Chiude l’ultima fabbrica al mondo di macchine da scrivere: fine di un’epoca
Di certo non è una novità: in occidente la macchina da scrivere è caduta in disuso almeno un decennio fa.
Da quando il mercato dei computer ha cominciato ad espandersi in tutto il mondo, quello delle macchine per scrivere ha iniziato il suo declino, fino a portare al capolinea un oggetto che, un tempo fortemente richiesto e venduto, oggi viene considerato piuttosto antiquato.
In Occidente è da tempo, ormai, che ad acquistare una macchina da scrivere sono soltanto i collezionisti; considerati pezzi d’antiquariato, ad usarle sono rimasti solo gli eccentrici e i nostalgici del passato. In Asia, invece, fino a qualche tempo fa la situazione era diversa, poi il boom economico che ha investito il subcontinente asiatico e il relativo calo dei prezzi dei computer hanno sancito anche lì il declino di questi apparecchi.
Ma quando anche l’ultima azienda produttrice chiude i battenti possiamo dire addio ad un capitolo importantissimo della nostra storia.
Alla fine del mese di aprile 2011 ha chiuso i battenti la Godrej & Boyce di Mumbai, in India che aveva continuato a lavorare, sfruttando principalmente i mercati delle agenzie di difesa, dei tribunali e degli uffici governativi.
Siamo molto lontani dai numeri raggiunti dalla stessa azienda nel corso dei decenni passati: i primi esemplari in India furono presentati negli anni Cinquanta e il primo ministro Jawaharlal Nehru descrisse la macchina per scrivere come «il simbolo della nuova indipendenza industriale dell’India».
In magazzino restano ancora soltanto 200 macchine da scrivere, la maggioranza delle quali con caratteri arabi, destinate ai Paesi arabi. La dirigenza si è dovuta arrendere all’evidenza ed alle dure leggi del mercato e dell’innovazione: persino l’arretrata (ma per molti aspetti avanzatissima) realtà indiana ha mandato questo strumento in soffitta.
Adesso è proprio ufficiale: è finita un’intera epoca nella storia della comunicazione scritta. Un’epoca che era cominciata nel 1846: quando un italiano, il novarese Giuseppe Ravizza, inventò per primo la macchina da scrivere. che nel XX secolo ha fortemente modificato il modo di lavorare nelle aziende.
Nel 1837 Ravizza iniziò a costruire il primo prototipo del cembalo scrivano, così chiamato per via della forma dei tasti, simili a quelli dello strumento musicale. Utilizzò infatti i tasti di un pianoforte.
Una notizia che per noi nostalgici seppure ormai legati indissolubilmente ai pc e ad Internet è comunque triste e segna inevitabilmente la fine di un’era comunque gloriosa, dove molti di noi che oggi scrivono al computer, hanno davvero mosso i primi passi sulle macchine da scrivere.
Qualcuno le ricorda? Forse solo i più grandicelli : saranno più di dieci anni che sono letteralmente scomparse dalla nostra quotidianità e dagli uffici di enti pubblici ed aziende private.
Quanti di noi hanno posseduto una macchina da scrivere? Quanti di noi l’hanno usata? Tanti, specialmente se siamo entrati nella fascia di età degli “anta”. Nel giornalismo italiano la “Lettera 22” dell’Olivetti è leggenda (la usava, tanto per dire, Indro Montanelli): piccola, portatile, compatta, indistruttibile.
Molti di noi sono stati autodidatti imparando a pestare sulla tastiera; anche io ricordo benissimo quel rumore tipico che producevano le aste di metallo mentre solcavano l’aria per abbattersi infine sul nastro inchiostrato e sul foglio: un rumore che facilmente diventava frastuono.
Com’era scomoda, la macchina da scrivere! Usarla era faticoso e creava un prodotto simile alle scritte scolpite nella pietra dai nostri antenati: quello che veniva fatto era immodificabile, sii poteva usare la scolorina, il bianchetto… : ogni errore rimaneva lì sul foglio: nero su bianco, per sempre.
Con l’avvento del computer l’incubo di ogni scrivano è svanito: quando si commette un errore, o semplicemente si vuole riformulare un periodo, basta tornare indietro col cursore del programma di videoscrittura e correggere. Semplice, pulito, facile e silenzioso, tutto in un’unica “sessione”.
Va così definitivamente in pensione un’invenzione che ha dato grande lustro all’Italia con macchine da scrivere che sono entrate nella storia del design come la mitica Lettera 22 o la Valentine della Olivetti, entrata a pieno titolo nell’olimpo degli oggetti culto di design del Guggenheim Museum.
Ne avete una dimenticata in cantina? Tenetevela stretta, un giorno vi potrà tornare utile. Anche io conservo gelosamente la mia compagna di tante avventure da “piccola scrivana salernitana”: una sinuosa Olivetti – studio 45, alla quale mio padre mi fece affezionare già durante le mie scuole medie inferiori.
Notizie del genere, anche se prevedibili, lasciano sempre un amaro retrogusto in bocca e un senso di profonda nostalgia.
Addio, dunque, al familiare ticchettio di tasti, al suono degli scatti del carrello o della campanella che ammoniva di andare a capo?
Ma c’è chi non è affatto d’accordo; Gawker.com smentisce riportando infatti le parole di Ed Michael, direttore alle vendite della sede di Moonachie di Swintec. Egli infatti sostiene che «La macchina per scrivere è ben lontana dalla fine: abbiamo produttori di apparecchi in Cina, Giappone e Indonesia.» Nel frattempo, c'è chi si è adoperato per coadiuvare le tecnologie di oggi con gli strumenti di ieri: è infatti nata la macchina da scrivere USB, collegabile ad un qualsiasi computer o tablet.
Insomma, qual è la verità? Il 2.0 batte la Lettera 22 ???
Chi ha ragione non si sa, ma certo rimane imprescindibile l'estinzione, più o meno prossima, del prezioso strumento di scrittura. Il fatto è che pur nell’era del digitale e del 2.0 gli aficionados permangono eccome: Cormac McCarthy, romanziere e drammaturgo, ad esempio, ha sempre adoperato la sua fida Lettera 32, messa all’asta solamente da qualche anno, mentre lo scrittore statunitense Paul Auster ha con la propria un legame affettivo e quasi morboso.
E, in ogni caso, credete che vedere Jerry Lewis smanettare allegramente su un immaginario Ipad sarebbe la stessa cosa?
Maria&Annamaria... a dopo
PIU' CHE UN COMMENTO il pezzo meriterebbe di essere incluso nella terza pagina di un quotidiano: come si sa, quello della cultura. Dettagliato in modo perfetto, mi ha fatto sorridere quando ho visto l'immagine della mia macchina da scrivere, la OLIVETTI 45. Allora ero appena magiorenne e quella macchina da scrivrre, che mi hai evocato, "suonava" appunto come un'orchestra: il ticchettio e il campanellino...mi facevano sempre sorridere ogni volta che vedevo Jerry Lewis picchiettare "a suo modo" su un immaginario modello. Il pezzo merita una valutazione "school over A1".
RispondiEliminaENZO
Sì, Enzo, il pezzo merita un riconoscimento particolare. Con l'occasione mi sono ricordato della mia Lettera 22. C'è ancora? Non lo so e mi vergogno di non saperlo.
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