Se vi è capitato di piangere ,almeno una volta, dopo aver fatto sesso non vi preoccupate perchè si tratta di una reazione contraddittoria ma solo apparentemente.
Le lacrime che scendono sono un fenomeno molto comune ma preoccupano parecchio entrambi i sessi.
Alcune donne piangono dopo l'orgasmo soprattutto perché il piacere arriva come una liberazione dal controllo mantenuto durante il rapporto.
Se la propria partner scoppia a piangere spesso l'uomo si fa mille problemi e domande sulla prestazione appena avvenuta.
Dall'altro lato, la donna non si spiega il momento di tristezza estrema dopo il coito. State tranquilli è tutto ok!
Non c'è da preoccuparsi. Anzi, molto probabilmente la reazione è figlia di un'esperienza paradisiaca.
Infatti ci vengono in aiuto gli esperti per capire meglio questo fenomeno e secondo uno studio condotto da Robert Schweitzer della Queensland University of Technology, in Australia, non solo il 46% delle donne ha vissuto questa esperienza, ma le cause del fenomeno non sono affatto legate ne a traumi ne tantomeno a frustrazioni varie di ogni sorta.
Come riporta Focus.it, le componenti sono di natura fisiologica. La ossitocina e le endorfine, ormoni del benessere, solitamente calano di colpo dopo l'orgasmo, provocando un senso di abbattimento totale. Ancora da comprendere la componente psicologica, si entra in un campo più complesso e sfaccettato. Pare che l'ombra di tristezza s'impadronisca di noi perché l'esperienza è stata così intensa e bella da provocare forte malinconia una volta terminata.
Galeno, il famoso medico greco, scriveva intorno al 150 d.C.: «Dopo l’orgasmo, tutti gli animali tranne i galli e le donne sono tristi». In realtà sappiamo che questa “malinconia”, colpisce sia le donne che gli uomini.
Comunque, non c'è da preoccuparsi: se si piange dopo il sesso, in realtà è perché è andato tutto più che bene. Lacrime di gioia che gli esperti chiamano blues-sesso.(le lacrime dopo il sesso)
Scusate , vado a piangere...ma per ben altri motivi!!!
Annamaria
Potrebbe essere questa che vedete l’immagine per il lancio della nuova campagna pubblicitaria Benetton: il volto un po’ arruffato di un giovane ragazzo argentino, capelli scompigliati, dreadlock in vista e sguardo penetrante su sfondo nero – monocromo -, proprio come quelli che piacciono tanto al bravo Oliviero
Toscani, e poi, immancabile, il logo con il motto della celebre azienda italiana, United Colors of Benetton, divenuto, grazie ad abili strategie di marketing, sinonimo di apertura, multiculturalismo, integrazione tra i popoli e le culture.
Santiago Maldonado si è integrato talmente bene che non lo si trova più. Scomparso nel nulla, anzi, scomparso nei possedimenti patagonici del gruppo Benetton. D’altra parte come non perdersi in 900mila ettari di terra? Già, perché le dimensioni delle proprietà di una tra le maggiori imprese nel mercato dell’abbigliamento mondiale ammontano a tale spropositata cifra solo in America Latina. Un’acquisizione – o meglio, un accaparramento – del valore di 50 milioni di dollari che risale al 1991.
Ma quelle terre non appartenevano allo stato argentino e men che meno alla Argentine Southern Land Company Limited, l’impresa inglese che ne deteneva la proprietà legale già dai primi del ‘900.
Quelle terre appartenevano e appartengono al popolo Mapuche, gli indigeni araucani che vivono in Patagonia da tempi immemorabili, ben prima dell’arrivo dei colonizzatori spagnoli. E, com’è noto, la terra è di chi l’abita. Nessuna legge potrà mai contraddire questo principio universale.
I Mapuche non possono esibire alcun titolo di proprietà riferito a quei terreni. Non ne hanno mai avuto bisogno, né si arrogherebbero mai la presunzione di poter considerare la natura un oggetto da negoziare. Sono il “Popolo (che) della Terra (mapu)”, e per questo rivendicano il diritto ad abitarla come hanno sempre fatto.
Quando il gruppo Benetton si è appropriato dei loro luoghi ancestrali, non ha esitato un momento nel procedere con gli sgomberi forzati di interi villaggi, sfollando le famiglie e sostituendole con quasi 300mila pecore da lana. Le greggi, è proverbiale, son mansuete, ma non i Mapuche, che da allora non hanno smesso di lottare, resistendo e reagendo alle violenze che periodicamente vengono portate avanti contro i loro membri più attivi, spesso arrestati e imprigionati dalle autorità nazionali con l’accusa di terrorismo. È questo il caso di Facundo Jones Huala, leader della Resistenza Ancestrale Mapuche (RAM), che da oltre due mesi è detenuto nel carcere di Esquel, nella provincia di Chubut, per aver promosso e partecipato ad attività di boicottaggio e riappropriazione di terre che ora appartengono a Benetton.
Il 1 agosto 2017, la Gendarmeria Nacional, forza armata direttamente agli ordini del Ministero della Sicurezza del Governo – attualmente presieduto da Mauricio Macri – ha fatto irruzione nella comunità in resistenza Pu Lof, nella stessa provincia di Chubut, dove membri della RAM e vari sostenitori della causa mapuche, stavano manifestando il loro diritto alla terra. L’intervento repressivo dei militari ha disperso la folla indigena a suon di cariche, pallottole di gomma e roghi di abitazioni, senza risparmiare le violenze a donne e bambini.
Santiago Maldonado, un artigiano ventottenne di Buenos Aires, si trovava lì a sostenere la lotta del popolo mapuche. Alcuni testimoni raccontano di averlo visto per l’ultima volta nelle mani della Gendarmeria, ma la stessa arma e il governo smentiscono.
È trascorso un mese dalla sua sparizione.
L’Argentina e il mondo intero non hanno bisogno di aggiungere un nuovo nome alla macabra lista dei desaparecidos.
Signor Presidente, donde està Santiago Maldonado?
Signori Benetton, dov'è Santiago Maldonado?
Vogliamo una risposta.
Vogliamo Santiago, vivo.
Fonte Agora-Vox
Al coro mi unisco anche io, nel mio piccolo e domando DONDE ESTA' SANTIAGO MALDONADO?
Annamaria