende difficilissimo che una donna possa trovare un lavoro e i mezzi di sostentamento per sé e i propri figli. Molto spesso l’atteggiamento più diffuso di fronte alle richieste di divorzio è il tentativo di riconciliazione: questi tentativi hanno luogo anche quando il divorzio viene richiesto a seguito delle violenze subite. La donna può chiedere legalmente il divorzio quando il marito ha sposato un’altra donna in casi non previsti dalla legge, se il marito la abbandona, se la famiglia dello sposo non provvede a lei con cibo ed abiti, se il marito vive lontano senza cercare sue notizie e senza prendersi cura di lei per un periodo di tre anni continuativi o più, se il marito commette atti o lascia libero corso a cospirazioni per ucciderla, o le causa invalidità fisica o altre serie sofferenze psicologiche, se il marito diventa impotente o in caso di mutuo consenso. Se a chiedere il divorzio è il marito, deve prendersi cura dell'ex moglie per 5 anni. In ogni caso, la donna non può reclamare la condivisione della proprietà del marito dopo il divorzio e non può neppure mantenere la condivisione anche se il divorzio avviene dopo l'accordo sulla proprietà.


            
Violenza domestica: non esiste alcuna legge contro la violenza domestica e sono molto frequenti i casi in cui i mariti picchiano e violentano le mogli. In molti casi, inoltre, le coppie vivono con i genitori e anche i parenti del marito picchiano la donna. Un matrimonio rende una donna di proprietà del marito e della sua famiglia. L'idea che la donna sia inferiore all'uomo è abbastanza radicata nella cultura patriarcale nepalese, anche perché solo un figlio maschio può garantire l’accesso al paradiso ai suoi genitori.




- Diritto di proprietà: per legge la donna non ha diritto ad ereditare la proprietà dei propri genitori. Una volta sposata, infatti, perde il diritto a qualsiasi rivendicazione in tal senso. Nel caso i genitori di una donna muoiano prima che questa si sposi, essa può avanzare diritti di proprietà, ma nel momento in cui si sposa perde automaticamente la proprietà eventualmente ereditata.




Matrimoni precoci: generalmente in tutte le caste i matrimoni sono combinati, spesso la sposa ha 12 anni o poco più. In alcune regioni rurali del Paese sono ancora radicati costumi secondo i quali una donna “va data in moglie” prima della prima mestruazione. Il marito è in molti casi molto più vecchio della sposa e ne diventa il padrone. Il giorno del matrimonio, infatti, i genitori della sposa lasciano al marito una dote che simboleggia anche una liquidazione della figlia che diventa membro della famiglia dello sposo.







- Caccia alle streghe: una vedova viene considerata portatrice di sventure e per questo perseguitata. E’ frequente, infatti, che le vedove siano picchiate dagli abitanti del villaggio e soggette alle più atroci torture.




- Situazione anagrafica: in un Paese con un bassissimo tasso di alfabetizzazione, oltre la metà della popolazione femminile non ha accesso all’istruzione. Il Nepal è, inoltre, uno dei pochissimi Paesi al mondo in cui l’aspettativa di vita delle donne è inferiore a quella dell’uomo. Questo significa che le donne non hanno accesso neppure alle cure mediche e al cibo. In molte famiglie accade, infatti, che le donne mangino gli avanzi lasciati dal marito, dai fratelli, e dai figli maschi.




- Traffico sessuale di donne e bambine: La Costituzione (art. 20, 1 e 2) proibisce il traffico di esseri ed esiste anche un Atto di Controllo sul Traffico di Esseri Umani (1986). Si tratta di definizioni piuttosto vaghe e poco incisive, anche perché non c’è una legislazione apposita sul traffico di donne e bambine a scopo sessuale.


Il problema è in costante aumento. Ogni giorno donne e ragazze vengono vendute, comprate, ridotte in schiavitù sessuale, costrette a prostituirsi, a compiere lavori forzati. La via di questo traffico si svolge prevalentemente dal Nepal verso l’India. Ritornano in Nepal, quando ci riescono, con malattie trasmissibili, compresa l’AIDS: secondo le stime non ufficiali, ogni anno tra 5.000 e 7.000 donne e bambine vengono portati a scopo sessuale dal Nepal verso l’India. Più di 200.000 donne e bambine sono state vittime di questo traffico. Moltissime di queste sono finite nei bordelli indiani, dove restano di fatto prigioniere per anni, fino a quando non si ammalano di AIDS e vengono abbandonate a se stesse. Nel frattempo, dovranno lavorare come schiave, in condizioni igieniche inesistenti, dalle 10 alle 16 ore quotidiane, talvolta con più di 40 clienti al giorno, per cercare di ripagare le spese di vitto e alloggio al proprietario del bordello in cui lavorano. Alcune donne hanno impiegato 15 anni ad estinguere il debito, di cui nessuno, tranne i proprietari, conoscono l'entità. È sempre più crescente la richiesta di ragazze vergini, dunque sempre più giovani. Si stima dunque che il 30% delle vittime del traffico siano minorenni. Queste donne sono soggette a forme di tortura, di serie punizioni corporali, sono esposte al contagio dell’AIDS e a detenzioni arbitrarie. I bordelli sono strettamente controllati e le ragazze sono sotto costante sorveglianza. Quelle che tentano di scappare, un volta riprese vengono sottoposte ad una serie infinita di maltrattamenti. Per “domare” le ragazze nuove esistono quartieri in cui le vittime vengono tenute in stato di schiavitù e sottoposte ad ogni genere di violenza, fisica e psicologica: l'unica eccezione è che le vergini non vengano stuprate, ma solo perché sono una merce molto richiesta e dunque più costosa.




Le spese mediche sono a carico delle prostitute: i preservativi non vengono generalmente usati. Se una donna rimane incinta, viene costretta ad abortire e le spese mediche vanno ad ingrossare il suo debito col proprietario del bordello. In India, la polizia e gli agenti locali sono spesso clienti abituali dei bordelli e proteggono i proprietari ed i trafficanti. I proprietari dei bordelli pagano mazzette alla polizia per evitare raid alle frontiere col Nepal. E anche la polizia di frontiera viene corrotta per permettere ai trafficanti di trasportare le ragazze attraverso i confini. Le più fortunate, quelle che riescono in un modo o nell'altro a sfuggire a questa schiavitù, molto spesso restano in India o se tornano in Nepal, continuano a prostituirsi.


I mezzi di reclutamento sono tantissimi: la maggior parte delle vittime viene venduta, spesso da familiari e conoscenti. Alcuni sono consapevoli della vita che aspetta a queste ragazze oltre i confini, altri sono invece convinti che dall'altra parte per loro ci sarà un marito, una vita meno dura. In alcuni casi, le donne vengono rapite, in altri vengono reclutate presso le industrie di tappeti e spinte verso il confine con l'India nella speranza di un lavoro
migliore. 


I motivi per cui il traffico può aver luogo sono culturali ed economici. Data la radice complessa di questo problema, anche la soluzione non può essere semplice. Molte sono le parti interessate in questo vergognoso traffico e tante le lacune sia nella prevenzione del fenomeno, sia nella riabilitazione delle vittime.


Sono veramente molte le discriminazioni che una donna nepalese subisce, ma ciò che preoccupa è che la consapevolezza della discriminazione subita è poco presente. The Women’s Foundation si occupa non solo di riabilitare le donne che hanno subito violenze ma anche di sensibilizzarle sulle loro necessità e sui loro diritti.






Segregate senza cibo e luce durante il periodo mestruale: RITO CHHAUPADI










Il rito proibisce alle donne di avere contatti con il mondo durante il periodo mestruale. Ogni anno decine di persone muoiono assiderate o soffocate dal caldo. Giovani donne sfidano gli anziani indù e lanciano una campagna di sensibilizzazione in tutto il Paese. 


Kathmandu - Trattate per secoli peggio degli animali, le donne dei distretti occidentali nepalesi si ribellano alla pratica del Chhaupadi, tradizione religiosa indù che proibisce qualsiasi contatto con il mondo durante il periodo mestruale femminile. Grazie al sostegno di associazioni per i diritti umani e organizzazioni non governative, alcune ragazze sono riuscite a rompere il  muro di omertà e a ribellarsi a tale usanza, lanciando una campagna di sensibilizzazione in tutto il Paese. Con la proclamazione dello Stato laico nel 2006, il rito è scomparso nella maggior parte del Nepal. Una sentenza della Corte suprema proibisce tale tradizione e prevede pene severe per coloro che obbligano le giovani a seguirla. Tuttavia esso è ancora diffuso nelle regioni più povere, soprattutto nei distretti occidentali di Accham, Doti, Baitadi, Dadeldhura e Dailekh. Secondo la tradizione del Chhaupadi le ragazze e le donne non possono toccare cibo, familiari, animali, oggetti durante il periodo mestruale. Nelle famiglie dov'è più radicata questa pratica, esse vengono chiuse in una baracca lontana da casa per evitare contatti con il mondo esterno, perché il loro sguardo potrebbe contaminare persone e oggetti. 


Negli ultimi anni, i media hanno riportato la notizia di donne morte per assideramento, soffocate dal caldo eccesivo, o uccise dal morso di serpenti velenosi. Tuttavia chi segue il Chhaupadi sostiene che sono gli dei ad ucciderle perché hanno trasgredito alla regola. L'ultimo caso risale al gennaio scorso, quando nel distretto di Accham diverse giovani sono morte assiderate nelle loro capanne.


Janaki Buda, 43 anni del villaggio di Lokandra, ha subito per anni i soprusi dei capi famiglia. "Quando ero adolescente - racconta - ero convinta che questa pratica fosse necessaria per evitare l'ira degli dei contro i miei familiari. Negli anni ho capito che il Chhaupadi non è altro che un trattamento disumano della donna, dovuto all'ignoranza e alla superstizione religiosa. Una mattina ho deciso di far entrare mia sorella nella mia casa, anche se era proibito e l'ho convinta a ribellarsi a questa tradizione.


 "In pochi mesi - aggiunge - anche le altre donne del villaggio si sono unite a noi e hanno iniziato a demolire le capanne dove erano rinchiuse". L'esempio di Buda e delle donne di Lokandra si è diffuso  in altri villaggi grazie alla collaborazione dei familiari più istruiti. In questi mesi il gruppo di donne di Lokandra ha dato il via a una campagna di sensibilizzazione in tutto il Paese, che ha coinvolto membri dell'Unicef e di altre organizzazioni umanitarie. "Il Nepal ora è uno Stato laico - afferma una delle giovani - il nostro messaggio sta circolando nei villaggi e speriamo che in futuro le donne non siano più costrette ad accettare queste tradizioni disumane".




E' il mio augurio amiche nepalesi. Aprite la strada verso la libertà sociale , una strada che tutte le donne possono e devono viaggiare...




Annamaria... a dopo

2 commenti:

  1. Spaventoso, Annamaria. Altro che liberazione della donna in quel luogo inaudito. Grazie delle informazioni, così puntuali.

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  2. Ricordando le manifestazioni degli anni del femminismo, mi sembra siano passati secoli. Eppure la dignità delle donne continua ad essere così violentemente oltraggiata. Dire altro mi fa sentire retorica. maria.sa

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