"Io non costringo, curo". A due giorni dalla "vergognosa" "Giornata nazionale degli Stati vegetativi" nel secondo anniversario della morte di Eluana Englaro, a due settimane dall'arrivo in aula della Camera del Ddl Calabrò sulla obbligatorietà dell'idratazione e dell'alimentazione nelle persone in stato vegetativo, la Cgil chiama a raccolta medici e operatori sanitari con un appello "per la libertà di scelta sul testamento biologico e contro l'accanimento terapeutico". Una legge che, dopo un lungo iter si è sbloccata il 12 gennaio con il via libera della Commissione Bilancio dietro l'accordo ad essere totalmente definanziata e dunque "senza nuovi oneri per lo Stato", e che fino alla penultima stesura paragonava il sondino gastrico e l'idratazione forzata a "pane e acqua" per il paziente.
Appello con video
Un appello promosso dalla Funzione Pubblica della Cgil, sospinto da due video forti ed essenziali , già firmato da Umberto Veronesi, Ignazio Marino e da tanti neurologi e chirurghi. Lo scopo è di raccogliere il maggior numero di firme da consegnare al presidente della Camera Gianfranco Fini e a tutti i parlamentari per bloccare una legge che, come hanno spiegato all'unisono gli intervenuti alla presentazione, "viola l'articolo 32 della Costituzione ("Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario"), il Codice di Deontologia medica (Articolo 38: "Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato") e della Convenzione internazionale di Oviedo.
In 2-3 mila in stato vegetativo
Una legge che riguarda tutti e in special modo "2-3 mila persone in stato vegetativo e 250 mila malati terminali", ricorda Massimo Cozza della Fp Cgil. "E' la stessa battaglia che abbiamo fatto contro la legge 40, contro la richiesta che i medici denunciassero gli immigrati regolari, contro la proibizione della pillola RU486 - rincara la dose Rossana Dettori, segretario generale della Fp Cgil - un orrore perchè strumentalizza temi etici per biechi fini politici".
Ignazio Marino: fra due settimane l'Aula decide
Tra i primi firmatari dell'appello c'è Ignazio Marino, nella doppia veste di chirurgo e senatore. "Mi occupo di questo tema dal giungo 2006, da quando sono diventato parlamentare e mi sono reso conto che i miei colleghi italiani non potevano fare quello che è normale nel mondo anglosassone: riunire i familiari del paziente e informare sull'utilizzo delle tecnologie e decidere insieme a loro dove arrivare con le cure. Il punto della questione - continua Marino - è che fra due settimane in aula si deciderà come gli italiani si dovranno curare nelle ultime settimane della loro vita. Non è un problema di essere credente o meno, il problema è che i diritti delle persone che perdono coscienza stanno pensando nelle mani di chi vince le elezioni. E' possibile che quel diritto passi nelle mani del capogruppo del Pdl o dell'Udc? Noi diciamo no e per questo abbiamo presentato 1.500 emendamenti come opposizione e lotteremo fino alla fine. Chiediamo alla maggioranza di fermarsi perché anche i più recenti sondaggi Eurispes ci dicono che il 72% degli italiani è contrario e che lo sono il 77 per cento dei medici. Sappiamo - ha concluso - che la legge è a forte rischio di incostituzionalità e che la tanto vituperata magistratura interverrà. L'obiezione di coscienza in questo caso è poco praticabile dal punto di vista legislativo. Per questo la battaglia che parte dall'appello è ancora più importante".
Luana
di Beppino Englaro
Questo è il testo integrale della lettera che Beppino Englaro ha inviato al quotidiano della Cei lAvvenire in risposta a una precedente missiva di Fulvio De Nigris. Oggetto: la data del 9 febbraio istituita dal Consiglio dei ministri come giornata nazionale degli Stati vegetativi. Il direttore della Casa dei Risvegli, in particolare, scriveva a Englaro che «può essere loccasione importante per pacificare gli animi, trovare un ragionevole punto di comprensione» e lo invitava a salire sul palco con loro la sera del 9 febbraio a Bologna. Ecco la replica del padre di Eluana:
Caro dott. De Nigris, la ringrazio per la sua lettera che considero una manifestazione sincera di rispetto per la vicenda di mia figlia Eluana. Sono sempre più convinto che la perdita di un figlio lasci noi genitori in uno stato di prostrazione e di sofferenza che non ha eguali. Mi sembra doveroso però precisare ancora una volta che in tutti questi anni la mia battaglia non è mai stata contro qualcuno, ma per qualcuno, «in difesa» di qualcuno. Né mai - neppure lontanamente - ho pensato che le scelte della nostra famiglia potessero sovrapporsi alle scelte di altre famiglie e forse - a essere sinceri - mi è toccato in sorte un compito davvero arduo: quello di far valere i desideri e i diritti di una persona, mia figlia, percepita davvero come una minoranza in questo paese. La «minoranza» delle persone che la pensano in modo diverso.
Per questo sarò sempre al fianco di tutte quelle minoranze, i malati, le persone con grave disagio, che non hanno mezzi e strumenti per far valere le loro scelte e i loro diritti. Non ci sono eserciti da armare. Le sentenze della Corte di Cassazione hanno semplicemente ribadito ciò che noi tutti sapevamo e che era già scritto nella nostra Costituzione: non si può imporre il proprio punto di vista ad altri. Per questo, ritengo la decisione di fissare la data della "Giornata nazionale sugli stati vegetativi" proprio al 9 febbraio inopportuna ma soprattutto indelicata.
Nel ringraziarla per la sua lettera, mi auguro che questo paese abbia davvero lo slancio per far valere le ragioni di tutti. Credo di aver già detto e fatto molto. Per me - come lei comprenderà - il 9 febbraio sarà la giornata del silenzio.
Eutanasia
In Italia, attualmente, l’eutanasia attiva è assimilabile, in generale, all’omicidio volontario (ex art. 575 codice penale). In caso di consenso del malato, ci si riferisce all’art. 579 codice penale, rubricato come omicidio del consenziente, punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Anche il suicidio assistito è un reato, in virtù dell´art. 580 codice penale, “Istigazione o aiuto al suicidio“.
L´eutanasia passiva viene consentita in ambito ospedaliero, nel reparto di rianimazione, solo nei casi di morte cerebrale: devono, comunque, essere interpellati i parenti dell’interessato e si richiede la presenza e il permesso scritto del primario, del medico curante e di un medico legale. In caso di parere discordante fra medici e parenti, si va in giudizio e in questo caso è il giudice a decidere.
Testamento Biologico
Ancora non esiste una norma sul testamento biologico. Il 9 febbraio 2009, giorno in cui è morta Eluana Englaro, al Senato della Repubblica si stava discutendo il Disegno di legge n.1369 (Decreto Calabrò) che avrebbe dovuto disciplinare la materia. Il testo non era largamente condiviso, in particolare trovava forte opposizione l’articolo 3 del disegno di legge. Con quest’articolo s’imponeva a tutti i medici, anche contro la volontà dei pazienti che avevano esplicitato una scelta diversa, l’obbligatorietà della nutrizione e dell’idratazione artificiale. I medici si sarebbero trovati costretti a scegliere fra il rispetto del codice deontologico (che impone loro di rispettare la volontà del paziente), oppure la legge. Inoltre, tale articolo avrebbe causato conseguenti contenziosi giudiziari fra famiglie e sanitari.
Dispute, polemiche e dibattiti accesi, di colpo furono smorzati dalla sopraggiunta notizia della morte di Eluana, facendo ripensare il gruppo di maggioranza parlamentare sul da farsi. Così optarono per il ritiro del disegno di legge. Poi un lungo silenzio durato circa un anno.
Intanto la Chiesa cattolica ha informato che si dichiarava favorevole a una legge purché depotenziata, priva cioè di qualsiasi riconoscimento del diritto all’autodeterminazione. Con qeste indicazioni, alla fine, sul cosiddetto “ddl Calabrò”, che già recepiva gli orientamenti della CEI, è stato trovato l’accordo. Approvato rapidamente prima dalla commissione sanità del Senato, poi dal Senato stesso, con 150 voti favorevoli, 123 contrari e 3 astenuti, è passato all’esame della commissione affari sociali della Camera e, il 12 maggio 2010, è stato approvato senza sostanziali modifiche. Il disegno di legge è ora in attesa di essere discusso dall’assemblea di Montecitorio.
Per ovviare a questo vuoto legislativo, molte associazioni hanno elaborato un proprio modello di testamento biologico. Il Consiglio Nazionale del Notariato ha attivato a spese proprie un Registro per la conservazione dei testamenti biologici e ha dato incarico ai Consigli Distrettuali di predisporre elenchi di notai disponibili a riceverli. Rispetto ai moduli fai-da-te, i testamenti biologici sottoscritti davanti al notaio hanno il valore aggiunto della certezza della provenienza certificata. Ogni cittadino può dunque telefonare al Consiglio Notarile della propria città per sapere quali sono i notai disponibili, e sceglierne uno.
In seguito, diversi comuni hanno deciso di istituire registri analoghi. Queste approvazioni sono quasi sempre scaturite da petizioni sottoscritte dai cittadini: i circoli territoriali UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) hanno spesso promosso e contribuito alla raccolta delle firme.
Il giudice della corte suprema Chris Kourakis, South Australia, ha concesso a una donna di morire attraverso la sospensione dei trattamenti sanitari. Per il giudice australiano il rifiuto delle cure non è assimilabile al suicidio. E’ la prima volta che un tribunale dello Stato decide l’immunità per i medici che si astengono dal curare un paziente che, liberamente, sceglie di morire.
Era il 1605 quando Il filosofo inglese Francis Bacon, nel suo saggio Progresso della conoscenza(Of the Proficience and Advancement of Learning), introdusse il concetto di eutanasia. Egli auspicava che i medici imparassero “l’arte di aiutare gli agonizzanti a uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità“. Con questo il filosofo non intendeva che bisognava somministrare la morte. Bacone dava semplicemente alla parola “eutanasia” il suo significato etimologico: “buona morte”, cioè morte non dolorosa. Ai medici toccava il compito di far sì che la morte sopraggiungesse in punta di piedi, dolcemente silenziosa. Nessuno strazio, nessun dolore, nessuna lunga e inutile agonia.
La donna che in Australia ha chiesto e ottenuto, grazie a un giudice lungimirante, il diritto a una morte dolce, era costretta su una sedia a rotelle e relegata in una casa di cura. Non voleva più vivere in quel modo. Ognuno di noi avrà le sue convinzioni in merito, ma la signora australiana ha deciso di dire basta a quella che per lei non era più vita. Ha esercitato il libero arbitrio sulla sua vita. E non c’è legge o dogma che questo possa negarlo, perché ci sono scelte che appartengono alla sfera dell’intimità di ognuno, e quella soglia nessuno può varcarla.
In Australia questo sembra lo abbiano capito bene. Già, nel mese di maggio 2010, il partito dei Verdi dello Stato del Western Australia aveva presentato una proposta di legge per legalizzare l’eutanasia volontaria per i pazienti con almeno ventuno anni di età. La proposta porta la firma del deputato Robbin Chapple e prevede “l’immunità da qualsiasi procedimento penale e civile per chi assiste a morire un paziente affetto da malattia terminale“.
Chapple presentando la sua proposta ha detto: “Credo che la nostra società sia sufficientemente compassionevole per riconoscere che per alcune persone il dolore e la sofferenza sono così grandi e prolungati da rendere la morte l’unica via d’uscita. Certamente possiamo offrire loro qualcosa di più rispetto ad una morte per fame e disidratazione, o rispetto a qualche metodo improvvisato fai-da-te. Sicuramente possiamo offrire una morte rapida, tranquilla e controllata. Questa proposta di legge mette a disposizione questa opzione”.
Già, “…la nostra società sia sufficientemente compassionevole…”. Ma è davvero così? Sono passati secoli dal suggerimento di Bacone, e sembra davvero assurdo che questa verità semplice, questa prassi che dovrebbe considerarsi naturale e, al contempo, terribilmente umana, continui a essere ancora oggetto di continui e tanto inutili dibattiti.
Ancora negli ordinamenti giuridici della maggior parte degli stati europei si fa fatica a superare la distinzione fra eutanasia attiva (quando la morte avviene per la somministrazione di farmaci); ed eutanasia passiva (quando avviene per l’interruzione della somministrazione dei farmaci). L’eutanasia attiva, consensuale o meno, è punita sia dalla legge sia dal giuramento d’Ippocrate; mentre, l’eutanasia passiva consensuale, in molti stati è lecita.
Ma ha un senso vietare l’eutanasia attiva e permettere quella passiva? Inoltre, si può legittimamente rinunciare all’accanimento terapeutico (e su questo concorda persino la Chiesa cattolica) quando le terapie sono sproporzionate rispetto ai risultati attesi e l’esito previsto non è la guarigione, ma solo un prolungamento penoso della vita. E’ considerata legittima, anzi necessaria, anche la terapia del dolore. Per cui l’uso di analgesici (soprattutto oppiacei quali la morfina) e sedativi di ogni genere per il controllo del dolore anche se ciò dovesse comportare − come effetto secondario − l’accorciamento della vita del paziente. E questo è accettato sia da un punto di vista legale, che etico. Di rimando, è considerato illecito interrompere le cure che d’ordinario sono dovute a una persona ammalata, anche se la morte è imminente o il paziente è in stato vegetativo.
Ricapitolando, no alla sospensione d’idratazione e nutrizione, perché questa è considerata un’eutanasia per omissione, ma sì alla sospensione dei farmaci o alla somministrazione di oppiacei che possono portare velocemente al decesso. Difficile cogliere la differenza.
Il dibattito, pasticciato e dai toni molto ipocriti, sembra più puntare verso interessi ideologici di parte che verso i diritti umani fra i quali si annoverano, piaccia o meno, anche il diritto a una migliore qualità di vita e alla morte.
La verità è che dietro a queste ipocrisie si nasconde un problema che non si vuole affrontare fino in fondo perché scomodo: un’impostazione mentale vetero cattolica che spinge i più a credere che la nostra vita non ci appartenga, ci è stata donata da Dio e non ne possiamo disporre. Si tralascia, però, qualche piccolo particolare. In primo luogo per molti non c’è nessuna ragione di credere che ci sia un Dio (cattolico o meno) che possa essere il padrone assoluto della propria esistenza; in secondo, in un paese laico dovrebbero essere rispettate le decisioni individuali.
In ogni caso, se i fili della nostra vita li tiene Dio e questo decide di togliere la vita a un essere umano in modo “naturale” e gli manda un tumore o lo fa sbattere con l’auto contro un albero, perché non si offende se interviene la medicina, con i suoi progressi scientifici che consentono di vivere più a lungo, a negare la sua volontà? Anzi, non solo non si offende, ma se ne inorgoglisce perché anche i progressi scientifici avvengono solo per sua volontà. Se così fosse, allora perché s’incupisce e lancia strali quando quella stessa medicina, dopo aver provato il possibile e l’impossibile, non riuscendo a dare più speranza e, soprattutto a evitare atroci sofferenze, decide di fermarsi e, compassionevolmente, di aiutare l’uomo a ritrovare sollievo ridandogli la dignità della libertà di scelta? E perché Dio non è un omicida se decide di spezzare una vita sana, anche giovane, quando non ce ne sarebbe bisogno alcuno e lo è un medico che assiste in un trapasso decoroso?
Questi nonsensi, queste contrapposizioni sono tutte ideologiche e in campo etico diventano assurde. Sarebbe corretto, civile e auspicabile trovare soluzioni che tengano debitamente conto dei principi etici di tutti i cittadini e che, nell’interesse di tutti, prevalgano nelle scelte future solo il rispetto per l’uomo.
fonte kataweb
elaborato da Caterina e Annamaria
Problemi grandissimi. Doveroso il riserbo. Senz alcuna faziosità.
RispondiElimina